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Ti presento il mio rifugio….

Posted on Maggio 7, 2016 by randagia

E’ venerdì, hai sonno e andresti volentieri a dormire, però…

Però la vita del rifugista ti ha sempre affascinata, e se trent’anni fa il tuo film poteva essere “Volevo sposare Simon Le Bon”, adesso sarebbe “Volevo sposare un rifugista”. E allora prendi un caffè e vai, vai a sentire cosa hanno da dire due rifugisti della tua zona: Nino del Vaccarone e Andrea del Gastaldi.

La serata è nella nostra sede Cai, alla tesoriera. La sala è piena, qualcuno sta anche in piedi.

Nino è accompagnato da tre donne: una bellissima moglie, una bambina vivace ed una bambola di pezza.
Andrea, che fa egregiamente le veci del gestore ufficiale, è accompagnato da qualche amico e da una contagiosa passione per le vie di arrampicata.

Il presentatore della serata ci spiega “Il filo che lega i due rifugi è Antonio Tonini.”
Ah si, e chi è? Chi mi siede vicino mi guarda male, possibile che io non sappia chi sia questo Tonini? Poco male, tanto stasera me lo spiegano.

Tonini è il primo scalotore di quasi tutte le vette della Val d’Ala: nel 1857 l’ingegner Tonini viene spedito in Val d’Ala per prendere misure trigonometriche delle varie cime. Il suo aiutante, Ambrosini, sotto minaccia di licenziamento, si carica un leggero strumento di misura, saran stati si e no 40 chili, su queste “collinette” intorno al Gastaldi che superano i 3.000 metri, come la Bessanese e la Ciamarella, giusto per dirne due poco note. Nelle valli del Gastaldi, nasce la storia di Tonini come alpinista. Purtroppo nelle valli del Vaccarone questa storia di chiude: la caduta in un crepaccio nella valle dell’Ambin non gli lascia scampo. (Il vicino di sedia sostiene che sia stato Ambrosini a buttarlo giù). Pare che ci sia una targa a suo nome da qualche parte, vista dal nonno dello zio del cugino, ma non si sa dove sia esattamente, da qualche parte, sul terreno sfasciumoso del Ghiacciaio dell’Agnello.

Ah bon, capito il filo della serata andiamo al sodo.

Nino ci presenta le valli del Vaccarone con il suo accento non proprio autoctono e con le sue spettacolari foto: nubi in basso a Luglio, nubi in alto ad Agosto, albe rosa e notti di fulmini. La posizione interessante sul Tour d’Ambin: passando dal lago del Moncenisio, o attraversando il famoso Pertus di Romean, non importa che via si scelga, che direzione, quello che ci consiglia è la calma e l’osservazione. Evitiamo i panini mangiati in fretta sulla panchetta del rifugio per scendere, andiamo venti metri più in là, mangiamoceli guardando il lago, assaporando il panorama. I fortunati possono incontrare ermellini e pernici, gli stambecchi invece sono quasi una garanzia per tutti. Il momento più bello qui è l’alba, e ce lo mostra con una bella selezione di foto scattate dalla finestra della sua cucina. Una cucina con vista. Ci tiene anche a dirci che in quella cucina cercano di evitare il più possibile di aprire scatolette: cibo fresco, verdura fresca, questo vogliono dare ai loro ospiti, e se lo portano su a spalla, per 3 ore. Il vicino Rifugio d’Ambin ha adottato un’altra tecnica di trasporto: lascia una cassetta con quello che serve ad inizio sentiero ed un cartello “Grazie a chi ce lo vorrà portare al rifugio”. Pare che il rifugista così salga sempre scarico. Francesi, chissà se anche in Italia potrebbe funzionare.

Dalle parole di Nino e Andrea, si capisce che non tutti gli escursionisti sono poi così esperti: Andrea ti punta una zona in foto, dove tutti si confondono e “tocca andarli a riprendere”. Nino ti spiega che “Spesso la gente crede di andare a destra e poi va a sinistra. Allora anche se ci chiedono colazione nel cuore della notte, abbiamo preso l’abitudine di alzarci anche noi invece di lasciare tutto pronto: giusto per guardare che direzione prenderanno per poi sapere eventualmente dove andarli a cercare”.
Sia Nino che Andrea fanno parte del Soccorso Alpino, e meno male che ci sono!

Un bel video illustra il Tour della Bessanese, che unisce rifugi italiani e francesi. L’entusiasmo di Andrea ci racconta la storia di Tonini con questo gusto per l’alpinismo antico, e sfruttando la sua figura ci presenta tutte le vette della sua valle: la Ciamarella e il Collerin, raggiungibili con vie di alpinismo Facile (F) o Poco Difficile (PD), ma si vede che la passione sale quando ci racconta dello Spigolo Murari (AD+, più che Abbastanza Difficile) per salire alla Bessanese invece della via normale.

Una bella serata, due belle persone, tante belle escursioni.

