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I pensieri di Torquato

Posted on Aprile 22, 2011 by randagia

Un appartamento non signorile, ma luminoso, ben arieggiato. Stavamo lì da un pofrom_unixtime( si stava bene. Mi volevano bene, più lei di lui. Anzi, lei mi voleva bene, mi coccolava. Lui mi tollerava. Ultimamente litigavano un sacco, sentivo le vibrazioni delle loro parole, dei loro sentimenti. Del loro servizio da dodici che andava in frantumi.
Quel giorno l’ho vista preparare le valigie, piangeva. Non si piange quando si va in vacanza. Non piegava meticolosamente i vestiti, li buttava dentro. Tanti. Troppi. Non faceva le valigie così quando andava in vacanza. Non capivo. Dove andrà? Perché? Mi si è avvicinata, mi ha coccolato come solo lei sa fare, e mi ha sussurrato “non posso più tenerti con me, perdonami”. Io non capivo niente. Cos’era cambiato? Che fastidio le davo? Perché? Perché?

Mi ha dato ad un’altra donna, che mi ha accolto con amore: non mi ha fatto mai mancare niente, mi ha cresciuto con cura. Ma mica è la stessa cosa. Non può essere la stessa cosa. Ogni tanto tornava, mi salutava sì, ma con distacco. Ed io intanto son cresciuto, eccome se son cresciuto. Sto diventando grande. Questo vaso non basta più. L’altra donna non può mettermi in uno più grande e le dice che mi porta in un vivaio. Un vivaio dove qualcuno si prende cura di me, finchè qualcun altro non mi adottata di nuovo. Ma no, lei dice che no, di non farlo, che le mette tristezza, che le sembra di abbandonarmi così. Le sembra? Adesso? E cosa crede di aver fatto anni fa, quando piccolo piccolo mi ha parcheggiato dall’altra? Cosa cambia, adesso? Ha pensato a quello che è meglio per me? Magari troverei una sistemazione migliore, una casa in collina con un parco grande grande dove mettere radici.

Invece no, adesso lei mi rivuole, solo che non può tenermi con lei. Io continuo a non capire. Tempo per me non ne ha, dice, e mi porterà dai nonni, mi lascerà nel loro cortile, che non è un parco in collina. Ma chissà, magari mi verrà a trovare ogni tanto…

Torquato, il tasso

Basta

Posted on Aprile 13, 2011 by randagia

Meno dieci. Meno quindici. Vento. Buio. Neve. Triangoli di luce alle finestre, che si vedono solo là, là dove si festeggia Santa Lucia. Triangoli di luce che fanno sembrare tutte le case uguali, ma solo da fuori.

“E se non ti va bene, lasciami in pace!” Sonia sbatte la porta della camera. Le luci alla finestra tremano. Uno scatto d’ira solleva Giovanni dal divano e gli fa aprire violentemente la porta: “Nessuno mi ha mai sbattuto una porta in faccia!”. C’è sempre una prima volta. La porta gli si richiude in faccia. E la scena velocemente si ripete, ma stavolta senza parole: uno schiaffo violento lascia il segno sul viso di Sonia. Parte il cazzotto. Azione e reazione. Che quella storia del porgere l’altra guancia, Sonia non l’ha mai capita. La porta si richiude. Due maglioni, una gonna, un paio di jeans, un po’ di biancheria entrano in fretta in una valigia. Dormirà da un’amica. Esce senza ancora sapere quale amica, sceglie di fretta, sceglie Giorgia. E sceglie male. “Chissà cosa gli hai detto per provocarlo così, e come ti è venuto di fargli un occhio nero?”. Nessuna risposta. Come le è venuto? Legittima difesa? Debolezza di nervi? Non lo sa, sa che si è presa una sberla, ed è colpa sua che ha provocato. Sonia ha dato un pugno, ed è colpa sua che l’ha dato. Brutto sentire sulla propria persona la versione riadattata di “L’han violentata? Chissà che minigonna aveva!?”.

Le cinque dita sono svanite della guancia di Sonia, ma la tristezza di quel momento rimane, a distanza di anni. La tristezza rimane e si rinnova, ogni volta che Sonia condivide questo episodio e qualcuno commenta con il solito “Chissà quanto l’avrai provocato…”. E succede, spesso. Anche qui, anche adesso. Qui dove i triangoli di luce da mettere alle finestre non si trovano neanche all’Ikea e dove la valigia si riempie solo più con l’emozione di un lungo viaggio. Ma adesso le fa meno male. Adesso non lo racconta più.

