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Sportivamente

Posted on Aprile 22, 2019 by randagia

Punta arbola con gli sci

Posted on Maggio 11, 2018 by randagia

Ma la Cialma dov’è?

Posted on Gennaio 29, 2018 by randagia

Uno snow leopard alla Lamet

Posted on Maggio 27, 2017 by randagia

La Traversata dei Re Magi

Posted on Aprile 2, 2015 by randagia

E’ una manifestazione storica, una roba turistica, una passeggiata. Con queste parole ti convince e ti iscrive alla decima edizione della “traversèe des rois mages”, una escursione scialpinistica che ogni anno, dall’olimpico 2006, il Cai di Bardonecchia e il Caf di Modane Valfrejùs organizzano, per commemorare una storica traversata alpinistica. Le prime edizioni sono state agonistiche, con tanto di pettorali, imbrago e salita alla vetta Thabor. Le ultime più turistiche, o per lo meno senza pettorali e imbraghi, dichiaratamente aperte a tutti.
Traversata dei Re Magi
Quest’anno si parte dalla Francia, da Valfrejus e si arriva a Bardonecchia. Tocca quindi a noi italiani svegliarci prima per andare in bus dagli amici d’oltralpe. L’appuntamento è a Pian del Colle alle 6:30, che poi sono le 5:30 con l’ora solare. E’ buio. Tu sai infilarti gli scarponi al buio? No, ma il furgone parcheggiato vicino ti ospita sotto il suo invidiabile impianto di illuminazione. Son già simpatici sti partecipanti.
Quando arriva il pullmann si accendono le luci e si iniziano a vedere le facce altrui: tutti alti, magri, fisicati e marchiati con teste di leopardo da testa a piedi. L’attrezzatura non fa lo scialpinista? Forse no, ma ti dà comunque un’idea.

In bus si arriva Valfrejus, e mentre si registrano le iscrizioni, si consuma una colazione a “pain de chocolate” che mette il buon umore. Qualche faccia è conosciuta, qualcuna lo diventerà. Si parte con le pelli? Si parte in discesa? Si parte all’insegna dell’arrangiarsi. Poche le raccomandazioni: “La traccia è segnata, ci sono bandierine verdi e rosse, seguitele e fate dei piccoli gruppi”. Parte il primo gruppetto, due o tre persone che ti sembrano sfocate tanto son veloci. Parte il secondo gruppetto e non è da meno. Partono tutti gli altri: un unico gruppetto da cinquanta persone, una mandria. E trascinata dalla mandria, fai la prima salita. Al cambio d’assetto, c’è chi si toglie le pelli senza neanche togliere gli sci e chi invece le infiocchetta e le ripone nello zaino. Opti per la via di mezzo: le stacchi e le infili sotto la giacca, quella sana sensazione di umido sullo stomaco, che tanto bene non fa. La discesa è caotica, nessuna difficoltà tecnica effettiva se non schivare gli altri, che scendono come meteore impazzite. Una passeggiata turistica? Questi corrono! Ma chi te l’ha fatto fare di buttarti in questo caos? Ma una bella gita tra pochi amici, no?
Si ripresenta la salita, per fortuna. Pian piano il gruppo si trasforma da mandria al pascolo in processionaria in fila, il sole splende, il vento tira, la calca non c’è più. Trovi la tua dimensione: ne hai parecchi davanti, parecchi dietro, puoi andar serena. Qualcuno ti sorpassa dichiarando “Il n’est pas froid”, “gnanca na frisa” rispondi tu, con la pelle d’oca sotto le maniche corte. Qualcuno, nonostante la testa di leopardo in fronte, ti si affianca e fa due chiacchiere “La prima volta? In questa direzione è bella, ma nell’altra come sciabilità è migliore, ci vediamo l’anno prossimo”. Certo, perchè oggi mica riesci a stargli dietro. Ma va bene così.

Il sole se la gioca con il vento per regalarti degli spendidi scorci: sei in un corridoio bellissimo, sulle alpi. Non importa se siete uno o cinquanta, adesso quel panorama è tutto tuo, e nonostante la fatica, o forse proprio per la fatica, lo trovi bellissimo. Il fascino della traversata è anche questo: gli occhi non puntano alla vetta, all’arrivo, non sono chiusi in una valle, galleggiano su una, poi due, tre valli.