Randagia, che non sa da quale valle iniziare…

La Traversata dei Re Magi

Posted on Aprile 2, 2015 by randagia

E’ una manifestazione storica, una roba turistica, una passeggiata. Con queste parole ti convince e ti iscrive alla decima edizione della “traversèe des rois mages”, una escursione scialpinistica che ogni anno, dall’olimpico 2006, il Cai di Bardonecchia e il Caf di Modane Valfrejùs organizzano, per commemorare una storica traversata alpinistica. Le prime edizioni sono state agonistiche, con tanto di pettorali, imbrago e salita alla vetta Thabor. Le ultime più turistiche, o per lo meno senza pettorali e imbraghi, dichiaratamente aperte a tutti.
Traversata dei Re Magi
Quest’anno si parte dalla Francia, da Valfrejus e si arriva a Bardonecchia. Tocca quindi a noi italiani svegliarci prima per andare in bus dagli amici d’oltralpe. L’appuntamento è a Pian del Colle alle 6:30, che poi sono le 5:30 con l’ora solare. E’ buio. Tu sai infilarti gli scarponi al buio? No, ma il furgone parcheggiato vicino ti ospita sotto il suo invidiabile impianto di illuminazione. Son già simpatici sti partecipanti.
Quando arriva il pullmann si accendono le luci e si iniziano a vedere le facce altrui: tutti alti, magri, fisicati e marchiati con teste di leopardo da testa a piedi. L’attrezzatura non fa lo scialpinista? Forse no, ma ti dà comunque un’idea.

In bus si arriva Valfrejus, e mentre si registrano le iscrizioni, si consuma una colazione a “pain de chocolate” che mette il buon umore. Qualche faccia è conosciuta, qualcuna lo diventerà. Si parte con le pelli? Si parte in discesa? Si parte all’insegna dell’arrangiarsi. Poche le raccomandazioni: “La traccia è segnata, ci sono bandierine verdi e rosse, seguitele e fate dei piccoli gruppi”. Parte il primo gruppetto, due o tre persone che ti sembrano sfocate tanto son veloci. Parte il secondo gruppetto e non è da meno. Partono tutti gli altri: un unico gruppetto da cinquanta persone, una mandria. E trascinata dalla mandria, fai la prima salita. Al cambio d’assetto, c’è chi si toglie le pelli senza neanche togliere gli sci e chi invece le infiocchetta e le ripone nello zaino. Opti per la via di mezzo: le stacchi e le infili sotto la giacca, quella sana sensazione di umido sullo stomaco, che tanto bene non fa. La discesa è caotica, nessuna difficoltà tecnica effettiva se non schivare gli altri, che scendono come meteore impazzite. Una passeggiata turistica? Questi corrono! Ma chi te l’ha fatto fare di buttarti in questo caos? Ma una bella gita tra pochi amici, no?
Si ripresenta la salita, per fortuna. Pian piano il gruppo si trasforma da mandria al pascolo in processionaria in fila, il sole splende, il vento tira, la calca non c’è più. Trovi la tua dimensione: ne hai parecchi davanti, parecchi dietro, puoi andar serena. Qualcuno ti sorpassa dichiarando “Il n’est pas froid”, “gnanca na frisa” rispondi tu, con la pelle d’oca sotto le maniche corte. Qualcuno, nonostante la testa di leopardo in fronte, ti si affianca e fa due chiacchiere “La prima volta? In questa direzione è bella, ma nell’altra come sciabilità è migliore, ci vediamo l’anno prossimo”. Certo, perchè oggi mica riesci a stargli dietro. Ma va bene così.

Il sole se la gioca con il vento per regalarti degli spendidi scorci: sei in un corridoio bellissimo, sulle alpi. Non importa se siete uno o cinquanta, adesso quel panorama è tutto tuo, e nonostante la fatica, o forse proprio per la fatica, lo trovi bellissimo. Il fascino della traversata è anche questo: gli occhi non puntano alla vetta, all’arrivo, non sono chiusi in una valle, galleggiano su una, poi due, tre valli.

Chissà se davvero devi passare i Re Magi: mica li riconosci, non sei fisionomista con le persone, figurati con le montagne. Riconosci il Rifugio del Thabor però, dove qualcuno ti urla: “Vai che c’è una torta buonissima!”. Beh, c’era: perchè quando arrivi tu è rimasto solo il te con la frutta secca. Poco importa, ora si scende. Via le pelli per l’ultima volta e giù, parlando italiano con i francesi, e francese con gli italiani, confondendo la fatica con il divertimento, vivendo una splendida esperienza.

Arrivi ai rifugi della Valle Stretta, dove ti attende l’ultima fatica: il pranzo. Nell’attesa, ecco una coppia di turisti, italiani. Lui urla a lei “Cosa vuoi che ci diano da mangiare qui, con sto branco di coglioni che fa casino!”. Il branco, siamo noi. Informiamo la malcapitata che c’è una manifestazione scialpinistica qui, e magari all’altro rifugio ci sono meno “coglioni”. Lei arrossisce e si scusa “scusatelo, è arrabbiato perchè l’ho fatto salire a piedi, a lui piace il mare, a me la montagna ma sapete in una coppia…”. Ma cara figliola, butta un occhio sul ben di dio di figlioli del branco, e lascia perdere l’uomo da mare. L’amour a l’è nen pulenta. Ma che buona che è la pulenta, ottima conclusione di una divertente esperienza.

Il prossimo anno? Si rifà, certo. Complimenti agli organizzatori: per l’agilità nei trasporti, la qualità dei ristori, la costanza che ci mettono tutti gli anni.

