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meteo miracolo

Posted on Febbraio 24, 2013 by randagia

Il tergicristallo va, a spazzare la neve mista a pioggia. Oggi saremo pochi, penso, con sto tempo. Pochi un corno, ci son tutti, o quasi. Mi addormento sul bus, con la neve che cade e tutto grigio intorno. Mi sveglio che siamo già fuori dall’autostrada. Non nevica più. Si parcheggia alla pista di fondo di Flassin (1370m), frazione di Saint Oyen. La sbisa non manca: partiamo su un ampio pendio, con il passo deciso di chi vuole scaldarsi. Dieci minuti e il parcheggio non si vede più. E’ la prima gita in cui le piste da sci non ci seguono: era ora! Sembra quasi facile, peccato che qualche insignificante cunetta mi ricordi che la fifa anche oggi è salita sugli sci con me. Ma come faccio ad avere fifa in un posto dove, se cado, mal che vada, mi rompo un’unghia? “Randa, un passo dopo l’altro, non ti fermare su ste…” E lo so che voleva dire “cazzate”, ma non lo dice. Un signore. Il cielo si fa azzurro, di quell’azzurro che è ancora più bello quando parti aspettandoti il peggio. Il livello di allegria aumenta, e si impenna pensando alla discesa. Tanti alberi. Tanto bianco. Tanto silenzio? Sì, prima che arrivassimo noi. Qualcuno chiacchiera di più, qualcuno di meno, quanto il fiato permette. Una valanga si è sfogata qualche tempo fa nel valloncello a sinistra, li vedi quegli alberi spezzati a destra? Quelli sono il risultato di una valanga di neve polverosa. Le vedi le cornici lassu’? Tutte portate dal vento, non devi starci sotto, e neanche sopra. Perchè tu pensi che sia rilassante camminare sulla neve: sì lo è, alla Pellerina, quando invece vieni da queste parti, un po’ all’occhio devi stare. Si arriva alle baite Tsa de Flassin, candidata meta in caso di maltempo: ma il sole splende, e quei pendii poco sopra ci stanno chiamando. Una bevuta di té, e si continua a marcè. Qualcuno allunga da Testa Cordella, qualcuno si dirige al colle, che basta e avanza. Chi ha fiato e gambe, lasciati gli sci sale sulla Cima Flassin. E poi giù. Giù! Neve da 5 stelle, dice chi ne sa. Il mio gruppetto, come tanti altri, va alla ricerca del pendio vergine, di quel tratto dove non è ancora passato nessuno, un foglio bianco su cui dipingere o scarabocchiare le nostre curve. “Randa, non è possibile che ti fermi dopo ogni curva, una di fila all’altra le devi fare. Adesso vienimi dietro!” E mi si apre un mondo. vero che a “chiuderle” le curve evito l’effetto accellerazione incontrollata, vero che a farne una dopo l’altra la fifa mi molla, ed il divertimento inizia. Mi si spalma un sorriso in volto, che tarderà a svanire.

A valle ritrovo volti soddisfatti quanto il mio, entusiasti dalla neve, increduli del meteo-miracolo, esaltati dal lardo e miele, frutto della collaborazione attiva di due allievi del corso.

Unico neo: barella di emergenza, un ginocchio non è arrivato a valle sano, e a lui vanno tutti i nostri “in bocca al lupo” per riaverlo con noi alla prossima gita.

Randagia, che non sa valutare le stelle, ma è sicuramente per una giornata così che si era iscritta !

Hai mai provato a guardare l’alba dall’alto?

