FlyTorinoTrapani 3 – Tra battigia e cinghiali
Basta con i siti archeologici, oggi si fan quattro passi. Forse un po’ di piú. Riserva dello Zingaro, un parco naturale, sul mare, con il bosco. 3 euro l’ingresso, no cani, no foto, bla bla. Spettacolarissimo. E poi due passi sulla battigia, nel verde, vuoi mettere? Ma sí dai, un sentiero di 6 chilometri, sotto il sole cocente, cosa vuoi che sia? Ci prendiamo un po’ d’acqua, e poi in fondo ci sara’ un bar.
Andiamo. Da Scopello a San Vito Lo Capo. Dai lo facciamo, poi se siam stracche prendiamo un pullman che ci riporta indietro. Vuoi che non ci sia un pullmann che collega le due cittá? Beh, cittá, paesi. Non c’é, sappiatelo non c’é.
Il sentiero non é di 6 chilometri, ma di 12, se la matematica non é un’opinione. E non c’é il bar al fondo. Esattamente come non c’erano le giostre in cima al Tabor, quando mi avevano illusa da bambina. E non c’é la battigia. Sono calette. Spettacolari calette. Peccato che se mentre casualmente stai chiacchierando prendi la deviazione sbagliata, finisci giú alla caletta. Bella, eh, bella, ma giú. E poi su devi tornare, sotto lo stesso sole cocente di cui sopra. Peró é bello, merita.E continui a dirtelo, mentre scarpini. E ci credi. Incontri un mulo, e lui sembra piu’ fresco di te. La veritá e’ che lo é.
Se decidi di andare alla Riserva dello Zingaro, e se sei da quelle parti devi, portati un panino, anche due, e dell’acqua. E scarpe da ginnastica. Ci sono 6 calette, la caletta piú bella é quella a metá percorso. Ci scendi, con il sole a mezzogiorno, senza nessuna
ombra intorno, come dice Jovanotti. La Madama con le zeppe mi chiede “Davvero?
Ma che canzone é?” Eh, non me lo ricordo il titolo, Madama, ma sta nell’ultimo album, magari se lo ascolti stasera, se non si spacca una caviglia prima. Gli ultimi chilometri sono i piú belli, i piú sofferti. Ombra, ci si siede per riprendersi. Un gruppo di gente fa cagnara dal belvedere. Il fiato stenta a tornare. “Oh guarda, un cane!” ma la socia mi corregge subito: i cani non possono entrare, c’era scritto all’ingresso. E questo allora? Il presunto cane alza il muso verso di noi, dall’altro lato del sentiero, un metrino piú in lá… che naso da maiale sto cane, apre anche la gaiofa: che denti sto cane!
Parte l’urlo: un cinghialeeeeeeeeee! Io e la socia pronte in piedi, su per la salita che neanche Mennea ai tempi d’oro, il cuore non solo in gola, lanciato oltre, e noi a seguirlo, come dice la Tamaro, piu’ o meno.
Arriviamo dove c’era la cagnara, e tranfiando avvisiamo: “Ragazzi occhio, che c’e’ un cinghiale…” E un badola mi risponde, tronfio: “Mica solo uno, due! E se non era per me che cacciavo a sassate, mica riuscivamo a passare!” E dirlo, testina di vitello? E dirlo che a sassate stavi mandando due cinghiali addosso a due donnine indifese che adesso a sassate prenderebbero te? Ma che ti costava fare un urlo e avvisare, eh? Lasciamo stare, non sono venuta in vacanza per prendermela. Proseguiamo e ne incrociamo altri due, spiccatamente signorili, lei con un cappello modello signora dei Ferrrero Rocher. Io ingenua li avviso “Guardate che ci sono un paio di cinghiali…” “Oh, si fanno fotografare?” Si stella, aspettano te, li puoi anche baciare se vuoi. Proseguiamo con ritrovata energia.
Una sana porzione di pani cunzato, il panorama dei faraglioni e quattro risate concludono la gita.
Randagia, che una versione di Pane Cunzato con cinghiale non esiste..