Doppia Mattina

Rahul si alza tutte le mattine, quando ancora mattina non è. Qualcuno si sveglia prima di lui, e con quotidiana dedizione mette a bollire sull’unico fuoco di casa acqua, latte e la giusta dose di tè e spezie. Quando il Chai è pronto, ne riempe una teiera grande come uno sgabello, principale fonte di reddito della famiglia. Doccia, spazzolino e vestiti puliti. Rahul lancia uno sguardo ai bambini che dormono, e senza proferir parola esce, prendendo con sé la teiera, tutt’altro che leggera e ringraziando con lo sguardo chi l’ha preparata. La notte è ancora buia, inciampare è facile ma non concesso, tutto quel guadagno non può rovesciarsi sulla strada. Camminando lentamente, evitando le mucche ancora dormienti a terra, senza farsi spaventare dai cani che ringhiano agli angoli, si dirige alla stazione. Nonostante l’ora, la stazione brulica già di gente. Una famiglia seduta in cerchio sbocconcella la colazione. “Chai chai”. Rahul risponde alla richiesta, e versa caldo Chai in cinque bicchierini per tutta la famiglia. Gli sorridono, lo ringraziano augurandogli una buona giornata. Deve essere proprio una bella famiglia, pensa Rahul mentre si allontana camminando cautamente per non urtare le sagome di chi, sul pavimento, ancora dorme. Una bella famiglia. Una di quelle dove il padre c’è, chissà cosa si prova a sentirsi bambini. Rahul non lo ricorda più, forse non l’ha mai saputo. Le donne già in coda alla biglietteria ancora chiusa chiamano “Chai! Chai!”. Con un sorriso, vende un bicchiere di chai ad ognuna di loro. Le donne sole sono sempre le più gentili, anche se non scambiano neanche una parola con lui. Le donne sole, quelle indiane. Le occidentali invece non lo chiamano, bevono acqua dalle loro bottigliette sigillate, mangiano barrette, non bevono brodaglia calda portata in giro da uno sconosciuto in quella sporca teiera enorme. Che poi sporca non è, è solo vecchia. Gli occidentali non sanno quello che si perdono, pensa Rahul ogni volta che sente un paio di occhi posarsi su di lui con finta pena. Rahul è fiero del suo lavoro, porta il sorriso su molti volti, ancora intorpiditi dal sonno, prima che vengano provati dalla fatica della giornata, e se quelli non vogliono provare, peggio per loro. Potranno girare il mondo, ma non lo conosceranno mai, se bevono solo bottigliette sigillate. Rahul questo lo sa, e per questo non risparmia i suoi “Hello! Uanna Chai? Uanna trai?”. Qualcuno sorridendo accetta, e si ferma volentieri a far due chiacchiere con lui, sono pochi, pochi quanto basta: gli stranieri non conoscono il prezzo di un bicchiere, non si accorgono che pagano almeno cinque volte più dei locali, o forse se ne accorgono, ma fanno finta di niente e pagano. Sogna di andare in Europa un giorno, di mischiarsi con questa gente che vive di fretta, che non si fida di nessuno, ma che viene fregata da tutti. Sogna, ma solo per pochi istanti. Sa che il suo posto è qui, con la sua famiglia. Deve pensare al pane per la sua famiglia, di sogni si ciberà poi. Sale sul treno, e intona il solito “Chai! Chai!”. Viene fermato di tanto in tanto, e versa un bicchiere. Un vagone, due, dieci. Un bicchiere, dieci, cento. Un fischio. Rahul scende veloce. Il treno parte. Depone la teiera, ormai non più così pesante, sul binario, si siede a terra e le si appoggia contro, quel tiepido calore gli fa bene. Conta timidamente i soldi raccolti, non sono molti, dovrebbero bastare per il pranzo dei bambini, ma non per le cure del più piccolo. Albeggia. Rahul corre verso casa, deposita la teiera vuota, e corre al negozio. Deve iniziare a lavorare.