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Voglia di tramonto

Posted on Settembre 28, 2011 by randagia

23 Settembre 2011. Voglia di tramonto. Come al solito decido in un attimo: si va! E poi quale sera meglio di questa? Da ieri sera tutto è cambiato, anche la teoria della relatività di Einstein sembra essere superata: dicono ci siano particelle maleducate che osino viaggiare più veloci della luce. E poi stasera sul Piemonte, forse, cadranno pezzi sparsi di satellite impazzito in rientro in atmosfera, non posso perdermi lo spettacolo delle eventuali scie luminose dei residui in frantumi al contatto con lʼatmosfera! Quindi, davvero, quale notte meglio di questa? Non controllo nemmeno in macchina, gli scarponi sono già lì, sicuro! Prendo zainetto, maglia di ricambio e luce frontale per la discesa. Si parte, direzione solita e conosciuta, Monte San Giorgio. Mentre guido, chisssà perché controllo negli specchietti: no, tutto a posto, dietro la piana e davanti Musinè e San Giorgio, direzione giusta. Parcheggio la macchina, infilo gli scarponcini, bacchette? No stanno bene lì dove sono, salita agile! Lascio lʻasfalto ed infilo lo sterrato che porta in cima, neanche duecento metri ed incrocio il solito simpaticone dai valenti consigli: “Varda che a ven nòit prima nè adess!”. Rispondo? No? Si! “Ti tʼlas mai vistlu ʻn tramunt a mesdì?”. Accelero il passo, se tramonto deve essere, devo arrivarci in tempo. Il sole in caduta lancia ombre lunghe tra i castagni e le querce, la salita mi par più agevole, aria frizzante e profumi conosciuti. Dalle narici escono sbuffi da animale in affanno e sugli occhi colano stille di sudore, fattori noti: mountain is my therapy!

Giungo alla piega di sentiero abbandonata la quale si volta a destra in ripida salita verso la radura, vado, cinque minuti e ci sono, il sole cʼè ancora, aspetta me prima di tuffarsi oltre i monti. Radura. Poso tutto e cambio maglia. Certo che se parti di fretta la macchina fotografica la lasci a casa! Io lo zaino di Mary Poppins non ce lʼho! Cellulare? Cʼè! Almeno quello.

Lʼattesa. Scende il sole ad ampie falcate, che silenzio! Qualche cane in lontananza e nulla più. Scende, scende, sorpassa la linea immaginarie delle montagne e, giù, se ne va! Lascia un cielo porpora meraviglioso, forse più bello perché ci sono salito apposta, e mica vorrai trovarlo così così! Attendo ed assaporo lʼaria, mi guardo intorno ed anche Torino in lontananza sembra essere piccola e da quassù persino simpatica.
Scatto una foto col telefono, lʼultima volta che ci ho provato stavo guidando: lasciamo perdere! Fisso negli occhi quel cielo, me lo devo ricordare! Ora si è fatto scuro, prime stelle ad est, ma di satellite impazzito nessuna traccia. La protezione civile recitava 21.25 – 22.15, aspetto ancora 5 minuti. Niente, solo aerei curvi verso Caselle in discesa.

Dai, è ora di andare. Infilo la frontale e la accendo. Quando le avrai cambiate le pile lʼultima volta? Vedrai che regge, in unʼora sei giù! Ultimo sguardo verso il Monviso e poi decido di andare. Lascio la radura, venti trenti passi poi mi fermo. Torno indietro, mi manca qualcosa. Eppure mi manca… radura, radura, lo dico senza pizzicare la “erre”. Già, ecco cosʼera quel senso di vuoto di prima: lei che avrei voluto fosse qui, ed invece è al mare con MaVco.

Comincio a scendere, con quella strana voglia di merenda sinoira.
W.

Il tempo della moda

Posted on Settembre 21, 2011 by randagia

“Chiama mamma, che c’è la moda!”. E la bimbetta corre obbediente in cucina. Con un canovaccio e le mani ancora umide dei piatti, la signora Adelaide accorre in salotto a guardare ragazze anoressiche che sfilano indossando abiti dalle forme improbabili. Ma quella è moda, pensa, fantasticando su quali colori si celano davvero dietro quello schermo in bianco e nero. La figlia è troppo piccola per condividere, il marito troppo “uomo” per capire che non sono le curve assenti delle modelle, ma il taglio degli abiti a dover essere commentato. Adelaide si gode lo spettacolo in silenzio, per poi tornare con un sorriso ai suoi lavori.