Chissà se davvero devi passare i Re Magi: mica li riconosci, non sei fisionomista con le persone, figurati con le montagne. Riconosci il Rifugio del Thabor però, dove qualcuno ti urla: “Vai che c’è una torta buonissima!”. Beh, c’era: perchè quando arrivi tu è rimasto solo il te con la frutta secca. Poco importa, ora si scende. Via le pelli per l’ultima volta e giù, parlando italiano con i francesi, e francese con gli italiani, confondendo la fatica con il divertimento, vivendo una splendida esperienza.

Arrivi ai rifugi della Valle Stretta, dove ti attende l’ultima fatica: il pranzo. Nell’attesa, ecco una coppia di turisti, italiani. Lui urla a lei “Cosa vuoi che ci diano da mangiare qui, con sto branco di coglioni che fa casino!”. Il branco, siamo noi. Informiamo la malcapitata che c’è una manifestazione scialpinistica qui, e magari all’altro rifugio ci sono meno “coglioni”. Lei arrossisce e si scusa “scusatelo, è arrabbiato perchè l’ho fatto salire a piedi, a lui piace il mare, a me la montagna ma sapete in una coppia…”. Ma cara figliola, butta un occhio sul ben di dio di figlioli del branco, e lascia perdere l’uomo da mare. L’amour a l’è nen pulenta. Ma che buona che è la pulenta, ottima conclusione di una divertente esperienza.

Il prossimo anno? Si rifà, certo. Complimenti agli organizzatori: per l’agilità nei trasporti, la qualità dei ristori, la costanza che ci mettono tutti gli anni.

Randagia, che tiene d’occhio il sito ufficiale http://traverseedesroismages.hautetfort.com/

E fu sera. E fu mattina.

Posted on Aprile 8, 2014 by randagia

E una gita ti fermi al colle, e l’altra arranchi talmente che non hai neanche realizzato dove sei passata. O cambi sport, o cambi gruppo. La seconda che hai detto. “Vieni con noi che siamo più tranquilli” ti dice chi li conosce. E tu vai. Sci ai piedi il venerdì sera, alle 19. Si stimano due ore per arrivare al rifugio Pontese, parola della rifugista. Un continuo gava e buta salendo da Locana alla Diga di Teleccio, ad un ritmo che ti chiedi “Ma questi non erano quelli tranquilli?”.
E fu sera. Si preparano le luci frontali, che quelle naturali stanno finendo. In lontananza la luce del rifugio. Si sale ancora, poi la neve finisce. Ed una traccia con la frontale la segui, ma quando la neve finisce? Cerchi i bollini rossi, qualche orma, e dopo un po’ di ravanate su erba, rivedi una traccia. Sei felice di aver cambiato le pile alla frontale. Ormai son le nove passate, hai fame, hai sonno. E sto rifugio non si vede. Però che bello salire di notte. Arrivi sul dosso, e da lì si vedrà, no? Niente. Però si sente: il romantico rumore di un generatore. Lo segui, ancora un dosso, ed eccolo lì il rifugio: ragazzi ci siamo! Mara, la rifugista, ci serve cena anche se sono le dieci passate, e non stiamo a precisarle che forse è stata un po’ approssimativa con i tempi di salita, lo sa. Qualcuno che aveva già fatto cena, per compagnia, ripete.
E fu mattina. Dopo l’esperienza dell’avvicinamento al rifugio, qualche anima non si alza dalla branda. Chi ha ripreso l’uso delle gambe riparte all’alba, con la neve che sembra cambiar colore ad ogni passo, nel silenzio più totale, verso il Blanc Giuir. La valle è tutta vostra. Eccerto, pochi altri pirla si sparano quelle tre ore di salita su neve-asfalto-erba, gli altri aspettano che la strada sia aperta. Scopri che se sotto un filo di neve c’è la roccia, e ci poggi le lamine, un microsecondo dopo su quella stessa roccia ci poggerai anche il culo. E non è bello. Ma il panorama, al solito, merita la fatica. Quasi emozionante tornare tornare al rifugio con la luce del sole. Qualcuno deve tornare a valle, qualcuno avrebbe dovuto ma avvisa casa, e si ferma per la domenica, per la Punta di Ondezana. Birra, chiacchiere e pennichelle. E fu sera.

E fu mattina. Il passo è meno clemente di quello di ieri, e quando qualcuno dalla coda del gruppo, via radio, chiede “ragazzi, facciamo una sosta per compattare?”, spavaldi dalla testa rispondono “Noi siamo troppo avanti, non compattiamo più!”. Ah si? E allora vi raggiungiamo noi. O almeno ci proviamo. La salita piace, chi fa foto, chi fa sorrisi, chi fa fatica. “Randa, te la senti di andare in cima, o preferisci il colle?” Non sai come dire che di fermarti ai colli ne hai piene le scatole, ti limiti ad un serio “me la sento”, cui forse hanno fatto finta di credere. Grazie. Una serie di gucie, l’ennesimo tratto sci in spalla ed è fatta: sorriso a trentasei denti, sguardo a trecentosessanta gradi. E meno male che c’è il Cervino, che almeno una cima la riconosci anche tu!

