Rimbalzi indesiderati
Il volo atterra, e le mie occhiaie pure. Infilo gli occhiali da sole e hop-hop direzione controllo immigrazione. Che più ti spicci, meno coda fai. Ho compilato il mio bel foglietto verde, quella specie di visto che ti danno sull’aereo, ammettendo che non ho mai rapito bambini, commesso atti terroristici, e che nella mia borsa non ho né una bomba né un salame fresco. Mi appoggio ad una colonna e aspetto il mio turno. “Signorina, ha sbagliato l’anno di nascita, sa qui rimbalzano facile!” mi dice il tizio in coda dietro di me. “Ma come ti permetti, ad una signora?” penso, e mentre lo penso mi ritrovo anche a dirlo. Correggo con un sorriso ironico, e magari correggo anche quel 2009 che mi è scappato come anno di nascita. Scambiamo due chiacchiere: quanti giorni ti fermi, football americano o NBA, i grandi classici . Alla tizia prima di me chiedono di mostrare l’ESTA. Lui sbianca, “Oddio io l’ESTA non l’ho stampato”. “ESTicAtsi, io l’ESTA non so cosa sia!”. Il tizio dal bianco passa al trasparente e guardandomi come fossi un extraterrestre, mi dice: “Ma come? E’ il permesso per entrare! Ma non hai il visto? Ma ti rimbalzano…”. La simpatia che provo per lui scema di battuta in battuta. Se avevo fatto carte false per avere il passaporto valido anche per gli Stati Uniti, nel non lontano 2006, cosa mi manca adesso? Vuoi che questi abbiano di nuovo cambiato le regole? “Senti, Mister TakeItEasy, passa prima tu, che io magari ci metto un po’…” Lui galantemente declina. Ecco, vuole vedere la scena quando mi negano l’ingresso. Tocca a me, tolgo gli occhiali e inforco un sorriso a 32 denti, di quando ho paura di aver fatto una boiata, e passaporto sul banco. “Non si metta gli occhiali finché non è fuori dall’aeroporto, miss”. Certo, e lo sapevo: applico sempre la buona tecnica di creare piccole distrazioni quando sono in fallo, con alterne fortune. Impronte mano destra, impronte mano sinistra, foto. Due domande sul perché sono passata dagli USA mesi fa: tiriamo in ballo il viaggio in Messico, ma senza sbilanciarci, che tra loro non si amano. “Welcome to the United States, miss!”. E’ fatta, penso. Riprendo il mio documento, e mentre me ne sto per andare commetto un errore madornale: mi giro per fare un cenno di saluto a Mister TakeItEasy. Peccato che il genio si senta in dovere di chiedermi, ad altissima voce: “Ma allora non te l’hanno chiesto l’ESTA???”. No, e se non me lo chiedono adesso che tu idiota l’hai urlato, non me lo chiedono più. Di solito se scambi due parole quando sei in coda, ti aspetti dopo: in questo caso mi sono concessa un’eccezione.
Col senno di poi mi sono informata su cosa sia l’ESTA: Electronic System for Travel Authorization . Si tratta di un modulo, valido e obbligatorio da gennaio 2009, il cui scopo dovrebbe essere quello di sveltire la burocrazia americana, un controllo preliminare che dovrebbero fare le compagnie aeree. Devi richiederlo almeno una settimana prima della partenza, e dovrebbe essere il personale della compagnia aerea a chiedertelo all’imbarco, non la dogana allo sbarco, indipendentemente dal passaporto che hai. Evidentemente non tutte le compagnie lo chiedono, o forse tutte le compagnie ma non tutte le hostess di terra. Chi lo sa. Fatto sta che dura due anni e, sai cosa? Io lo richiedo, si sa mai. E’ facile, si richiede online, ti arriva un codice e sei a posto per due anni.
Randagia, che non si finisce mai di imparare