Metti una sera con Degas

Un’amica pubblica su Facebook l’immagine di due pennelli sulle punte, che si incrociano come gambe di una ballerina, e la commenta con il più sincero “Geniale!”. Geniale che per la pubblicità della mostra di un pittore non si usi un suo quadro, quanto piuttosto uno strumento, il pennello, e un soggetto, la danza. E così gli anni di danza classica dell’infanzia fanno capolino e nostalgia.
Un click sull’immagine e approdo al sito (http://mostradegas.it) che è quasi una visita virtuale. Ohila, c’è un’app. Allora è vero che per tutto c’è un’app. Ma non ho un i-phone, e neanche voglia di dargli 3 euro e rotti: già si pagherà l’ingresso, perché pagare anche l’app? E molti se lo devono essere chiesto dal momento che il riquadro predisposto su i-tunes per le statistiche di gradimento espone un triste “Non abbiamo ricevuto abbastanza valutazioni per visualizzare una media per la versione attuale di questo(a) applicazione.”.

“Degas, Capolavori dal Museo d’Orsay”. Già. Mica i disegni che faceva all’asilo. C-A-P-O-L-A-V-O-R-I che uno dei più grandi Musei d’Europa offre temporaneamente in prestito alla nostra città. Vogliamo mica perdercela?
Nelle ore non di punta (noi siamo andati un giovedì verso le 19, aprofittando della giornata in cui gran parte dei musei torinesi ha un orario di apertura più generoso, fino alle 22) vi è solo una ragazza alla biglietteria, che si deve preoccupare di smistare visitatori “prenotati” e non. Questo non senza le classiche polemiche “Dovrebbero avere una fila apposta per i prenotati!”, anche se poi è solo una persona ad essersi prenotata e la coda non è più lunga di quella che si fa, senza minimamente lamentarsi, in ufficio per la macchinetta del caffè.
Quasi subito mi imbatto in una delle opere principali, La famiglia Benelli, lui orso, lei incazzusa e due bambine che sembrano rognosette. Una è quella che si vede sui manifesti. Però, se la cavava bene con i ritratti Edgar! Le guide parlano talmente forte che anche se non ne hai richiesta, non la puoi evitare. Nel bene e nel male.
Circa a metà percorso una splendida sala sui nudi: ma non la Venere che esce dalle acque, la Salomè che balla o quella che ti fa il pic nic per colazione. No, è piuttosto la Giusi del mercato, mentre si asciuga il mignolino dopo il bagno, che quasi quasi si vedono anche i calli. La Molly che si pettina alla bell’e meglio. La Betty che esce dalla vasca, senza rompersi il femore. Ora, ditemi se vi viene in mente un altro artista che abbia inanellato una serie di nudi “ordinari” così? A me no, o almeno non prima di lui. Pare che Edgar pescasse nei bordelli le sue modelle, e le invitasse a venire a darsi una lavatina da lui. E quella in piedi, di schiena, con le mani appoggiate alle chiappe? Quella che nel video descrivono come “tozza e poco aggraziata”? Quella che sembra me tutte le mattine quando guardo l’armadio con quel punto interrogativo del “e oggi che mi metto?” . Mentre la guardo mi aspetto che si muova, che alzi un braccio e tiri una patela alla porta scorrevole del Pax Ikea. No, non si muove. No, non mi sembra tozza. E nemmeno poco aggraziata. Mi sembra naturale, e senza dubbio simpatica.
L’universo delle ballerine è lasciato alle ultime sale, e tanto per cambiare, ci spiegano che un corpo di ballo non era altro che un bordello con il tutù. E a guardar bene i dipinti, tra le ballerine c’è sempre una figura maschile, vestita di nero, con il cilindro, che sembra non c’entri nulla con il quadro, e invece… E dire che io alle ballerine ho sempre associato quell’innocente viso della Fracci…
Quasi in fondo al percorso, e poco visibile, è posizionata la sala audiovisivi. A ciclo continuo viene proiettato un video che propone analisi e osservazioni talmente interessanti da convincerci a tornare indietro a rivedere alcuni pezzi. Ma metticelo all’inizio un video così, che ci stimoli la curiosità, lo spirito d’osservazione, fai anche un po’ atmosfera! Non alla fine, che, con i piedi che fan male, vuoi che torni a rivedere I particolari? Ringrazio che la sede, la Palazzina della Promotrice delle Belle Arti, non è poi così grossa e torno indietro, ma se voi ci dovete ancora andare, entrate dall’uscita con la scusa di andare alle toilette e guardatevi prima il video.
La visita è finita, chiudiamo le giacche, alziamo il bavero, e saluti. Non abbiamo comprato nulla al negozietto, ma portiamo con noi le immagini di quelle ballerine “di malaffare”, di quei nudi insoliti. Riflettiamo sulle ballerine di allora che potevano essere le escort di adesso, sorridiamo a vedere Edgar che si riempie lo studio di vasche da bagno e asciugamani. Ironizziamo su come quest’artista passasse più tempo nelle case di piacere che nella propria.

Infine, puntiamo diretti una pizzeria: il chiosco del parco, unico punto ristoro “a vista” non offre nulla di simile ad una cena.

Randagia, che la cultura arrichisce, ma non sazia.