Randagia, che adora i weekend “tranquilli”

Mary Poppins era una scialpinista

Posted on Dicembre 17, 2013 by randagia

Un passo dopo l’altro. Destro, sinistro. Gucia. Destro, sinistro. Destro. E basta. Lo sci sta giù, lo scarpone viene su. L’attacco non attacca, non allo sci, non più. Ti fermi come un’ebete, ti giri indietro e guardi i compagni che salgono dietro di te, con lo stesso sguardo di un bambino che si è fatto la pipì addosso. I compagni per fortuna sono meno ebeti di te. Uno prende lo sci, e come un chirurgo ordina “Cacciavite!” Stella o taglio? Se è tork, non c’è speranza. In pochi secondi compaiono cacciavite a taglio, a stella, pinze e bisturi. Scotch americano e fascette di plastica. La borsa di Mary Poppins è vuota in confronto allo zaino di uno scialpinista. Intanto gli altri passano, e se hanno qualcosa di utile lo lasciano al gruppo dei McGiver. Lo scotch americano fa spessore nei buchi, e le viti, con il dovuto sforzo, forse tengono di nuovo. Un giro di fil di ferro attorno, due buone fascette ben strette, un giro di scotch americano per decorare. Come nuovo. Provi a minimizzare, invitando gli altri rimasti a salire comunque in cima, tu li avresti aspettati lì. Ma non funziona così, ti ricordano che il giro è ad anello, di lì non ci ripasseranno. Vorresti sprofondare, e sprofondi, perchè la neve lì è ancora tanta, e senza sci non stai su. Gli artigiani del rattoppo ripartono all’inseguimento del gruppo, mentre, come da regolamento, uno dei capigita si ferma e scende con te. “Ora devi scendere leggera, lo zaino te lo porto io”. Eh già, ma il culo te lo devi portare tu, che di leggera hai forse la coscienza, di certo non la sciata. Neanche ti conosce, tanto tranquillo non sarà. “Senti, facciamo un bel traverso, e magari giri a papera, da ferma. Lo sai fare, vero?” Nei suoi occhi il terrore che la tua risposta sia “no”. Sì sì, almeno quello lo sai fare. Gli hai dimezzato la gita, ora vedi almeno di minimizzargli i problemi. Traverso, inversione. Traverso, inversione. Ma se l’attacco tiene, magari una curva la proviamo? Tiene. Tiene bene!

Arrivate alle macchine, senza le chiavi, ma poco importa: nessuno si è fatto male. Aspettate un po’ che anche gli altri scendano, e poi acciughe al verde, torte natalizie e allegria, come nella migliore tradizione GSA.

Randagia, che anche oggi ha portato a casa la pelle e le pelli

Gucia dopo gucia

Posted on Novembre 17, 2013 by randagia

Non si usa più far la danza della pioggia, ma un sacco di sciatori fanno quella della neve. I risultati però sono modesti, quindi per ora si può solo tentare di risalire le piste ed evitare le multe: Cervinia o Mongi? Cervinia, che si sale di più, dicono quelli che ne sanno. Ti fai coraggio e vai, poi sto corso l’anno scorso sarà pure servito a qualcosa no? Chissà quanta roba dimenticherai, o non saprai più usare, sei già pronta alle prese in giro. Ma in fondo tutti hanno un po’ paura di dimenticare qualcosa alla prima uscita. Tu hai dimenticato i calzettoni, ma un paio di calze del tuo numero sbucano da un altro zaino: la figura l’hai fatta, ma i piedi sono salvi. Chi ben inizia…
Mervagliosamente bianco, meravigliosamente sole. Dopo pochi passi: “Randa, ma le gucie al corso non te le hanno insegnate proprio o sei tu non le hai imparate? Vienimi dietro e fai uguale”. (La “gucia” è quello che sui manuali di scialpinismo è definito come “tecnica di inversione di marcia”, per noi è gucia). E quest’anima pia inizia a ricamare una gucia dopo l’altra, a destra e a sinistra, che neanche tua nonna a punto croce era precisa così. E tu segui, o almeno ci provi. C’è chi ammira le tracce in discesa, chi col fiatone guarda la gucie in salita. Ripasso fatto, ora vedi di ricordartelo, e di pagargli da bere.

