Arrampicare per credere

Giordania Trekking. Un’emozione dietro l’altra tra deserto e roccia. “Quando torno” – mi son detta – “dimagrisco e mi iscrivo ad un corso di arrampicata”. Era il 2009. Ho lasciato passare un po’ di tempo, ma quest’anno mi sono iscritta (forse perché ho smesso di “aspettare” di dimagrire).

Di scuole a Torino ce n’è in abbondanza, gli amici consigliano e s-consigliano.

Scuola Ribaldone, 20 iscritti di cui ne rimarranno solo 15. Due uscite in falesia, poi la “selezione”. E pazienza, anche se poi mi escluderanno, almeno due uscite me le sarò fatte, no?

Prima serata. Iscrizioni. Sarò la più vecchia? No, ma quasi. Se avessi voluto essere tra i più giovani, mi sarei iscritta a un corso di bridge.

Luca di MountainSicks ci illustra tutti i segreti dell’attrezzatura. Caschi, imbraghi, scarpette. Mi vien male ai piedi solo a vederle quelle scarpette, roba che le ballerine di danza classica stanno più comode.

A seguire Andrea ci illustra i vari fattori di caduta con un pot-pourri di formule che non vedevo dai tempi del Poli.

La Baita (foto verticaleMaNonTroppo.blogspot.it)

Prima uscita. La Baita, Viù. Gli amici muntagnin mi hanno sempre detto “Chi arrampica si sveglia tardi, fuma come un turco e non ha neanche il fiato per fare l’avvicinamento alle vie”. Allora come mai ci troviamo già alle 7:30 a Viù? Come mai ficcano una bella pesante corda sullo zaino di ogni allievo, senza distinzione di sesso né nazionalità, partendo con un passo da trailer verso la destinazione? Come mai non si è vista una sigaretta in tutto il giorno, parcheggio escluso? Mai dar retta agli amici.

Prima uscita. Qualcuno si è giocato lo stipendio per mettere insieme l’attrezzatura obbligatoria (casco, imbrago, moschettoni, cordini e scarpette), qualcuno già ce l’aveva, qualcuno se l’è fatta prestare. Compare qualche casco da bici non proprio legittimo, ma per questa volta andrà pur bene.

I nodi che devi conoscere sono sempre più del previsto, o comunque sempre più di quelli che sai. La teoria è tanta, occupa tutto il mattino. Palloso? Forse un po’, ma se pensi che la tua spina dorsale e quella del tuo socio dipendono da come sai maneggiare un cordino, meglio che ci dedichi anche più di una mattinata.

Nel pomeriggio, dopo un non breve acquazzone,  inizia il divertimento: le discese in corda doppia. Per me non sono una novità, purtroppo. Ho un vivo ricordo delle splendide calate di Selvaggio Blu: splendide sì, per chi le sapeva fare. Non per me che alla voce di “Molla le mani, che ti calo io!” sono stata calata tanto velocemente che il cuore era ancora in cima quando il culo ormai aveva toccato terra. Sì sì, ho scritto culo perché è stato proprio lui e non i piedi a toccare terra.

Oggi è diverso. Anche se il panorama perde punti rispetto al blu della Sardegna, la sensazione di tranquillità li guadagna. Qui si inizia per gradi. Prima una da discesa da quindici metri, poi una da forse venti, con il simpatico “mini-tetto”, talmente mini che forse l’abbiamo notato solo noi principianti.

Sul finale, si prova a salire. Anche qui per gradi.
– “Mai arrampicato? ”
_ “No”
– “Vai”
La socia fa sicurezzaa egregiamente, io salgo un po’ meno egregiamente.
– “Ok, fermati. Non si arrampica a quattro zampe, hai presente la posizione eretta? Adottala.”
Tra i consigli dell’istruttore e l’incitamento della socia, ho completato la mia prima salita. Che sudisfa. Solo al termine ne ho letto il nome: “PISOLO”. Si sa, più una salita è difficile, più le danno il nome di un grande!

Randagia, che adora le domeniche ben spese.