Oggi si prova il Gran Queyron dalla Valle Argentera: una gita che non offre tracce GPS ma garantisce bellissimi paesaggi.
Se il primo tratto della valle, a pochi chilometri da Cesana, è pieno di tende e barbeque, quando si inizia a salire rimaniamo solo noi e altri tre escursionisti che deviano subito a destra verso il Gran Miol, lasciando il resto della valle a noi e a 124 bovini al pascolo.
Siamo sui verdi pascoli delle Bergerie Miol, il rumore dei torrenti culla le nostre orecchie e le cime della valle fanno contornano il quadro. “Sembra un paesaggio islandese”, sostiene l’unico che in Islanda non è mai stato e glielo lasciamo credere.
Al primo colle, il Colle della Longia, incontriamo qualcuno che scende, prodigo di indicazioni per il “Cheirun”. Già pare si pronunci così: la O non accentata in piemontese si dice U. La montagna è ai confini con la Francia, ma noi vogliamo dirla alla piemontese: “Anduma al Gran Cheirun!”
Dal colle vediamo gran ressa in cima: ma come, non c’era nessuno a salire come fanno a esser già su?Effettivamente la salita classica è da Prali, di là non ci sono i quasi dieci chilometri di avvicinamento che abbiamo fatto noi.
Possiamo però dire di aver visto la Valle Argentera fino in fondo: abbiamo percorso in auto la strada sterrata, abbiamo proseguito a piedi sulla mulattiera, per pascoli tutto il resto della valle e per sentiero sulla cresta.
Abbiamo apprezzato le diverse sfumature: con il sole che splende sui pascoli salendo, con la nebbia che avvolge le cime quando stavamo per sbucarci, con la pioggia e la grandine sulle pietre scendendo. Insomma oggi l’abbiamo vista tutta con tutti i meteo possibili, per la neve torneremo in inverno.
Lungo la discesa, caso vuole che una “ramata” di pioggia ci colga proprio nei pressi dell’alpeggio Gran Miol, costringendoci a entrare contro la volontà del nostro colesterolo. Una simpatica bergera, con gli esami del sangue da fare invidia, ci invita a degustare i loro formaggi. Fa bella mostra di sè un panetto di burro giallo, giallo come dovrebbe essere, non pallido come quello dei supermercati. Lei ci garantisce che lo mangia tutti i giorni e ha il colesterolo a posto: io le credo, e un po’ la invidio. Fa una vita più attiva della mia, non sta ore dietro a una tastiera (come questa…).
Quando le chiedo del famoso Plaisentif sorride e ci informa che “sta stagionando”. Come se avessi chiesto del principe del castello e mi dicesse “sta riposando”. A differenza del principe, il Plaisentif può essere disturbato. Entriamo quindi verso una tanto piccola quanto preziosa cantina: un paradiso per i miei occhi.
A giugno e luglio tutti i pascoli attorno alla bergeria non erano solo verdi, erano in fiore e quello era il periodo del primo alpeggio: da quando le mucche vengono portate all’alpeggio in giugno, fino alla fine di luglio. Le mungiture di quei mesi non danno origine a formaggi qualunque, ma al “formaggio delle viole”, perché le viole appunto sono le prime a fiorire.
La signora ci fa notare come le forme più scure, mezza cantina, siano già Plaisentif, mentre le più chiare sono del primo agosto, fuori tempo, saranno buonissime tome comuni. Dal fondo della cantina preleva una forma e ce la mostra: “Questa ha delle crepe, non potrà essere marchiata. Adesso assaggiamo.” Al momento è ancora fresca, si sente però una pasta più grassa e morbida delle tome classiche, cui noi “inesperti” non sappiamo rinunciare.
A settembre un casaro “certificatore” salirà qui alla bergeria per valutare quali forme meritino il marchio: quelle che non presenteranno alcuna incrinatura e saranno conformi ai principi organolettici concordati dall’associazione potranno ostentare il prezioso disegno della violetta. E ostenteranno anche un prezzo simile al Castelmagno, per intenderci.
Toma crepata, non viene marchiata. Una fetta noi ce la prendiamo. Buona è buona, anche senza la viola disegnata e a stagionatura parziale.
Intanto la pioggia ha cessato di scendere, ora tocca a noi. Ci affrettiamo verso le auto con il nostro prezioso carico: la gara a chi riesce a tagliare più curve non ha né vincitori né vinti, ma arriviamo tutti al parcheggio prima che dal cielo senda ancora qualcosa.
Randagia, che l’oro della Valle Argentera è il latte.