Giordania Settentrionale: Panorami biblici!

Le inquietanti inferriate alle finestre al quinto piano di grigi palazzi non ti stimolano a rimanere ad Amman più del necessario: notte di riposo, giornata di assaggio della Giordania settentrionale, prima del desiderato spostamento a sud. Si visita velocemente Umm Quais, un sito di rovine romane non particolarmente notevole, dove, come quasi ovunque in Giordania, vale più l’atmosfera del posto che il posto in sé. Da qui si gode una bella vista sul Lago di Tiberiade. Sì, sì, proprio quello del catechismo. Sai quando Gesù dice a Pietro «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini», e tutti mollan le barche, mollan le reti e gli van dietro? Ecco, erano proprio su quel lago, a pescare. Ora quel lago è nel territorio di Israele, ed i palestinesi vengono qui a guardare questo fantastico panorama che era la loro patria: vedi il lago, i villaggi, le campagne di Galilea. E ti fa più effetto questo, che pensare che sia un lago di acqua dolce sotto il livello del mare. Le guide ti sconsigliano di andare a Umm Quaiss nei venerdì di sole, in quanto meta dei merenderos locali: sarà, ma non ti credi ti sarebbe dispiaciuto.

Non puoi mancare Jerash, sito archeologico ben più vasto e ricco del precedente. Cioè tu lo potresti anche mancare, ma la rossa modenese, potrebbe uccidere se l’itinerario dovesse escludere questa meraviglia. E tutti i torti non avrebbe. Jerash (Gerada) insieme ad Amman, Umm Quais e altre 7 città faceva parte della decapoli, cioè della decina di città collocate sul confine orientale dell’Impero Romano, tra le attuali Giordania, Siria e Cisgiordania. Ci capiti con la luce del tramonto, fai finta di non sapere che si sta disputando una ridicola corsa delle bighe, ti guardi intorno e respiri fascino. Tra un colonnato e un pavimento mosaicato, i ragazzi del posto si danno appuntamento al muretto, sparando la musica a palla e fumando narghilè: la versione giordana del muretto di Alassio. Un mini souk ti attende all’uscita: chefie di tutti gli stili e i colori. Se hai intenzione di comprarne una, prendila qui: nel deserto ti servirà, e a Petra la pagheresti il doppio. Certo, non sono le chefie ricamate a mano, che vedi indossate dai locali: altrimenti invece di 5 dinari te ne chiedono 50. Almeno evita di prendere quelle con stampato “Made in China”.

Un lungo spostamento vi porta verso Madaba, dove, peccato averlo scoperto dopo, c’è il miglior ristorante di tutta la Giordania a prezzi non proibitivi, l’Haret Jdoudna. Non puoi non provare le baklava in una delle tante pasticcerie che fanno mostra di questi dolcetti al miele in enormi vassoi rotondi, che ti viene l’acquolina solo a parlarne.

Nel gruppo non ci sono ragazzini, ma allora com’è che la guardia deve venirvi a dire “Vi ricordo che questa è una chiesa, meno casino!” ? Sì, per lo meno lo dice in inglese e non in italiano, ma è una magra consolazione. Il mosaico della mappa della Terra Promessa, incastonato sul pavimento di una chiesa, voleva indirizzare i pellegrini, verso i luoghi di culto, e quindi questi vi erano principalmente raffigurati. Risale al VI secolo, ed è talmente particolareggiato da essere stato base per la cartografia della zona. Se lo visitate al mattino, la luce che filtra dalla finestra può infastidire il fotografo appassionato, a tal punto che i suoi amici potrebbero incasinarsi nelle peggio pose per realizzare ombre opportune, magari senza mantenere il silenzio, quindi: ricordatevi che siete in una chiesa!
In questa zona son fanatici del mosaico, c’è anche una scuola, la migliore al mondo. Una bella collezione è presente sul Monte Nebo, ma in questo periodo (gennaio 2012) è chiusa per restauri, quindi non la vedete. Farci una puntatina merita comunque, perchè il Monte Nebo non è solo mosaici, no. Tu vai, mettiti lì, sul terrazzo panoramico, guarda davanti a te: si vede Gerico, la valle del Giordano e se il cielo è terso, anche Gerusalemme. Sentiti arrivato, come Mosè qualche migliaio di anni fa. Già era proprio il buon Mosè che, dopo aver condotto il suo popolo per anni di marcia, arriva qui e finalmente vede la Terra Promessa. Peccato non riesca ad andare oltre e schiatti qui, per volere di Dio o per sfiga, che spesso coincidono. Si dice che Dio stesso l’abbia sepolto su questo monte, lasciando al figlio Giosuè il compito di tagliare il traguardo.

Randagia, che per questo viaggio ha ripassato le lezioni di catechismo