Mentre salite, le “tutine” vi sorpassano, e non solo quelle. Si incrociano amici vari, i personaggi conosciuti tramite guilliver.it e poi, voilà, una selezione della scuola sci, con il Diretur in testa. Tutti alla prima gita, tutti a dire “sto faticando”, “son salito da bradipo”, sì sì, intanto sei salito. Quando arrivi a Plateau, il Diretur è già pronto per la discesa:”Randa, mi scrivi una relazione?” Eccerto, le relazioni ti son sempre venute meglio delle gucie.

E poi arriva la discesa anche per te, con le gambe che urlano alle prime curve, e la faccia che sorride a quelle dopo. C’è un sole che spacca le pietre, e ci sono le pietre che se non fai attenzione ti spaccano gli sci.
Qui si scende insieme, scialpinisti e pistaioli, c’è spazio per tutti. Ma tranquilli pistaioli, tra poco togliamo il disturbo, o almeno si spera 😉

Randagia, che ogni inizio è un’emozione

Trofeo Mezzalama: emozioni in Valle Stura

Posted on Maggio 5, 2013 by randagia

Sabato 4 Maggio.
Partenza alle 5 da Mirafiori per noi, direzione Valle Stura.
Partenza alle 5 da Breuil-Cervinia, per i nostri eroi che gareggiano nel Trofeo Mezzalama. C’è la squadra mista: Luca, Sara e Raffele. E te le ricordi le espressioni di Sara di qualche giorno fa: “Si ma quest’anno Luca non farà il tempo di due anni fa, ha me in squadra”. E lo dice con quel senso di colpa malcelato, misto affetto esagerato per il fratello, che a sentirla ti dispiace quasi di essere figlio unico. C’è la squadra maschile: Andrea, Giambe e Ricky. Gli occhi che brillavano d’emozione nel raccontarci dell’Adamello Ski Race, diventano quelli di bambini seduti di fianco ai loro eroi, Kilian Jornet e Jaquemode, nel briefing del venerdì.
Comunque vada sarà un successo, per tutti.

Una delegazione di fan attende gli atleti al cancelletto del Breithorn, scambiando continui aggiornamenti con il Diretur e altri della gita. Chi al tifo ha preferito la gita mette gli sci sullo zaino di fronte alle terme di Vinadio. Qualcuno chiede “Ma hanno passato il cancelletto?” certo che sì, avevi dubbi? L’han passato eccome, mica come noi che alle 9 siamo ancora lì a gabolare con gli attacchi degli sci.

Si sale, ognuno con il suo passo, noi.
Si sale e si scende, con ritmi che è difficile immaginare, figuriamoci descrivere, loro.

1900 metri di dislivello in meno di due ore, loro. 1300 in oltre tre ore, noi.
Alla piramide che porta in vetta, ammettiamolo per dovere di cronaca, ai nostri atleti non ci pensavamo più: chi è salito agile e veloce, chi ha rallentato il passo talmente che l’istrutture di turno si è offerto di prendersi nello zaino la roba più pesante, chi ha messo a dura prova i propri nervi su questa neve che non tiene, chi ad ogni gucia prometteva “il prossimo anno mi alleno di più”.

Il piede fermo e veloce su creste sottilissime sopra i 4000, loro.
Il culo a terra per una gucia sbagliata sulla piramidina della vetta, noi. Chi lo sa fare, disegna curve perfette nella discesa, su una neve bella e trasformata sotto il sole primaverile. Gli altri le disegnano un po’ meno perfette, ma sempre con il sorriso. Qualche canalino da stare attenti, qualche bella curva tra i pini, con la silenziosa soddisfazione del non averne centrato nemmeno uno.

Fatta eccezione per un ginocchio, tutti sani e salvi al parcheggio, noi.
Tutti al traguardo, loro? Non si sa. Le notizie non arrivano in tempo reale.
Ma alla cena all’osteria della pace, a Sambuco, dove pernotteremo, arriva l’aggiornamento del Diretur, e tutto ci è svelato. Luca e Raffaele hanno alleggerito il carico a Sara, dispensandole barrette ed energetici quando serviva purché salisse veloce. Ma quando c’era da scendere, starle dietro era tutt’altro che facile anche per due altleti come loro. Qualcuno ha avuto un momento di crisi (forse per solidarietà con Kilian?) ma l’affiatamento e lo spirito dei compagni lo hanno aiutato ad andare avanti e concludere l’impresa, in una gara in cui non conta il podio, conta arrivare, contano le emozioni e le sensazioni di ogni atleta alla partenza, sulla cresta del Castore, sul passo del Naso, sul ghiacciaio del Lys.