“Mamma, c’è la moda!”. E la ragazzina, tutt’altro che anoressica, rimane imbambolata davanti allo schermo mentre Adelaide accorre in salotto. “Ma è trasparente quello, si vedono le mutande! Che coraggio!”. Abiti dai colori sgargianti e dalle abbondanti trasperenze si avvicendano sullo schermo, mentre l’entusiasmo della figlia sovrasta le iniziali note polemiche della madre: “Ma no mamma è moda, è stile. Non sono mica più i tuoi tempi. Quanto lo vorrei! Ma quanto costerà?” Una voce paterna conclude il sogno ad occhi aperti: “Tu studia, poi lavora, poi se ti va te lo compri!”. Adelaide risponde scuotendo silenziosamente la testa, cede il canovaccio alla figlia e si siede sul divano con il marito, constatando che pur non avendo abiti firmati, ha tutto quello che le serve per essere felice. E non sta pensando alla tv a colori.

“Donne, c’è la moda!”. Rumore di rubinetto che si chiude, e madre e figlia accorrono in salotto, asciugandosi le mani nello stesso canovaccio. Ad ogni passo delle modelle un commento.
“Quel colore è troppo. Questo è Cavalli, non ci è mai piaciuto.”
“Beh no mamma, a te non sarà mai piaciuto, a me piacerebbe anche, sono i prezzi che me lo rendono antipatico.” Passano le modelle di Versace, e Adelaide si fa propositiva “Bambin, se questo modello esce su Burda te lo faccio. E’ svasato, ti starebbe bene.” Un sorriso esagerato si dipinge sul volto della figlia, che ha studiato abbastanza per permettersi un abito fatto a mano dalla madre, con gli speciali poteri di Burda. E ben più di uno. Adelaide glieli avrebbe confezionati a prescindere, anche fosse stata l’ultima della classe, ma questo la figlia non lo sa. Vedere la propria bambina indossare capi creati da lei, le riempie il cuore. Un po’ come quando il marito chiede il bis dell’ultimo manicaretto servito. Certo ai fornelli si fa più in fretta che alla macchina da cucire, ma ad ognuno le proprie passioni, ad ognuno le proprie gratificazioni: le dimostrazioni d’affetto sono su misura.

“Bambini silenzio! C’è la moda!”. Con un deciso colpo di fianchi chiude la lavastoviglie e accorre in salotto. Si siede sul divano, accanto a nonna Adelaide, che sta faticosamente cercando il silenzio dei nipotini che le siedono sulle ginocchia. La voce paterna interviene, quasi provvidenziale: “Dai bambini, venite di là con me. Noi giochiamo alla uiiiiiiiii, la tv è delle donne per altri dieci minuti.” Nonostante le modelle sfilino con la collezione autunno inverno dell’anno appena iniziato su uno schermo piatto, tutto sembra un deja vu. Forse perché anche quest’anno, nonostante il grande impegno dei media, le curve delle modelle continuano ad essere assenti. Sfila Versace, sempre notevole, ma si nota che Gianni non c’è più. Custo invece porta una ventata di novità che entusiasma l’una, ma lascia perplessa l’altra: “Bambin, devi perdere venti chili prima di mettere quella roba da extraterrestre.” La figlia sospira e sogna. La voce paterna tuona dalla cucina “Custo costa! Hai un mutuo e due figli, pensaci quando sarai in pensione!”. “Quello viola, sembra quel vestito che ti ho fatto dieci anni fa, ce l’hai ancora?” Certo che ce l’ha. Lo indossava ieri, ma Adelaide non lo ricorda più.

Le due donne si guardano, si sorridono, e vanno a salvare il nonno da umilianti imprese con i videogiochi. Lo stile di un abito firmato scalda il cuore, l’armonia di una famiglia di più.