Randagia, che tiene d’occhio il sito ufficiale http://traverseedesroismages.hautetfort.com/

I martedì sera – colle della portia

Posted on Maggio 15, 2013 by randagia

Un sole che spacca. E sei al lavoro. Due nuvole in cielo, le prime gocce. E sei fuori dal lavoro, al solito ritrovo con quelli del martedì sera. Il motociclista è venuto in macchina, di acqua ne ha presa abbastanza la scorsa settimana. Qualcuno si presenta, ma causa meteo si dilegua. Qualcuno ha una riunione improvvisa, qualcuno prepara cena per un compleanno che ha da venire, sì tra una settimana, qualcuno si era dimenticato di una commissione su marte. Le defezioni quando minaccia pioggia adducono motivazioni molto creative. “Ma si dai andiamo, al massimo ci prendiamo un aperitivo a val della torre”. Nella mail di convocazione compariva anche il nome del maratoneta, ed un altro paio nuovi. Sbirci su facebook: uno è di quelli che corrono in tutina, l’altra ha un fisico da ministra dello sport. Sarà dura. E infatti lo è. Ma chissene, Colle della Portia l’hai fatto un sacco di volte, anche se ti lasciano sola te la cavi. Si parte da borgata Ciaine, per accorciare un po’ il dislivello. Sentiero. Pietraia. Sentiero di pietre. Pietraia. L’ideale quando minaccia pioggia. L’apripista ha un passo niente male, che dopo poco non tieni più. “Randa, guarda che bei narcisi!” recita qualche speranzoso, pensando che ti servano solo distrazioni. No, è il fiato che ti serve, e nessuno te lo può prestare. “A sinistra!” c’è il passaparola dai primi agli ultimi, che se sbagli lì non ti passa più. Poi diventa mulattiera, e chi vuoi che si perda? Forse chi per recuperare il branco non alza neanche gli occhi dal terreno e parte per la tangente in una curva, finendo in un sentierino che presto si dimostra sbagliato? Già sei lenta, se ancora sbagli strada… Torna sui tuoi passi, datti dell’idiota, e continua per la mulattiera. Si vede solo più cielo, ci sei. Si vede solo più cielo e due sagome che stanno scendendo ma si fermano con un “Ah no, eccola!”. Gentiluomini, tra un’imprecazione e l’altra sarebbero anche venuti a cercarti. Al colle, il panorama non è dei meglio, tutto grigio. Ma intanto, mica hai il tempo di godertelo: gli altri son su da un pezzo, si scende! Eccerto, entra nel rifugetto a firmare il diario. C’è chi fa il solito disegnino, che non hai tempo di riguardare: quando ci passerai la prossima volta ti farai una risata. Il branco in discesa è più socievole, si riesce anche a raccontarsi pezzi di vita oltre al classico “come stai?!” del parcheggio.
Qualcuno deve scappare, ma qualcun altro si ferma per un boccone al pub, a concludere la serata.

Randagia, che macchinata bagnata, camminata fortunata

Trofeo Mezzalama: emozioni in Valle Stura

Posted on Maggio 5, 2013 by randagia

Sabato 4 Maggio.
Partenza alle 5 da Mirafiori per noi, direzione Valle Stura.
Partenza alle 5 da Breuil-Cervinia, per i nostri eroi che gareggiano nel Trofeo Mezzalama. C’è la squadra mista: Luca, Sara e Raffele. E te le ricordi le espressioni di Sara di qualche giorno fa: “Si ma quest’anno Luca non farà il tempo di due anni fa, ha me in squadra”. E lo dice con quel senso di colpa malcelato, misto affetto esagerato per il fratello, che a sentirla ti dispiace quasi di essere figlio unico. C’è la squadra maschile: Andrea, Giambe e Ricky. Gli occhi che brillavano d’emozione nel raccontarci dell’Adamello Ski Race, diventano quelli di bambini seduti di fianco ai loro eroi, Kilian Jornet e Jaquemode, nel briefing del venerdì.
Comunque vada sarà un successo, per tutti.

Una delegazione di fan attende gli atleti al cancelletto del Breithorn, scambiando continui aggiornamenti con il Diretur e altri della gita. Chi al tifo ha preferito la gita mette gli sci sullo zaino di fronte alle terme di Vinadio. Qualcuno chiede “Ma hanno passato il cancelletto?” certo che sì, avevi dubbi? L’han passato eccome, mica come noi che alle 9 siamo ancora lì a gabolare con gli attacchi degli sci.

Si sale, ognuno con il suo passo, noi.
Si sale e si scende, con ritmi che è difficile immaginare, figuriamoci descrivere, loro.

1900 metri di dislivello in meno di due ore, loro. 1300 in oltre tre ore, noi.
Alla piramide che porta in vetta, ammettiamolo per dovere di cronaca, ai nostri atleti non ci pensavamo più: chi è salito agile e veloce, chi ha rallentato il passo talmente che l’istrutture di turno si è offerto di prendersi nello zaino la roba più pesante, chi ha messo a dura prova i propri nervi su questa neve che non tiene, chi ad ogni gucia prometteva “il prossimo anno mi alleno di più”.

Il piede fermo e veloce su creste sottilissime sopra i 4000, loro.
Il culo a terra per una gucia sbagliata sulla piramidina della vetta, noi. Chi lo sa fare, disegna curve perfette nella discesa, su una neve bella e trasformata sotto il sole primaverile. Gli altri le disegnano un po’ meno perfette, ma sempre con il sorriso. Qualche canalino da stare attenti, qualche bella curva tra i pini, con la silenziosa soddisfazione del non averne centrato nemmeno uno.

Fatta eccezione per un ginocchio, tutti sani e salvi al parcheggio, noi.
Tutti al traguardo, loro? Non si sa. Le notizie non arrivano in tempo reale.
Ma alla cena all’osteria della pace, a Sambuco, dove pernotteremo, arriva l’aggiornamento del Diretur, e tutto ci è svelato. Luca e Raffaele hanno alleggerito il carico a Sara, dispensandole barrette ed energetici quando serviva purché salisse veloce. Ma quando c’era da scendere, starle dietro era tutt’altro che facile anche per due altleti come loro. Qualcuno ha avuto un momento di crisi (forse per solidarietà con Kilian?) ma l’affiatamento e lo spirito dei compagni lo hanno aiutato ad andare avanti e concludere l’impresa, in una gara in cui non conta il podio, conta arrivare, contano le emozioni e le sensazioni di ogni atleta alla partenza, sulla cresta del Castore, sul passo del Naso, sul ghiacciaio del Lys.