Posted on Febbraio 14, 2013 by randagia

6 Dicembre 2011.

Così è cominciato tutto. Quando ancora pensavo che la montagna fosse posto da tranquilli pic-nic domenicali, da spaparanzi al sole. “Tu non sai quant’è bello guardare l’alba dall’alto!”. Certo che no. Io l’alba la vedevo solo in sogno, perché mai avrei dovuto svegliarmi così presto? “Dai, prova una volta”. E proviamo, giusto perchè a dirmelo è un gran bel tocco d’uomo. “Passo a prenderti alle 5:30”. Del mattino.
Abbigliamento a cipolla, che la parola “materiale tecnico” mi sa di snob: maglietta di cotone del mercato, pile della volontaria olimpica, sciarpetta indiana che tiene tanti ricordi ma poco caldo. Bastoncini e scarponi. Cinque e trenta. Pure puntuale. Abbigliamento supertecnico lui, tutto una marca. Scarpe da corsa. Giuda faus, sarà dura. Si attraversa Torino in un attimo a quelle ore, e arriviamo a Piossasco. Buio pesto, e bisogna piazzarsi in testa questo elastico con la luce, per capire dove mettere i piedi. L’elastico con la luce è quello che i tecnici, o gli elettricisti, chiamano “la frontale”. E cammino, con il mio lampione personale. Solo il mio, perchè l’altro è avanti passi luce. Fatico, inizio ad aver caldo e a smontare la cipolla. Fa bella mostra di sé la maglietta da mercato, scollata, coperta dalla sciarpina. “Minchia Randa, non ti si può guardare! Ma il cotone manco mia nonna lo mette più. E sta roba al collo che è? Te oggi ti prendi un accidente”. Oh, sarà anche un bel tocco, ma sulla simpatia ci sarebbe da ridire. Continuiamo a salire, tranquillo lui, che parla e ride. Sfatta io, che arranco e ansimo. Un’oretta abbondante e siamo su. Sotto, la città che si sta svegliando. Mai notato che i primi a muoversi sono i furgoni della nettezza urbana, con i loro lampeggianti gialli? Intorno, l’alba sta illuminando una ad una tutte le nostre montagne: la croce bianca del Musinè, il Monviso, lontano ma inconfondibile, e tutte quelle altre di cui non so il nome, ma tutte insieme, ordinate, nel rosa del mattino hanno un fascino unico. Quasi dimentico che un’ora prima ero in città. Ho rimesso su tutti i miei strati di vestiario, e starei lì tranquilla a godermi questo spettacolo gratuito, quando mister abbigliamento tecnico confessa: “Sai questa roba tiene caldo quando ti muovi, ma da fermi no. Scendiamo?” E certo, scendiamo. In fondo sono addirittura due minuti che ho ripreso un respiro normale, perchè mantenerlo? Almeno a scendere non sarà tanto faticoso. Povera ingenua! Il volto serio di un omino verde si para davanti a noi. Un extraterrestre? No, una guardia forestale: “Dove pensate di andare voi? Sapete che c’è una battuta di caccia al cinghiale in corso? Come siete arrivati qui? Ma non li leggete i cartelli?”. Noi i cartelli li leggiamo anche, solo che se tu li metti dopo che noi siam passati, vien difficile. E quindi? “Adesso dico alla radio a questi poveri quaranta cacciatori di fermarsi, e voi svelti scendete e speriamo che nessuno vi spari addosso!”. “Certo scendiamo di corsa”. Se non gli sparano loro, quando arriviamo sotto, il “tocco d’uomo” lo ammazzo io. E via si scende. Di corsa? Di corsa, io? Io se corro cado, ringrazia che provo a spicciarmi. Sto stambecco parte, urlandomi ogni tanto “attenta qui, radice!” “attenta qui, pietra!”. Abbastanza inutile: quando alzo gli occhi per vedere dove è “qui”, quello è già 20 metri sotto, e chissà a che radice, a che pietra avrei dovuto stare attenta. Affranto, mi guarda e mi dice “Ma non puoi… correre?”. E che gli dico? “Sì potrei, ma preferisco volare?”. Nella mia affannata discesa per uscire dal campo minato, quella quarantina di cacciatori in pausa forzata si prodiga in frasi di incitamento che mai avrei immaginato “Vada tranquilla, signorina!”, “Vada piano, signorina!” “Vai tranquilla, meglio te viva che un cinghiale morto!”. Ecco questo il primo complimento della giornata. Arrivo viva a valle, fuori dalla zona minata, i cacciatori possono riprendere la loro battuta. Le mie gambe tremano, per l’ansia, per la paura, per la fatica, ma nei miei occhi si legge un chiaro “In fondo mi sono divertita”. Solo negli occhi, perchè il fiato per dirlo non ce l’ho.

E’ passato poco più di un anno. Adesso non esco alle 5:30 per andare al San Giorgio col primo tocco d’uomo che mi invita. Adesso esco alle 6:00 per salire a Superga con gli amici, per salire il sentiero 65 del parco, mentre la città si sveglia e le montagne “mi fanno ciao”. Per sentire le nostre chiacchiere che si diradano, fino ad annullarsi in profondi respiri negli ultimi metri, mentre il cielo si sta accendendo. Oggi c’è la neve. I cani delle case, la cui indifferenza ci lasciava delusi nei giorni più freddi, oggi abbaiano al nostro passaggio. La frontale non serve quasi più. Sarà per la neve, sarà perchè siamo a metà febbraio, ma l’alba oggi arriva prima. Qualcuno va su tranquillo, qualcuno con il fiatone dalla prima scorciatoia, io mi sento come su un tapis roulant farlocco: vado due passi avanti, e scivolo uno indietro. Bella la neve. Arriviamo alla Basilica. Cielo terso. La nostra Torino lì sotto, la Mole che ci solletica il naso. Quelli bravi riconoscono anche i corsi e li indicano per nome. Le montagne bianche sotto la luce rosa mi dipingono un sorriso compiaciuto. Scendiamo subito, che l’abbigliamento minimale che abbiamo va bene se ti muovi, ma se stai fermo, hai freddo. Un classico. In discesa qualcuno plana da un albero all’altro come una scimmia volante, qualcuno corre leggero sul manto bianco, io mi tengo in bilico con i bastoncini e qualche preghiera.
Scivolare sulla neve fresca prima di colazione, è un’emozione da bambini. La colazione da Gallizioli, a San Mauro, è un lusso da adulti.

