La notte a Selinunte la passiamo all’Affitta Camere Il Pescatore, un B&B ancora detto in italiano. L’accoglienza non è quella del giorno precedente, e gli armadi non profumano, ma i gestori sono gentili e la camera è pulita. Niente apericena incluso, stasera si esce. Cena da Bruno D’Africa, che ci racconta come suo nonno facesse come quelli di Patranna. E come fanno quelli di Patranna? Quannu Chiove, lassiano chiovere. Ohibo’, come quelli di Torino. Cucina niente di che, anzi deludente, ma mi sono innamorata: non di Bruno d’Africa, ma del RegaleAli, un Bianco della Zona. Unica controindicazione: evitate le scale dopo il consumo!

Selinunte

Comodamente a piedi, dopo una colazione di frutta e granita, arriviamo al Sito Archeologico di Selinunte. Dopo l’ingresso, ci comunicano le distanze: da qui al tempio, 3 chilometri, dal tempio alla necropoli 6 chilometri. Devo credere che sia così grande davvero, o devo solo pensare che questo ce lo dica per propinarci il suo trenino da 3 euro? No no, c’è il branco di pensionati che va a piedi, e non ci caschiamo, andiamo a piedi anche noi. Effettivamente però seguiamo il consiglio di prenderci dell’acqua, perché di bar, tra una colonna e un capitello, non ce n’è. I 10 chilometri totalizzati dal simpatico tizio all’ingresso in realta’ non saranno neanche 5, però abbiamo apprezzato che si fermasse a far due parole ogni volta che ci incontrava, promettendoci il passaggio sul finale. Ed è di parola, quando ci trova a fine giro sul nastro d’asfalto “Ragazze, volete un passaggio?” noi si sale, con il brontolio di quelli che erano legittimamente sul trenino. Quando hai già tutto, ti infastidisce che qualcun’altro abbia lo stesso risultato con meno fatica, anche se a te, in pratica, nulla cambia. Mi verrebbe da dirgli “Ad uno che ancora ci chiama Ragazze, gliene diamo anche 50 di euro”, ma ci limitiamo ad un sorrisino ebete, tanto il passaggio c’è. Ammiriamo una splendita spiaggia sotto le rovine, una Tulum siciliana. Purtroppo il bagnino c’è solo nei mesi di Luglio ed Agosto, quindi adesso il cancello è chiuso, ma si puo’ scavalcare, te lo dice la guardia stessa, e mare sia!

Gibellina

Ancora un salto alla B&B dove ci lasciano fare una doccia, e poi via, direzione Gibellina: valle del Belice, vittima del terremoto del ’68. Un cartello indica Santa Ninfa a destra, l’altro indica Santa Ninfa a sinistra. Ecco, abbiam dimenticato di chiedere la monetina al posto del TomTom quando abbiam noleggiato la macchina. I cartelli sono pochi, e quando ci sono ti confondono pure. Ogni tanto un cartello ti ricorda “Manto stradale deformato”. Eh si, qui la terra mica regge troppo bene, quasi mi viene il mal di mare su questo asfalto. No, non per come guido. Seguendo le rare indicazioni per “ruderi di Gibellina”, vediamo una tetra colata di cemento, il Cretto di Burri, che copre la zona dove c’era Gibellina vecchia. Poi andiamo a vedere Gibellina Nuova. Che tristezza. Il regno dei prefabbricati, nessun negozio, nessuno per strada. Sarà l’ora della siesta? Dopo aver visto queste zone, l’allegria in macchina è scemata. Tra le nuvole e i sassi passano i sogni di tutti: alla radio danno Domani, 21 Aprile 2009.

Certo che da qui a Segesta, non c’è un’autostrada, ma ormai ci sentiamo padrone del mezzo, anzi del C-mezzo, e dopo rapido consulto, decidiamo che vanno bene le strade provinciali, bianche sulla cartina. E infatti vanno bene, per un po’. I cartelli stradali: un’opinione, sempre. Arriviamo al bivio per Calatafimi dove c’e’ un cartello che recita “Strada dissestata, segnaletica stradale assente, procedere con prudenza”. E dov’è la novita’? La novità sta nel cartello, la socia mi fa notare che se ce lo scrivono, un motivo ci sarà, ma abbiam detto strada provinciale, e strada provinciale sia. Proseguiamo, dopo 10 metri capiamo: il manto stradale non è deformato, è assente, e come larghezza ci si sta appena. Mente locale sugli insegnamenti paterni, quando il buon uomo ancora credeva che potessi imparare a guidare in fuori strada: tieni d’occhio i punti dove due macchine bene o male ci passano, e sappi che fino a lì ci vai in retro, se l’altra macchina è guidata da una donna, se è uomo, guardalo negli occhi e spera. Se e’ milanese, hai già bocciato. Non mi e’ servito, non ho incontrato nessuno. La socia ha assunto la posizione da copilota professionista, spalmata su sedile e portiera, riducendo al minimo i gridolini di paura, ma senza trattenere i rigagnoli di sudore. Glielo leggo in faccia che si chiede perché abbiamo dovuto fare questa strada, perché. E come darle torto. Dopo un 5 minuti sbuchiamo sull’asfalto, tiriamo un sospiro di sollievo. La socia riprende colore e voce: “SP 12, non comunale, non sentiero di montagna, una strada provinciale!!!! In zona di terremoto, effettivamente qui il G8 non l’hanno fatto… ” poi aggiunge, con sguardo maligno “Randa, tu ti sei pure divertita vero? Malefica! Hai notato che cartelli incontrati avevano tutti dei buchi sui 2/3 centimetri di diametro.. sai stile pallettoni ?! Zona da tiro a segno!!”. Ah, questa mi era sfuggita.

Segesta, anfiteatro

Seguendo per Segesta abbiamo un attimo di smarrimento ad un incrocio non segnalato, e quindi insultate dal macchinone che ci sta dietro, ma con il sorriso ebete già sperimentato interrompiano la sua catena di insulti in siciliano stretto e chiediamo, come se il nostro interlocutore non stesse insultando noi, “Scusi, per Segesta?”. Gli insulti si interrompono, e gentilmente ci fa segno di seguirlo. Deve aver capito che non siamo molto sveglie, e fa una deviazione dalla sua strada, per lasciarci proprio davanti all’ingresso del sito. E vedi l’uomo: anche se pensa che ti meriti un mare di insulti, è disposto a farti un favore. Grazie. Segesta niente male. Un anfiteatro imponente. Ci devi andare con un libro, e leggertelo lì, sulle scalinate. Un mordi e fuggi di mezz’ora e’ uno spreco.

Direzione Scopello. Un altro B&B, che non mi sentirei di raccomandare: la tizia che ci accoglie passa i primi 10 minuti a dire come ci lasci la stanza allo stesso prezzo che ha detto suo figlio, sebbene debba essere più alto. Già da una che inizia così, sai che non puoi aspettarti gran che. Si chiama “B&B The Best” quando si dice che l’abito non fa il monaco. Evitatelo.

Randagia, tra le nuvole e i sassi