Porgi l’altra guancia

“Opposizione. E’ fisica. Metti un piede a sinistra, una mano a destra, una a sinistra. Gambe larghe. E spingi. Opposizione. Vedi che stai su? E adesso muovi un piede e vieni avanti”. E questo te lo dice con la tranquillità e la sicurezza della nonna che ti insegna a fare la maionese, sicura che non impazzirà, anche se sei tu e non lei a sbattere le uova. Tu ti fidi, segui quelle che credi siano le regole base per non sfracellarti qualche metro sotto. Perché lì, sotto le tue gambe, tra la roccia di destra e quella di sinistra, è vuoto. Non altissimo, ma vuoto. Sotto, la rossa sabbia giordana. Non deve essere morbida. Un passo. Una botta di adrenalina o quello che è. Un “Minchia!”. Due passi. Un altro “Minchia!”. Un passo. E’ fatta. “Minchia!”. Bello. Sorridi, ringrazi Mister Tranquillità per la ricetta della maionese, e a sera pensi: “Perdo dieci chili, e a primavera mi iscrivo al corso di arrampicata. Salire è bello, ma portare a spasso tutta questa roba, è uno sbattimento!”. La vacanza finisce, l’inverno pure. Ma quei dieci chili sono ancora tutti lì, o quasi. Rinunci? Sfogli il calendario gite del CAI. Ferrate. Che sia la giusta via di mezzo? Ma le saprai fare? Poco male, c’è l’uscita di prova. Attrezzatura in affitto, e un paio di persone di esperienza e buon cuore si offrono di portare i nuovi arrivati su una ferrata prima di portarli nelle gite sociali con il branco. Un pomeriggio in settimana. Caprie. Hai l’agitasiun già da un’ora prima, quello stomaco che si chiude e si chiede se ce la fai o no. Sole che spacca. Imbrago, set e cordino corto, quello che quando sei stanca, ti agganci penzoloni e riposi. Passi corti, per non stancarti. Riposati se sei stanca. “Si si, si si”. Si sale, bello, facile. Che caldo. Oh, qui è dritta proprio. Passi corti, per non stancarti. Riposati se sei stanca. Oppure, casca come una pera cotta. E pera cotta sia. Le braccia ti lasciano. E’ tutto un attimo. Mica come i testacoda con la macchina, che hai tempo a riviverti tutta la vita prima del botto. Qui il botto è subito. E nessuna carrozzeria a proteggerti. E’ la faccia quel pezzo di te che sbatte contro la roccia. E capisci perché dicono “duro come la roccia”. Male? No, la paura anestetizza. Non hai male. Due occhi seri si sbarrano dentro i tuoi, due mani ti fanno il contorno della faccia, solo dopo parlano: “Cosa hai picchiato?” Eh, vallo a sapere. Guarda dov’e il sangue, avrai battuto lì. Sangue in bocca, si attaccherà mica al lavoro del tuo dentista? No, sembra di no. Ed è già un sollievo da 1000 euro almeno. La diagnosi è banalmente un labbro tagliato. Avrai picchiato la guancia, ma ti è andata di culo. I danni dentro sono altri e non fan testo qui. Ci bevi su quel mezzo litro d’acqua, mentre ti chiedi come hai fatto, e qualche risposta viene. Ora te lo ricorderai a cosa serve il “cordino corto”. Dai, sono cose che prima o poi capitano. Dicono. Già, avresti preferito poi. Si riparte. “Randa, ti leghiamo per salire?” No dai, proviamo. Respiri. E avanti. Non tremi, ma proprio sicura non sei. Qualche mano amica cambia i moschettoni al posto tuo quando ti vede in difficoltà, che per oggi importa solo uscirne. E capisci perché le chiamano “vie di fuga”.

Randagia, che porge l’altra guancia…