Mont Ros, Champorcher: cuscini blu su lenzuola bianche

Quest’anno hai detto “Basta”. Basta. Basta a quelle gite in montagna che fai 700 metri di dislivello a inizio stagione, dicendo “alla prossima ne facciamo di più”, e ti ritrovi a fine stagione che sempre 700 ne fai. Crescita zero, come l’Italia. Ma quest’anno lo fai, ti iscrivi al C.A.I. (Club Alpino Italiano), almeno si cambia.
Scarichi da internet il Programma Gite, con discreto anticipo. Tanto discreto, che invece delle gite primaverili ci trovi le gite con le racchette da neve. Perché no?
Iscrizioni il giovedì in sede. “Ah, non hai mai messo le ciaspole? Sì, è una gita facile. E’ praticamente pianura.” Se praticamente è pianura, perché sul volantino c’è scritto dislivello 600 metri? La matematica non è un’opinione, ma la pianura sì?
Ritrovo la domenica, all’incrocio tra Corso Giulio Cesare e Corso Vercelli. Ah perchè, si incrociano? Pare di sì, si incrociano su un bel parcheggio ghiacciato, punto di ritrovo di escursionisti e immigrati rumeni. Dietro corso Romania, appunto. Vedi di azzeccare il gruppo giusto, o tu e le tue ciaspole vi ritrovate a Timisoara, e lì non sai se c’è neve.

Trovi il tuo gruppo, si compattano le macchine, una camicia a quadri carica te e altri. Non sa a cosa si è condannato: oltre al passaggio ti serve anche qualcuno che ti insegni come si cammina con le ciaspole, e una camicia a quadri è tipicamente più disponibile di chi ha il culo TheNorthFace e i pettorali Montura. Destinazione Champorcher. Durante il viaggio, racconti epici vedono protagonisti i vari personaggi del gruppo, in abiti fantozziani. E ridi. “Sta stra a fa ‘vni lurd” ti senti dire, quando di fronte a te si presenta la serpentina d’asfalto che da Bard porta a Champorcher, con tante di quelle curve da diventar scemi (n.d.r. traduzione non letterale).
Parcheggio. Arva. Racchette. Il tuo gentilissimo autista, si prodiga nella lezione numero uno: “Allora Randa, le racchette si mettono così… Ecco, sgancia dietro. Cammina davanti a me che vediamo come sali.” E non lo dice per guardarti il culo, o almeno credi.
Un’immensa distesa di bianco ai tuoi piedi, anni che non ne vedevi una così. In quel momento ti chiedi perchè poi hai scelto lo sci di pista perdendoti tutto questo. Qualcuno ha già lasciato impronte prima di voi, e le seguite, mentre lo sguardo, quando hai il fiato per sollevarlo, spazia su distese bianche schiantate contro il blu limpido del cielo. Lenzuola bianche e cuscini blu: immagini che la levataccia di questa mattina ti porta ad evocare. Fatichi come un mulo, e improvvisamente ricordi: era la fatica della salita che ti aveva fatto scegliere lo sci di pista! Troppo tardi per i rimpianti, grondando sudore, rimani affezionata al passo dell’apripista, che lento e inesorabile, costa dopo costa, ignorando il concetto di sosta, ti frega e ti porta fino in punta.
Respira: ce l’hai fatta! Guardati attorno: un panorama di quelli che visti in cartolina son belli, ma visti mentre ti asciughi il sudore sulla fronte, lo sono di più. No, non sai riconoscere le montagne, gli altri sì, e te le indicano per nome: ancora non sanno che è tutto inutile, perchè tu e la memoria avete un pessimo rapporto. E che dire del bacio di vetta? Quando si arriva su e, con tutto il sudore di cui si è intrisi, si baciano gli altri? Meglio non dire. Volano i complimenti per quelli che “Noi è la prima volta!”. Un bicchiere di the, un panino, due chiacchiere, quattro risate. Chi sbuccia frutta, chi gusta la trippa condita preparata dalla moglie, chi beve solo “sennò non digerisce”. Tu vorresti dormire, ma non sai come dirlo, e allora non lo dici.
In discesa, il tuo involontario mentore, è diventato volontario: “Allora a scendere, talloni verso il basso e lasciati scivolare… Guarda come faccio io, e fai uguale!” E tu lo fai, scendi. Dopo i primi passi incerti, inizia il divertimento: un passo dopo l’altro, correndo sul manto bianco, nel manto bianco. Ti ricordano le dune del deserto, ma bianche, farinose, fresche. Se cadi, chissene! E ridi. C’è chi dice che la montagna dovrebbe essere silenzio, ma non sei convinta. E ridi. Quando ti volti indietro vedi i segni dei vostri passi su quelle lenzuola bianche, confusi e disordinati come fossero di bambini. E sorridi.

Randagia, che bisogna mantenersi un po’ bambini. E ride.