La tartaruga e lo Scimmione

Posted on Aprile 12, 2011 by randagia

E arriva la sera. La aspetti da un paio d’anni. Sei nella lista. Documento in mano. Niente cellulare, niente macchina foto. E ricordati di lasciare a casa il serramanico.
Ti presenti in orario. Con te un altro centinaio di persone. Aspettate per oltre un’ora davanti ai cancelli chiusi. Ognuno con i propri problemi, con i propri pensieri. Consegni il documento, ti danno un numero, varchi un piccolo passaggio aperto. I cancelli, quelli veri, sono ancora chiusi.
A piccoli gruppi potete entrare. Clack. Si apre un cancello. Prima nel cortile. Solo asfalto e palazzoni tristi. Case popolari, ma senza il colore dei panni stesi. Cammini in silenzio, guardandoti attorno. Entrate in una stanza. Un corridoio, ampio come le corsie di un ospedale, ti aspetta dopo l’ennesimo cancello chiuso. Clack. Il corridoio è di un verde accesso che ti ricorda un po’ l’asilo. Le finestre spalancate lasciano vedere un altro cortile di asfalto e cemento. Hanno le inferriate, quelle tipiche dei piani rialzati, ma qui sembrano al contrario. Sembra pulito, nuovo. Sta a vedere che non è poi così male sto posto. Clack. Il verde acceso lascia posto all’azzurro sporco. Le porte metalliche di quell’azzurro arruginito, tutte uguali, tutte alla stessa distanza. Un groppo sale in gola. Sta a vedere che è proprio così male questo posto. Forse il film l’han girato solo nel corridoio verde. Clack. Si prosegue con lo stesso panorama per una distanza che non sapresti quantificare. Né t’importa farlo. Clack. Una sala. Sedie di plastica, un centinaio. Un palco, che ricorda quello delle recite scolastiche. Un profumo di caffè inebriante. Te lo offrono con il sorriso. Prendi il tuo, e quello dell’amica che “Dopo le venti, solo dec”. Qui il dec non c’è, ma la torrefazione è di casa. Se di casa possiamo parlare.
Una simpatica presentazione precede lo spettacolo. Ti spiegano che gli attori non sono professionisti, alcuni di loro hanno partecipato dall’inizio a questa impresa, altri sono nel gruppo da poco, altri, le ragazze, sono arrivate da fuori. Si scusano che alcune parti “maschili” verranno recitate da donne, ma proprio nessuno degli attori ha accettato la parte del carabiniere. Una risata nasce spontanea. Questo è uno spettacolo in cui lo spettatore non si può alzare: vi chiedono di stare seduti, da adesso fino a dopo lo spettacolo, quando gli attori avranno lasciato la sala. Due ragazzi dalla faccia poco raccomandabile percorrono il passaggio centrale tra le sedie, puntati dagli occhi di tutti. Eccoli gli attori, chissà che crimine avranno commesso. Si siedono in prima fila e parlano del più e del meno. Beh, forse sono di quelli che non hanno ancora beccato. Solo dopo arrivano loro, i protagonisti della serata. Dal fondo della sala, entrano in fila, con lo sguardo di un bambino che cerca i genitori nel pubblico prima della recita scolastica. Ma bambini non sono.
Scenografia simpatica, personaggi particolari. Ad ogni battuta ti chiedi “Chissà cosa avrà fatto quello per essere qui. Chissà se ha ucciso qualcuno. No, con quella faccia avrà solo rubato le caramelle al supermercato”. E lo spettacolo continua, la musica, i tuoi pensieri, le loro battute.
Ah le tapas, Michele, ma non eri tu che volevi andare in Spagna?
Eh sì, ma mi hanno trattenuto qui a Torino…
Applausi, sorrisi. Qualche occhio lucido, di là e di qua del palco.
Poi tutto finisce, e sul palco salgono gli attori per i meritati applausi, gli organizzatori e i registi, che con poche parole ti ringraziano di esserci. Poi sale lui, l’uomo in divisa. Il Catarella delle Vallette, che ringrazia tutto lo “staffe”. Applaudi più forte, sperando che smetta di parlare.
Quando gli attori scendono dal palco e, in fila, escono dalla sala, sai che stanno tornando nelle loro celle, e li accompagni con il più caloroso dei tuoi applausi.
Ripercorri tutti quei corridoi, l’ansia ancora nello stomaco. Poi il cortile, i cancelli. Riprendi il tuo documento, e sei fuori, tu.

11 Aprile 2011
La tartaruga e lo Scimmione
casa Circondariale Lorusso Cutugno

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