I calici si sono sollevati al merito per i nostri atleti, le forchette si sono abbassate sui cruset e sull’agnello sambucano, per i nostri stomaci.

Randagia, alla fine di un corso che ha mantenuto le sue promesse, e anche di più

Colle Tovetto, itinerario perfetto!

Posted on Aprile 21, 2013 by randagia

“Non è mai sensato mettersi contro la natura, a sto giro vince lei”, dice il saggio. Anzi la saggia, con le gambe sotto il tavolo. La neve scende calma e costante. Qualcuno da dietro le finestre aspetta ancora Babbo Natale, peccato che abbiamo già passato Pasqua. Siamo arrivati questa sera qui, al Rifugio Ciriè, Pian della Mussa.
La pioggia triste e grigia ha ridotto drasticamente il numero di partecipanti. Noi, per ottimismo o perché non avevamo di meglio da fare, abbiam messo gli sci ai piedi nel tardo pomeriggio all’ironico incitamento di “Sfruttiamo questa schiarita, ragazzi!”. Infatti partiamo con la schiarita e saliamo con la nevicata. Che poi quel bianco tra i pini, misto nebbia, in fondo piace pure. Dopo qualche minuto i colori delle giacche e degli zaini quasi non si distinguevano: tutti bianchi di neve. Saliti chiacchierando, o ascoltando le chiacchiere altrui, che risulta più comodo quando il fiato non abbonda. Chi conosceva la zona non aveva parole gentili per i sei chilometri di noiosa stradina per arrivare all’altro lato del Piano, dove c’è il rifugio. Chi non la conosce, oggi la apprezza, domani cambierà idea. Siamo arrivati in un’oretta, con qualche centimetro di neve accumulato sullo zaino, sui cappellini ed anche sui bastonicini. Sci accatastati all’ingresso e corsa alle stufe per asciugare l’asciugabile. Capi sintetici adagiati sui poutage a sfidare note leggi della fisica.
Se ne scende tanta così, domani mattina facciam colazione ad Ala. Il piano A, punta Adami, salta quando ci servono un fantastico risotto gamberetti e zucchine. Il piano B, Croce rossa della Sea, sfuma con lo strudel. “Non è mai sensato mettersi contro la natura, a sto giro vince lei”, dice il saggio. Il piano C inizia con “ubriacatevi ragazzi!”.
Al mattino, l’impavido di turno esce a fare i rilevamenti: oltre 60 centimetri di fresca. I canaloni non hanno ancora scaricato, e non saremo certo noi a farli scaricare. Non ci resta che la seconda parte del piano C: aspettiamo il Diretur e quelli che hanno puntato la sveglia alle 3 per raggiungerci da Torino, e con loro torniamo a valle, concedendoci però una deviazione collinare: la grande scalata al “Colle Tovetto”, 400 metri di dislivello, allenamento ideale per chi la prossima settimana parteciperà al Mezzalama, no? E’ tutta nel bosco, senza rischio quindi, o quasi. Un pendio un po’ più inclinato, senza alberi, ci fa mettere in pratica la “tecnica di alleggerimento”: uno per volta, che stiamo in sicurezza e diamo un po’ d’emozione. Al colle arriviamo tutti insieme, senza distacchi, roba che sulle gite serie degli ultimi tempi, dove accumulavamo ritardi di un’ora, ci sognavamo.
Si scende in un attimo, si toglie la neve delle macchine. La gita continua nella sua versione enogastronomica: acquisti di salame di Turgia e piola ad Ala.

Randagia, che ci si diverte anche quando ci si arrende.

Ferrata di Camoglieres – c’è processione e processionaria

Posted on Aprile 14, 2013 by randagia

Quattro donne, quattro uomini. Destinazione Ferrata di Camoglieres, Val Maira.
Tappa d’obbligo a Verzuolo, ma no, non alla pasticceria della piazza dove si ferman tutti. Al baretto poco più in là, dalla barista dagli occhi blu e dal bel sorriso, molto apprezzati soprattutto quando si gira a fare il caffè.
“Ragazze, non è colpa nostra, ste gite all’inizio eran di soli maschietti, e poi è diventata tradizione fermarsi qui…”. Nessuna obiezione: in fondo ci portano ovunque, ci fanno scegliere le destinazioni, c’è sempre una corda pronta, un cancelletto controllo nodi pre-partenza, e soprattutto, quell’atto da gentlemen che la macchina una donna non la prende mai: e non stiamo a menarla, su queste cose mica insistiamo per la parità.

Una giornata di sole pieno e nuvole in sciopero. All’attacco, tre ragazzi che stanno rinunciando. Troppo difficile per loro. Peccaro. L’uomo con la corda detta l’ordine di partenza e si parte, sento le risate isteriche della new entry qualche cambio più giù. Ohi, mi preoccupo? Chiedo notizie all’uomo con la corda che mi tranquillizza “No, no tutto bene. Come? Risate isteriche? Che ne so se erano isteriche, rideva, ho dedotto che andasse tutto bene…”. Guardo giù, e i tre ragazzi che sembravano aver rinunciato stanno salendo: ci han visti e han pensato “Se ce la fanno quelli!”. Grazie, la nostra buona azione per oggi è fatta.

