scialpinismo in chartreuse
Sono bastate due chiacchiere in vetta alla Cime de Jasse (ne abbiamo parlato qui: Capodanno oltralpe) con i connazionali che erano stati al “Grand Som” il giorno prima per convincerci a lasciare il Massicio di Belledonne per scoprire quello della Chartreuse. È bastato che accennassero che la salita passava dal monastero della Grand Chartreuse che io già mi immaginavo, sci ai piedi, alla porta di quell’eremo. E per fortuna anche il mio socio, quindi cambio di programma, la sveglia puntata un po’ prima, qualche chilometro in auto in più, ma alle 8 del mattino noi siamo lì, al Pont des Allemands. E siamo soli.
Con le pelli di foca sotto gli sci, accompagnati solo dal rumore dei nostri passi, raggiungiamo il monastero della Grande Chartreuse.

L’ardesia dei tetti scoscesi svetta ai piedi delle montagne, il profumo del legno che arde entra nelle nostre narici, mentre avanziamo tra le ordinate cataste di legna dal cappello bianco.


E bianche, scopriremo più tardi al museo, sono anche le tuniche dei cocciuti monaci certosini, che da più di mille anni, nonostante una valanga, otto incendi e varie estromissioni, sono ancora qui. Hanno smesso di distillare personalmente il liquore della Chartreuse, ma non di incassarne i proventi. Santè!
Il monastero, dedicato al silenzio e alla preghiera, è chiuso al pubblico. Più a valle, in un edificio dismesso dai monaci ma altrettanto affascinante, è stato allestito un museo. D’inverno, attenzione alla neve sui tetti: cade e fa male!
Io punto diretta al Petit Som, più alla mia portata, il socio passa prima dal Grand e poi mi raggiunge, c’è parecchia gente sul percorso.
Sulla via del ritorno, quando siamo già in auto, incontriamo un’allegra banda di tuniche bianche a passeggio: altro che silensizio e meditazione, sembra un gruppo scout!
Randagia, a spasso con gli sci