I calici si sono sollevati al merito per i nostri atleti, le forchette si sono abbassate sui cruset e sull’agnello sambucano, per i nostri stomaci.

Randagia, alla fine di un corso che ha mantenuto le sue promesse, e anche di più

Cuore e stomaco

Posted on Febbraio 5, 2013 by randagia

Pullman da Mirafiori, meta Monte Creusa, da Limonetto. La prima uscita pelli ai piedi. Ci dividono a gruppi: tre allievi due istruttori, che se uno si impappina almeno un istruttore con lui rimane. E ci fanno l’annuncio “Ragazzi, abbiamo sbagliato, oggi ci sono qui anche quelli della scuola Sucai, ma loro vanno su un colle, noi sull’altro”. In fondo la montagna è di tutti. Noi 40, loro forse 100. Tanti omini che salgono così, a linea continua, non li avevo mai visti. La montagna sarà anche di tutti, ma almeno si potrebbe fare a turni? Al confronto le piste sembrano deserte. Non pensiamoci, concentriamoci sulla salita che già darà i suoi problemi. In gruppo con me quelle che il Diretur chiama “le due toste del bosco”. E toste sono: attrezzatura “aggressive” e fisico longilineo. I miei chili di troppo invece, non mi lasciano sola neanche oggi. Come dicono gli amici NoTav “sarà dura”. Ed infatti lo è: io voglio andare avanti, gli sci scivolano indietro. Il mio angelo custode del giorno, che non ha le ali ma indossa quella giacca con scritto “istruttore”, mi spiega che se evito di grattare con il naso la punta degli sci, ma sto un po’ più perpendicolare al terreno, le pelli fanno il loro dovere. E mica conta balle. Si sale. Le longilinee partono con un passo invidiabile, che subito seguo, poi mi limito ad invidiare. Zig. Zag. E la spiegazione della curva in salita. Zig. Zag. Che se non l’hai capita la rispiegano. Zig. Zag. A fa caud. Zig Zag. Zig. Zag.”53!” urla l’angelo custode. Quando la fatica già si fa sentire, subentra il panico “53 Zig Zag ancora??!!” No, 53 sono le persone davanti. Tra le due cose, non so cosa sia peggio. Forse con 53 Zig Zag la tecnica della curva l’avrei capita! Poi la neve si fa più dura, qualcuno cade. Parola d’ordine “coltelli”, quelle lame in più da agganciare tra sci e attacco.
Quando arrivo alla cima, affollata come Rimini a Ferragosto, non distinguo più i nostri da quelli dell’altra scuola. Ma non dovevano andare sull’altro colle? O i colli son così vicini? Troppo vento per farsi tutte queste domande. Due passi senza sci alla cima. Troppo vento per mangiare qui. Togli le pelli, blocchi gli attacchi per la discesa. Il solito casino per azzeccare il punta, ma poi un colpo di tacco e son fissati. E intanto ammiro qualche “leggera” impegnatissima in forsennati colpi di gamba per chiudere l’attacco, che sta sprecando probabilmente le stesse energie che io ho speso fin qui per starle dietro. La soddisfazione di qualche chilo in più. Il pendio è largo, e non è ripido. Scendere non sarebbe difficile, se non ci fosse quest’orda di cristiani da far invidia al Sestriere sotto le feste di Natale. Aspettare dieci minuti che scendano gli altri? No, qui aspettare non si fa. E si scende, sulla famigerata e attesa neve fresca. Sperando che nessuno ti infili, perchè se in pista riesci ad evitare gli altri, qui puoi solo sperare che gli altri riescano ad evitare te. Peccato che lo stiamo sperando tutti.
Arrivati a valle, il sole ci scalda ancora mentre assistiamo alla “demo” della ricerca del travolto, pensando ognuno con il suo io “Se toccasse a me, avreste tempo a morire, e non ne serve tanto.”. Ma impareremo no? E’ solo questione di allenamento.
Qualcuno arranca verso il pullman chiedendosi chi gliel’ha fatto fare, qualcun altro sfoggia un sorriso estremamente goduto, qualcuno toglie gli scarponi con un sospiro di sollievo, ma la maggior parte dei volti dice “fame”. E dagli zaini, dalle sacche degli scarponi, da angoli reconditi escono quiche, salami, tome, paste di meliga, torte, casse di birra.

Randagia, che la montagna riempe il cuore, ma anche lo stomaco vuole la sua

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