La ferrata si articola in cinque segmenti distinti, dopo ogni tratto una via di fuga. Ma le vie di fuga, o vie di figa, come qualcuno si è premurato di correggere su qualche cartello, non sembrano servirci. Un pilastro, due. Il “cordino corto”, il più amato dalle donne, aiuta nei cambi più difficili. La bellezza del paesaggio, anche se qualcuno non osa guardare giù, accompagna in quelli semplici. Lunghissime cordate di processionaria, o “gatte” ci tagliano la strada: sembran millepiedi che van tutti avanti in fila, ma si tratta di un parassita dei pini urticante per gli umani. Un ponte tibetano da 50 metri, niente male: ma com’è che quando hai imparato a fare quelli con una fune sola per i piedi, qui te ne mettono due? E’ comunque facile, solo luuuuuungo. Qualcuna sculetta nell’attraversamento, qualcuno si limita a due paroline contro il vento, che fa ondeggiare più del dovuto. I più concentrati non hanno neanche sentito il potente odore di campagna che la valle emanava in quel tratto.

Ultimo segmento, il più difficile, il più strapiombante. Uno di noi rinuncia, l’uomo con la corda, un po’ preoccupato per la new entry le dice “Io non ti consiglerei di farlo, poi valuta tu”. Diciamo che se gli uomini non sanno leggere tra le righe, le donne non sanno leggere tra le rocce: “Ah beh se non me lo consigli, non mi dici di non farlo, quindi vengo!”. Nonostante la mia traduzione in tempo reale “Secondo lui è meglio che non la fai, solo che non si osa dirtelo”, l’entusiasmo della new entry è troppo alto e chi la ferma più? “Allora dai ci provo, se ho problemi… che succede?”. La solita voce tranquilla afferma “Al massimo c’è una corda, in qualche modo se ne esce”. L’ultimo pezzo è bellissimo, due tratti strapiombanti, ma con parecchi ferri, e anche chi ha gambe corte e culo grosso se la cava. La new entry, neanche un problema: gran donna, arriva su con un sorriso smagliante e festeggiata da tutti! Ancora quattro passi per arrivare in vetta, firma del libro (grazie a quel Gigi che l’ha portato su!), e giù a spaparanzarsi al sole.

Randagia, che è primavera svegliatevi cordini…

L’uomo con la corda

Posted on Marzo 18, 2013 by randagia

Ferrata de La Brigue

In collina si iniziano a vedere le primule, le giornate sono più luminose, c’è aria di primavera, c’è aria di ferrate. “Andiamo a fare la Brigue! E’ tutta al sole”. Hai iniziato l’anno scorso, non ha mai osato superare il livello D (difficile), lasciandolo per l’anno successivo. Eccerto, ma non intendevi per la prima ferrata dell’anno successivo! Peccato o fortuna, non hai letto la relazione tecnica, quindi non lo sai.
Si paga l’ingresso all’azienda di turismo, 5 euro prezzo ufficiale, cui viebne applicato uno sconto su base simpatia, credo.

“Randa, devo prendere la corda?” Sì, certo. Che non si sa mai.

Si parte in verticale, ovvio, le ferrate non sono in piano. Sì, ma c’è verticale e verticale: questo ti sembra verticale tanto, ma sarà solo che non sei più abituata. Sali un pofrom_unixtime( l’allegria del paesaggio ti prende. Sali ancora un pofrom_unixtime( le braccia danno segni di affatacicamento. Una nicchia nel primo pilastro ti invita a sedertici dentro, come le statuina della bambina con l’agnellino che mettevi sulle montagne del presepio, e stava lì, fino a Natale. Pensi di stare lì, fino a Pasqua. Ma è un po’ troppo presto per arrendersi, e non hai nessun agnellino da fare arrosto. Sali ancora un pofrom_unixtime( una vocina dentro ti dice “Dopo una stagione passata a tentare di allenare il fiato, vai a fare una ferrata dove servono le dimenticate braccia? Ma se vai a dare un esame di storia, prima ripassi inglese? Se vuoi farti segare, magari sì.” E infatti a farsi segare sono le braccia. I battiti salgono, per il panico non per la fatica, il cuore si è spostato nelle narici. E’ bastato un quarto d’ora, in cui non hai applicato nessuno dei trucchi imparati l’anno prima, per trovarti panata. Possibile che tu non abbia imparato niente? Sì sì, una cosa te la ricordi: attacchi il cordino corto, lasci giù le braccia, e stai seduta sull’imbrago urlando un “Raga, aspettate che non ce la fo di braccia!”. Chi ti conosce meglio, annuisce e tace. Chi ti conosce meno, continua a fare incitazioni. Chi è più esperta, ti consiglia “Molla giù tutte e due le braccia, poi quando te la senti, levati veloce di lì che ti manca un cambio e sei fuori”, e con andi materno aggiunge “Vuoi che ti venga vicino lui che ha la corda?”. L’uomo con la corda e con la fiducia, mi comunica pacato “Ti aspetto qui!”. Eh, arrivarci “qui”. Gli avambracci, rossissimi, sono duri: il “cicin” che li caratterizza si è pietrificato. Minchia Randa, le gambe! Dovevi usare di più le gambe, ricordi? ‘Ca troia, invece hai fatto la figa, un ferro dopo l’altro e su veloce. E mo? E mo stai lì appesa finchè il cicin si depietrifica. Ti aspettano, il tempo che ti serve, non ti mettono fretta, non ti mettono ansia, per questo adori i tuoi compagni di gita. Quando riprendi, sali gli scalini ricordandoti bene di metterci su entrambi i piedi e alzarti di gambe, tieni le braccia tese il più possibile, e vai su senza fermarti. Il cuore torna nella cassa toracica, gli occhi ridono, anche questa è fatta. “A posto Randa?” Eh si, un po’ idiota ma a posto. Passato il primo pilastro le cose si semplificano, sempre esposta ma non così strapiombante, la ferrata percorre tutto il massiccio in traverso, per poi regalare una bella tyrollien, senza farsi mancare i ponti delle scimmie, nove in tutto, neanche necessari, ma messi lì per il divertimento delle masse. Tutti i ponti sono rivolti alla parete, tranne l’ultimo, da fare faccia a valle: come se servisse a mantenere l’equilibrio fissi quell’albero, sulla montagna innevata davanti a te, ma poi ti fai prendere, e lasci che lo sguardo spazi su tutta la valle, i piedi scandiscono un passo dopo l’altro, gli occhi una vetta dopo l’altra, un sorriso al cielo su e uno sguardo al paesino giù. All’arrivo uno ti dice “Sto ponte si sentiva nelle braccia”. Dirà davvero o per prenderti per il culo? Non chiedertelo, ma soprattutto non chiederglielo. La ferrata continua ancora per alcuni traversi, e poi scende verso il sentiero. La roccia nei tratti più bassi, mista cespugli, un po’ si sfalda, ma poco.
Tutti entusiasti, andiamo a mettere le gambe sotto il tavolo, facciamo un tour per il paesino di Briga, che qualcuno valuta come possibile meta di una tre giorni romantica, e poi si rientra, con la tappa alla Venchi a Vernante.