Randagia, che sa quant’è bella l’alba vista dall’alto

Cuore e stomaco

Posted on Febbraio 5, 2013 by randagia

Pullman da Mirafiori, meta Monte Creusa, da Limonetto. La prima uscita pelli ai piedi. Ci dividono a gruppi: tre allievi due istruttori, che se uno si impappina almeno un istruttore con lui rimane. E ci fanno l’annuncio “Ragazzi, abbiamo sbagliato, oggi ci sono qui anche quelli della scuola Sucai, ma loro vanno su un colle, noi sull’altro”. In fondo la montagna è di tutti. Noi 40, loro forse 100. Tanti omini che salgono così, a linea continua, non li avevo mai visti. La montagna sarà anche di tutti, ma almeno si potrebbe fare a turni? Al confronto le piste sembrano deserte. Non pensiamoci, concentriamoci sulla salita che già darà i suoi problemi. In gruppo con me quelle che il Diretur chiama “le due toste del bosco”. E toste sono: attrezzatura “aggressive” e fisico longilineo. I miei chili di troppo invece, non mi lasciano sola neanche oggi. Come dicono gli amici NoTav “sarà dura”. Ed infatti lo è: io voglio andare avanti, gli sci scivolano indietro. Il mio angelo custode del giorno, che non ha le ali ma indossa quella giacca con scritto “istruttore”, mi spiega che se evito di grattare con il naso la punta degli sci, ma sto un po’ più perpendicolare al terreno, le pelli fanno il loro dovere. E mica conta balle. Si sale. Le longilinee partono con un passo invidiabile, che subito seguo, poi mi limito ad invidiare. Zig. Zag. E la spiegazione della curva in salita. Zig. Zag. Che se non l’hai capita la rispiegano. Zig. Zag. A fa caud. Zig Zag. Zig. Zag.”53!” urla l’angelo custode. Quando la fatica già si fa sentire, subentra il panico “53 Zig Zag ancora??!!” No, 53 sono le persone davanti. Tra le due cose, non so cosa sia peggio. Forse con 53 Zig Zag la tecnica della curva l’avrei capita! Poi la neve si fa più dura, qualcuno cade. Parola d’ordine “coltelli”, quelle lame in più da agganciare tra sci e attacco.
Quando arrivo alla cima, affollata come Rimini a Ferragosto, non distinguo più i nostri da quelli dell’altra scuola. Ma non dovevano andare sull’altro colle? O i colli son così vicini? Troppo vento per farsi tutte queste domande. Due passi senza sci alla cima. Troppo vento per mangiare qui. Togli le pelli, blocchi gli attacchi per la discesa. Il solito casino per azzeccare il punta, ma poi un colpo di tacco e son fissati. E intanto ammiro qualche “leggera” impegnatissima in forsennati colpi di gamba per chiudere l’attacco, che sta sprecando probabilmente le stesse energie che io ho speso fin qui per starle dietro. La soddisfazione di qualche chilo in più. Il pendio è largo, e non è ripido. Scendere non sarebbe difficile, se non ci fosse quest’orda di cristiani da far invidia al Sestriere sotto le feste di Natale. Aspettare dieci minuti che scendano gli altri? No, qui aspettare non si fa. E si scende, sulla famigerata e attesa neve fresca. Sperando che nessuno ti infili, perchè se in pista riesci ad evitare gli altri, qui puoi solo sperare che gli altri riescano ad evitare te. Peccato che lo stiamo sperando tutti.
Arrivati a valle, il sole ci scalda ancora mentre assistiamo alla “demo” della ricerca del travolto, pensando ognuno con il suo io “Se toccasse a me, avreste tempo a morire, e non ne serve tanto.”. Ma impareremo no? E’ solo questione di allenamento.
Qualcuno arranca verso il pullman chiedendosi chi gliel’ha fatto fare, qualcun altro sfoggia un sorriso estremamente goduto, qualcuno toglie gli scarponi con un sospiro di sollievo, ma la maggior parte dei volti dice “fame”. E dagli zaini, dalle sacche degli scarponi, da angoli reconditi escono quiche, salami, tome, paste di meliga, torte, casse di birra.

Randagia, che la montagna riempe il cuore, ma anche lo stomaco vuole la sua

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