Un tranquillo weekend in altura

Posted on Settembre 17, 2011 by randagia

Voglia di rifugio. Prenoti con 15 giorni di anticipo, nell’unica valle in cui le previsioni del tempo daranno temporali per tutto il weekend. Cambi valle. Rifugio Alpetto, alle falde del Monviso. O meglio alle falde basse, perché alle falde falde c’è solo il Quintino Sella che con i suoi 90 posti letto non sai se è un albergo o un porto di mare in alta quota. L’Alpetto suona molto meglio. Soprattutto per chi poi così alpinista non è. Obbligatorio il sacco lenzuolo, null’altro. Certo, ma ti porti anche le scarpe di ricambio, che se ti fan male gli scarponi? La tuta e il pile, che se hai freddo coi pantaloncini? Quel bell’asciugamano in microfibra che fa anche da accappatoio, che se ti vuoi fare la doccia poi con cosa giri nel corridoio? E non lasci a casa “Passaggio in India” con le sue 355 pagine, che metti che ti annoi? Hai uno zaino che per l’interrail l’avevi fatto più piccolo, complimenti. Due indicazioni du google maps, e la cartina che un amico di buon cuore ti ha regalato per il compleanno, sperando che, prima o poi, tu la smetta di perderti. Si parte. Carichi la socia che il sole è già alto. “Randa, io ho fatto i panini ma li porti tu”. Eh beh, quelli erano i patti. Un, due, tre, eccoti in tangenziale. Guardi il retrovisore e ti prende un attacco di romanticismo “Vah che belle le montagne nello specchietto, il cielo è limpidissimo”. Ma se le montagne sono nello specchietto, significa che tra un po’ fai un frontale con gli ombrelloni: hai di nuovo preso la tangenziale al contrario, stai andando a Savona invece che a Pinerolo! Ma possibile che le uscite che hanno aggiunto dopo che hai preso la patente ancora non le hai imparate? E dire che non l’hai presa ieri! Vabbè, classica inversione e ringrazia che la tangenziale non si paga. Pinerolo, San Secondo di Pinerolo, Bricherasio, Barge, Paesana. A sinistra per Oncino. Ancora 10 km, l’ora e mezza di google maps è già diventata un due ore, e solo dopo due ore e mezza, la godereccia strada di montagna si trasforma in sterrato, con tanto di cartello “Parcheggio Alpetto”. Una casetta in pietre si intravede alla tua destra. Assomiglia molto alla foto del rifugio che avevi visto su internet. “Randa, vuoi mica che siamo arrivate al rifugio in macchina? Noooo, peggio dei milanesi!? No no, io mi vergogno, non entro, torno a casa”. Ma è un falso allarme. Parcheggiate e dovete ancora fare 700 metri di dislivello per il rifugio. Menomale. Menomale un corno, è l’una e fa un caldo becco. Ti carichi lo zaino di Mary Poppins, e dopo dieci metri, quando hai già più volte perso l’equilibro grazie al geniale carico che ti sei organizzata, ti chiedi se tutto fosse poi così necessario. Il sole picchia, dribbli le mucche e i segni del loro passaggio, mandando avanti la socia, che si sa, tu delle mucche hai paura. Fatichi per due ore e mezza, su una salita stimata da un’ora e tre quarti, e approdi ad un bel pianoro, attraversato dal fiume. All’orizzonte vedi la bandiera del rifugio. Bene, siesta! Dai si mangia, con i piedi a mollo. Tanto, dallo zaino di Mary escono le ciabatte per la doccia, che sono ottime per passeggiare nei fiumi. Verso le cinque decidi che, essendo in montagna e non a Laigueglia, sarebbe meglio rimettere gli scarponi e presentarsi al rifugio, mica che ti perdi il rancio. E canticchiando “Si vince e si perde, si pestano merde..” superi il pianoro e arrivi al rifugio. Via gli scarponi, sugli scaffali ciabatte per tutti: le crocs tarocche, e tu che te le sei portate da casa, garula! La camera, uno spettacolo: camera da 9, con letti a castello e romantico sottotetto. Senti la gente parlare in tedesco o con quell’accento forte che hai quasi dimenticato fosse il tuo. Neanche un meridionale, fa quasi impressione. E infatti l’accoglienza non è quella calorosa meridionale, ma quella tipica del muntagnin “Buona sera, ha la tessera CAI? Le faccio vedere la camera, si cena alle 19:30” e non sprechiamoci in convenevoli. Il minimo indispensabile della comunicazione. Poi se chiedi, il gestore, Sandro, gentilmente ti consiglia i meglio giri della zona. Ma devi chiedere, è ovvio. Vai a dormire alle nove, che chissà il libro cosa l’hai portato a fare. Domani si sale al passo del Gallarino (500 m di dislivello, ce la puoi fare) da dove si vede tutto l’arco alpino. In una giornata limpida poi, ti vedi il Cervino, il gruppo del Rosa e le rondini, che così in alto, non te le aspetti proprio. Le marmotte non le conti, e ti conquistano sempre: ciccie e agili come sono. O per lo meno così ti sembrano. Una lunga traversata su un ignobile sentiero piano e di pietre ti porta al Quintino Sella, pieno di gente, da cui scappi subito senza neanche prendere il caffè. Il ritorno è ancora lungo, il sentiero infinito . Scendi, lasciando un po’ di cuore per il panorama, e un po’ di madonne per quel ginocchio gigio che dopo due ore di discesa inizia a farsi sentire. Alle 17 togli finalmente gli scarponi, conti le bolle e sorridi, mentre piazzi tutto nel baule della tua fidata auto e ti rimetti in strada verso la città, con quella strana voglia di merenda sinoira.