Randagia, che tra fiato e braccia, è meglio allenare la memoria!

PS: se volete fare la ferrata di Brigue, qui la relazione seria.

Hai mai provato a guardare l’alba dall’alto?

Posted on Febbraio 14, 2013 by randagia

6 Dicembre 2011.

Così è cominciato tutto. Quando ancora pensavo che la montagna fosse posto da tranquilli pic-nic domenicali, da spaparanzi al sole. “Tu non sai quant’è bello guardare l’alba dall’alto!”. Certo che no. Io l’alba la vedevo solo in sogno, perché mai avrei dovuto svegliarmi così presto? “Dai, prova una volta”. E proviamo, giusto perchè a dirmelo è un gran bel tocco d’uomo. “Passo a prenderti alle 5:30”. Del mattino.
Abbigliamento a cipolla, che la parola “materiale tecnico” mi sa di snob: maglietta di cotone del mercato, pile della volontaria olimpica, sciarpetta indiana che tiene tanti ricordi ma poco caldo. Bastoncini e scarponi. Cinque e trenta. Pure puntuale. Abbigliamento supertecnico lui, tutto una marca. Scarpe da corsa. Giuda faus, sarà dura. Si attraversa Torino in un attimo a quelle ore, e arriviamo a Piossasco. Buio pesto, e bisogna piazzarsi in testa questo elastico con la luce, per capire dove mettere i piedi. L’elastico con la luce è quello che i tecnici, o gli elettricisti, chiamano “la frontale”. E cammino, con il mio lampione personale. Solo il mio, perchè l’altro è avanti passi luce. Fatico, inizio ad aver caldo e a smontare la cipolla. Fa bella mostra di sé la maglietta da mercato, scollata, coperta dalla sciarpina. “Minchia Randa, non ti si può guardare! Ma il cotone manco mia nonna lo mette più. E sta roba al collo che è? Te oggi ti prendi un accidente”. Oh, sarà anche un bel tocco, ma sulla simpatia ci sarebbe da ridire. Continuiamo a salire, tranquillo lui, che parla e ride. Sfatta io, che arranco e ansimo. Un’oretta abbondante e siamo su. Sotto, la città che si sta svegliando. Mai notato che i primi a muoversi sono i furgoni della nettezza urbana, con i loro lampeggianti gialli? Intorno, l’alba sta illuminando una ad una tutte le nostre montagne: la croce bianca del Musinè, il Monviso, lontano ma inconfondibile, e tutte quelle altre di cui non so il nome, ma tutte insieme, ordinate, nel rosa del mattino hanno un fascino unico. Quasi dimentico che un’ora prima ero in città. Ho rimesso su tutti i miei strati di vestiario, e starei lì tranquilla a godermi questo spettacolo gratuito, quando mister abbigliamento tecnico confessa: “Sai questa roba tiene caldo quando ti muovi, ma da fermi no. Scendiamo?” E certo, scendiamo. In fondo sono addirittura due minuti che ho ripreso un respiro normale, perchè mantenerlo? Almeno a scendere non sarà tanto faticoso. Povera ingenua! Il volto serio di un omino verde si para davanti a noi. Un extraterrestre? No, una guardia forestale: “Dove pensate di andare voi? Sapete che c’è una battuta di caccia al cinghiale in corso? Come siete arrivati qui? Ma non li leggete i cartelli?”. Noi i cartelli li leggiamo anche, solo che se tu li metti dopo che noi siam passati, vien difficile. E quindi? “Adesso dico alla radio a questi poveri quaranta cacciatori di fermarsi, e voi svelti scendete e speriamo che nessuno vi spari addosso!”. “Certo scendiamo di corsa”. Se non gli sparano loro, quando arriviamo sotto, il “tocco d’uomo” lo ammazzo io. E via si scende. Di corsa? Di corsa, io? Io se corro cado, ringrazia che provo a spicciarmi. Sto stambecco parte, urlandomi ogni tanto “attenta qui, radice!” “attenta qui, pietra!”. Abbastanza inutile: quando alzo gli occhi per vedere dove è “qui”, quello è già 20 metri sotto, e chissà a che radice, a che pietra avrei dovuto stare attenta. Affranto, mi guarda e mi dice “Ma non puoi… correre?”. E che gli dico? “Sì potrei, ma preferisco volare?”. Nella mia affannata discesa per uscire dal campo minato, quella quarantina di cacciatori in pausa forzata si prodiga in frasi di incitamento che mai avrei immaginato “Vada tranquilla, signorina!”, “Vada piano, signorina!” “Vai tranquilla, meglio te viva che un cinghiale morto!”. Ecco questo il primo complimento della giornata. Arrivo viva a valle, fuori dalla zona minata, i cacciatori possono riprendere la loro battuta. Le mie gambe tremano, per l’ansia, per la paura, per la fatica, ma nei miei occhi si legge un chiaro “In fondo mi sono divertita”. Solo negli occhi, perchè il fiato per dirlo non ce l’ho.

