Un tranquillo weekend in altura

Voglia di rifugio. Prenoti con 15 giorni di anticipo, nell’unica valle in cui le previsioni del tempo daranno temporali per tutto il weekend. Cambi valle. Rifugio Alpetto, alle falde del Monviso. O meglio alle falde basse, perché alle falde falde c’è solo il Quintino Sella che con i suoi 90 posti letto non sai se è un albergo o un porto di mare in alta quota. L’Alpetto suona molto meglio. Soprattutto per chi poi così alpinista non è. Obbligatorio il sacco lenzuolo, null’altro. Certo, ma ti porti anche le scarpe di ricambio, che se ti fan male gli scarponi? La tuta e il pile, che se hai freddo coi pantaloncini? Quel bell’asciugamano in microfibra che fa anche da accappatoio, che se ti vuoi fare la doccia poi con cosa giri nel corridoio? E non lasci a casa “Passaggio in India” con le sue 355 pagine, che metti che ti annoi? Hai uno zaino che per l’interrail l’avevi fatto più piccolo, complimenti. Due indicazioni du google maps, e la cartina che un amico di buon cuore ti ha regalato per il compleanno, sperando che, prima o poi, tu la smetta di perderti. Si parte. Carichi la socia che il sole è già alto. “Randa, io ho fatto i panini ma li porti tu”. Eh beh, quelli erano i patti. Un, due, tre, eccoti in tangenziale. Guardi il retrovisore e ti prende un attacco di romanticismo “Vah che belle le montagne nello specchietto, il cielo è limpidissimo”. Ma se le montagne sono nello specchietto, significa che tra un po’ fai un frontale con gli ombrelloni: hai di nuovo preso la tangenziale al contrario, stai andando a Savona invece che a Pinerolo! Ma possibile che le uscite che hanno aggiunto dopo che hai preso la patente ancora non le hai imparate? E dire che non l’hai presa ieri! Vabbè, classica inversione e ringrazia che la tangenziale non si paga. Pinerolo, San Secondo di Pinerolo, Bricherasio, Barge, Paesana. A sinistra per Oncino. Ancora 10 km, l’ora e mezza di google maps è già diventata un due ore, e solo dopo due ore e mezza, la godereccia strada di montagna si trasforma in sterrato, con tanto di cartello “Parcheggio Alpetto”. Una casetta in pietre si intravede alla tua destra. Assomiglia molto alla foto del rifugio che avevi visto su internet. “Randa, vuoi mica che siamo arrivate al rifugio in macchina? Noooo, peggio dei milanesi!? No no, io mi vergogno, non entro, torno a casa”. Ma è un falso allarme. Parcheggiate e dovete ancora fare 700 metri di dislivello per il rifugio. Menomale. Menomale un corno, è l’una e fa un caldo becco. Ti carichi lo zaino di Mary Poppins, e dopo dieci metri, quando hai già più volte perso l’equilibro grazie al geniale carico che ti sei organizzata, ti chiedi se tutto fosse poi così necessario. Il sole picchia, dribbli le mucche e i segni del loro passaggio, mandando avanti la socia, che si sa, tu delle mucche hai paura. Fatichi per due ore e mezza, su una salita stimata da un’ora e tre quarti, e approdi ad un bel pianoro, attraversato dal fiume. All’orizzonte vedi la bandiera del rifugio. Bene, siesta! Dai si mangia, con i piedi a mollo. Tanto, dallo zaino di Mary escono le ciabatte per la doccia, che sono ottime per passeggiare nei fiumi. Verso le cinque decidi che, essendo in montagna e non a Laigueglia, sarebbe meglio rimettere gli scarponi e presentarsi al rifugio, mica che ti perdi il rancio. E canticchiando “Si vince e si perde, si pestano merde..” superi il pianoro e arrivi al rifugio. Via gli scarponi, sugli scaffali ciabatte per tutti: le crocs tarocche, e tu che te le sei portate da casa, garula! La camera, uno spettacolo: camera da 9, con letti a castello e romantico sottotetto. Senti la gente parlare in tedesco o con quell’accento forte che hai quasi dimenticato fosse il tuo. Neanche un meridionale, fa quasi impressione. E infatti l’accoglienza non è quella calorosa meridionale, ma quella tipica del muntagnin “Buona sera, ha la tessera CAI? Le faccio vedere la camera, si cena alle 19:30” e non sprechiamoci in convenevoli. Il minimo indispensabile della comunicazione. Poi se chiedi, il gestore, Sandro, gentilmente ti consiglia i meglio giri della zona. Ma devi chiedere, è ovvio. Vai a dormire alle nove, che chissà il libro cosa l’hai portato a fare. Domani si sale al passo del Gallarino (500 m di dislivello, ce la puoi fare) da dove si vede tutto l’arco alpino. In una giornata limpida poi, ti vedi il Cervino, il gruppo del Rosa e le rondini, che così in alto, non te le aspetti proprio. Le marmotte non le conti, e ti conquistano sempre: ciccie e agili come sono. O per lo meno così ti sembrano. Una lunga traversata su un ignobile sentiero piano e di pietre ti porta al Quintino Sella, pieno di gente, da cui scappi subito senza neanche prendere il caffè. Il ritorno è ancora lungo, il sentiero infinito . Scendi, lasciando un po’ di cuore per il panorama, e un po’ di madonne per quel ginocchio gigio che dopo due ore di discesa inizia a farsi sentire. Alle 17 togli finalmente gli scarponi, conti le bolle e sorridi, mentre piazzi tutto nel baule della tua fidata auto e ti rimetti in strada verso la città, con quella strana voglia di merenda sinoira.

Randagia, che non è più la merenda sinoria di una volta, né per il prezzo, né per il menu.