Randagia, che non è più la merenda sinoria di una volta, né per il prezzo, né per il menu.

Lago di Monastero

Posted on Settembre 17, 2011 by randagia

Oh sì, cambiamo valle. Un’oretta di macchina, tutta statale, cosa vuoi che sia. Puntiamo su Chiaves, sopra a Lanzo. Fino a Lanzo ci sappiamo arrivare, più o meno visto che già al primo bivio “Lanzo o Ceres?” non siamo così pronti, ma la socia occhio di lince, scannerizza il cartello stradale che sembra una pagina di dizionario e individua Chiaves sotto la direzione Lanzo. Peccato che poi I cartelli non pullulino, quindi le proviamo tutte, per scoprire che, come spesso nella vita, la strada più semplice è quella giusta: non entrare a Lanzo centro, stanne fuori e persevera, anche se ti sembra di allontanarti troppo i cartelli per Chiaves ci sono, aspettali. Superi la piazza parcheggio del paese e prendi a sinistra in “Passo della Croce”, prosegui ancora, tenace, e arrivi al Colle della Croce (1125 slm), dove finalmente puoi lasciare la macchina e mettere gli scarponi. Ben segnalato inizia il SENTIERO DEI 3 RIFUGI, con segni rosso gialli e cartelli ogni tanto: sentiero 332, 3 ore e 30 minuti. Seeeeeeeeee, sti tempi è sempre Messner a scriverli, mai una volta che ci mettano i miei. Però chissene, ben segnalato. Vai nel boschetto di betulle! E inizi a cantare:

O pescator dell’onda mi peschi l’anellin?
Se io te lo percherò, tu cosa mi darai?
Ti darò una borsa d’oro con dentro dei milion…
Non voglio solo quello ma un bacin d’amor!
Andiamo in quel boschetto nessuno ci vedrà

Sembri conoscerla solo tu, ma è un ottimo spunto per far partire riflessioni sull’induzione alla prostituzione contenute nelle canzoni per bambini, insieme all’istigazione alla droga già perpretata da Pollon e la sua polverina. Se ne parli, vuol dire che hai ancora fiato.
Al primo bivio, i cartelli confermano che hai già percorso un’ora, stessa sensazione del tuo orologio, e delle tue gambe. Epperò, o sei in forma, o stavolta non era Messner a dare i tempi. L’altro cartello ti informa che mancano ancora due ore. Si ma, non erano 3,30? Dove è finita l’altra mezz’ora? Forse la gente si ferma qui a chiedersi dove è persa la mezz’ora, e intanto perde la mezz’ora. Si sale, il percorso è dato per panoramicissimo. Peccato che ci sia una foschia che non vedi a due metri. Scopri questa è anche chiamata la Valle degli Infelici, che il sole non lo vedono mai. Ah, beh. Saperlo prima. Arriviamo al lago, confermando di avere il passo del CAI di Lanzo, che si è sbattuto a mettere i cartelli. Si incrociano tre alpeggi, o rifugi, che sono alpeggi secolari, rimessi a nuovo di fresco. Ci sono alcune fontane strada facendo, ma sono nei cortili delle case con tanto di cartello “Proprietà privata”, quindi senza chiedere, non si beve. Il tempo non promette troppo bene, quindi mangiato il classico panino, si torna indietro, e ci si mette tanto quando a salire. Quasi sul finale, ci si può concedere una deviazione verso la chiesa di S. Giacomo, che non sarà tanto speciale in sé ma offre un panorama della valle che assumi, nei giorni non di nebbia, sia molto bello. Oggi era grigio. Grigio impeccabile, intellettuale e pessimo umore, come i grigi della Punto, ma tutti insieme.
Considera un totale di 6 ore di camminata tra andata e ritorno, per 800 metri di dislivello.

Randagia, che pessimo umore in montagna mai….

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