E’ passato poco più di un anno. Adesso non esco alle 5:30 per andare al San Giorgio col primo tocco d’uomo che mi invita. Adesso esco alle 6:00 per salire a Superga con gli amici, per salire il sentiero 65 del parco, mentre la città si sveglia e le montagne “mi fanno ciao”. Per sentire le nostre chiacchiere che si diradano, fino ad annullarsi in profondi respiri negli ultimi metri, mentre il cielo si sta accendendo. Oggi c’è la neve. I cani delle case, la cui indifferenza ci lasciava delusi nei giorni più freddi, oggi abbaiano al nostro passaggio. La frontale non serve quasi più. Sarà per la neve, sarà perchè siamo a metà febbraio, ma l’alba oggi arriva prima. Qualcuno va su tranquillo, qualcuno con il fiatone dalla prima scorciatoia, io mi sento come su un tapis roulant farlocco: vado due passi avanti, e scivolo uno indietro. Bella la neve. Arriviamo alla Basilica. Cielo terso. La nostra Torino lì sotto, la Mole che ci solletica il naso. Quelli bravi riconoscono anche i corsi e li indicano per nome. Le montagne bianche sotto la luce rosa mi dipingono un sorriso compiaciuto. Scendiamo subito, che l’abbigliamento minimale che abbiamo va bene se ti muovi, ma se stai fermo, hai freddo. Un classico. In discesa qualcuno plana da un albero all’altro come una scimmia volante, qualcuno corre leggero sul manto bianco, io mi tengo in bilico con i bastoncini e qualche preghiera.
Scivolare sulla neve fresca prima di colazione, è un’emozione da bambini. La colazione da Gallizioli, a San Mauro, è un lusso da adulti.

Randagia, che sa quant’è bella l’alba vista dall’alto

Con la luna e con la neve

Posted on Gennaio 31, 2013 by randagia

Classico ritrovo a bordo città per fuggire più in là, dove le valli danno il meglio di sè, dove i palazzi smettono di occupare l’orizzonte e lasciano spazio alle montagne. Più o meno bianche. Per gentile concessione dell’organizzatore, le donne sono esonerate dalla guida. Mai capito se sia semplice galanteria o assoluta, quanto fondata, sfiducia nella guida femminile su neve. Le partecipanti apprezzano, e non sembrano alla ricerca di disperate dimostrazioni di parità dei sessi, non oggi.
Non abbiamo certo fatto a meno del classico personaggio ritardatario, che preso da crisi isterica da smarrimento tra Borgaro e Venaria, note metropoli, ti urla al telefono “Voi andate, io non ce la farò mai!”. Sì, sì, il personaggio in causa non è maschile, perché, si sa, l’uomo in auto non deve chiedere mai e non si perde mai. E se anche si perdesse, direbbe che non viene perchè Belen l’ha invitato a cena. Ma la solidarietà femminile fa miracoli, ripeschiamo la malcapitata in una rotonda e via, siamo ancora in orario per l’appuntamento finale a Balme. Venti lumini si muovono nel buio e nel freddo, qualcuno si conosce già, qualcuno si conoscerà, qualcuno “Ma dai, ci sei anche tu?”. Baci e abbracci.
La luna piena, il cielo terso, le luci frontali accese ad accecare chiunque osi guardarti mentre smadonnando cerchi di chiuderti le ciaspole. A ciaspole indossate, spegniamo la frontale: la luna e la neve consumano meno. E saliamo, su una strada larga e battuta. Qualcuno parte a scheggia, e lo vedrai solo in cima. Qualcuno ha paura a muovere i primi passi: ammettiamo che iniziare la salita da un letamaio non è propriamente geniale. Ogni tanto ci si ferma a guardarsi attorno, non che questa valle sia la più bella del mondo, ma questa sera anche lei ha il suo fascino. Allungo il passo per chiacchierare con uno, lo accorcio per parlare con l’altra, tengo il mio e parlo con chi mi capita. Un’oretta di chiacchiere e visi sorridenti ed eccoci arrivati: Agriturismo la Masinà. Peccato per il lampione che proprio bene non sta. Proseguiamo ancora un pofrom_unixtime( della luce artificiale oggi non ne vogliamo proprio sapere. Il bosco, la neve, la luna. Due foto. Due “ooooooooo”. E poi il silenzio, il silenzio della montagna, il silenzio della natura, il silenzio del “Cazzo son entrati tutti, non ci lasceranno niente da mangiare!”. Un improvviso disinteresse per la luna piena, un esagerato desiderio di avere piena la panza: torniamo all’agriturismo a grandi falcate. In fondo ci hanno aspettati. Il vino è abbondante, le porzioni meno, ma per fortuna abbiamo chi non si fa troppi problemi e informa i camerieri che il cibo “non basta”, e viene ascoltato. Le donne sono un po’ distratte dalla sfilata PittiUomo che si sta accomodando al tavolo vicino, ma prontamente la compagnia riguadagna il loro interesse: “Avete notato che son tutti uomini? E che qualcuno ha anche l’orecchino?”. No, però abbiamo notato che noi stiamo ridendo di più. La cena va: affettati, vitello tonnato, polenta e suatisa, polenta e spezzatino, la concia, torte di mais o di cioccolato, il caffè, il pusa cafè. Venti euro. Non male.
Qualcuno si ferma a dormire lì, mentre gli altri scendono, tirando gran pacche sulle spalle a chi ha organizzato la serata, tenendo sempre alto il volume delle risate, alla faccia del silenzio della luna e della neve.

Randagia, che tra un mese la luna è piena di nuovo…

Tra la Sacra e la Luna

Posted on Giugno 8, 2012 by randagia

Un’idea buttata a caso in un parcheggio. E raccolta. Subito. Come tutte le peggio boiate. E come tutte le peggio boiate va realizzata. Una ferrata in notturna con la luna piena.
E allora si aspetta, si aspetta la luna piena. Ma non una luna piena qualunque, una di quelle che i Maya ti raccomandano. Tanti “Io ci sono!”, entusiasti. Qualche “Non ce la faccio, passo.”
Un paio di macchine. Si chiacchiera. Si ride. Destinazione Caprie, ferrata di Rocca Bianca. “Dobbiam portare su il diario di vetta nuovo”. Eh già, che non lo gestisce la forestale, o il comune. No, va su base volontaria. Lo gestisce Franco. E lo scopri sul momento. Franco, che a Rocca Bianca ci sarà salito seicento volte. Franco, che la fa ad occhi chiusi, altro che in notturna. Franco, che conosce tutte le pietre per nome. E inauguriamo il quaderno nuovo, che tanto il peso, lo porta Franco!
Avigliana ovest.  Ma è presto. Alle otto e mezza è ancora chiaro.  Gli uomini veri vogliono la notturna vera. Le donne no. Quindi si parte, con il chiaro. Che il buio verrà. Pila frontale sul casco. Qualcuno la accende: “Distisa, badola! (spegni, badola!) che poi quando ti serve le batterie non le hai più”. Dopo pochi minuti i primi reclami:  “Oh, se andate veloci così, abbiam tempo a farla due volte prima che venga il buio!” Ma chi è in testa, se ne frega. E anche chi è in coda. Ognuno sale con il suo beato passo. Ridendo e scherzando. Ma sta luna dov’è? Non si vede. Poco importa. La Val di Susa ai tuoi piedi ti piace. La Sacra di San Michele si illumina, e se accende la luce lei, le accendete anche voi. Una fila di otto lumini che sale seguendo un ritmo tutto suo. Ma la luna? Superi il tratto dove qualche mese fa, alla tua prima ferrata, ti eri schiantata contro la roccia, “propri da piciu” pensi. E forse dici, ma nessuno rincara la dose. Son amici.
Ponte Tibetano. Lo attraversi con il volto verso la valle, che è là in basso. Tanto in basso. Senso di vuoto, chiappe strette, un passo dopo l’altro sul cavo. Sotto di te luci bianche e rosse marcano il disegno dell’autostrada che taglia la valle. C’è chi vorrebbe non vederle. La TAV non si vedrà. Forse non passerà neanche di là. C’è chi vorrebbe non averla. Ma no, a questo non pensi mentre sei lì.  La Sacra continua a far luminosa mostra di sè a destra.  A sinistra, spunta la luna tra le nuvole. Sembra un gioco di luci. Son et Lumieres. Guarda la Sacra, guarda la Luna, ma minchia non guardare giù o finisce che le previsioni maya con te ci azzeccano. Un passo. Un altro. Fatta. Niente male sta bassa Valle di Susa. Passano anche gli ultimi della fila, mentre il panorama è sempre più spettacolare.
Un po’ il ridere, un po’ la stanchezza, non riesci più a salire, e sbagli. Sbagli a dire, ridendo, “Non riesco, datemi una mano” . Perchè la mano te la danno, anzi due. Sul culo però. E sali. In punta ormai c’è uno studio fotografico: cavalletto, flash, non flash. “E spegnete quelle frontali che la foto non viene”. Le spegnete. “E accendete ste frontali e guardatevi tra di voi, o la foto non viene!” Allora, ci si decide? Acceso o Spento?” Uno scatto dopo l’altro, una frase sul libro di vetta, che riponiamo nell’apposita casetta di legno, sempre tutto “powered by” Franco. E poi tocca scendere. Parti in prima fila, che scendere è facile. All’urlo di “Aspetta che ti faccio vedere lo gnomo!” Franco passa in testa. Ah, si dice così adesso? Lo gnomo? Una volta era il cobra, il serpente. Ora è lo gnomo? Si vede che gli anni passano per tutti. E mentre scendete eccolo lì lo gnomo: il cappello, il naso, gli occhi. Quando Franco diceva di conoscere ogni singola pietra di rocca bianca non stava scherzando.

Randagia, che la luna piena è solo una volta al mese

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