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I martedì sera – colle della portia

Posted on Maggio 15, 2013 by randagia

Un sole che spacca. E sei al lavoro. Due nuvole in cielo, le prime gocce. E sei fuori dal lavoro, al solito ritrovo con quelli del martedì sera. Il motociclista è venuto in macchina, di acqua ne ha presa abbastanza la scorsa settimana. Qualcuno si presenta, ma causa meteo si dilegua. Qualcuno ha una riunione improvvisa, qualcuno prepara cena per un compleanno che ha da venire, sì tra una settimana, qualcuno si era dimenticato di una commissione su marte. Le defezioni quando minaccia pioggia adducono motivazioni molto creative. “Ma si dai andiamo, al massimo ci prendiamo un aperitivo a val della torre”. Nella mail di convocazione compariva anche il nome del maratoneta, ed un altro paio nuovi. Sbirci su facebook: uno è di quelli che corrono in tutina, l’altra ha un fisico da ministra dello sport. Sarà dura. E infatti lo è. Ma chissene, Colle della Portia l’hai fatto un sacco di volte, anche se ti lasciano sola te la cavi. Si parte da borgata Ciaine, per accorciare un po’ il dislivello. Sentiero. Pietraia. Sentiero di pietre. Pietraia. L’ideale quando minaccia pioggia. L’apripista ha un passo niente male, che dopo poco non tieni più. “Randa, guarda che bei narcisi!” recita qualche speranzoso, pensando che ti servano solo distrazioni. No, è il fiato che ti serve, e nessuno te lo può prestare. “A sinistra!” c’è il passaparola dai primi agli ultimi, che se sbagli lì non ti passa più. Poi diventa mulattiera, e chi vuoi che si perda? Forse chi per recuperare il branco non alza neanche gli occhi dal terreno e parte per la tangente in una curva, finendo in un sentierino che presto si dimostra sbagliato? Già sei lenta, se ancora sbagli strada… Torna sui tuoi passi, datti dell’idiota, e continua per la mulattiera. Si vede solo più cielo, ci sei. Si vede solo più cielo e due sagome che stanno scendendo ma si fermano con un “Ah no, eccola!”. Gentiluomini, tra un’imprecazione e l’altra sarebbero anche venuti a cercarti. Al colle, il panorama non è dei meglio, tutto grigio. Ma intanto, mica hai il tempo di godertelo: gli altri son su da un pezzo, si scende! Eccerto, entra nel rifugetto a firmare il diario. C’è chi fa il solito disegnino, che non hai tempo di riguardare: quando ci passerai la prossima volta ti farai una risata. Il branco in discesa è più socievole, si riesce anche a raccontarsi pezzi di vita oltre al classico “come stai?!” del parcheggio.
Qualcuno deve scappare, ma qualcun altro si ferma per un boccone al pub, a concludere la serata.

Randagia, che macchinata bagnata, camminata fortunata

La loro prima volta

Posted on Maggio 12, 2013 by randagia

Trofeo Mezzalama: emozioni in Valle Stura

Posted on Maggio 5, 2013 by randagia

Sabato 4 Maggio.
Partenza alle 5 da Mirafiori per noi, direzione Valle Stura.
Partenza alle 5 da Breuil-Cervinia, per i nostri eroi che gareggiano nel Trofeo Mezzalama. C’è la squadra mista: Luca, Sara e Raffele. E te le ricordi le espressioni di Sara di qualche giorno fa: “Si ma quest’anno Luca non farà il tempo di due anni fa, ha me in squadra”. E lo dice con quel senso di colpa malcelato, misto affetto esagerato per il fratello, che a sentirla ti dispiace quasi di essere figlio unico. C’è la squadra maschile: Andrea, Giambe e Ricky. Gli occhi che brillavano d’emozione nel raccontarci dell’Adamello Ski Race, diventano quelli di bambini seduti di fianco ai loro eroi, Kilian Jornet e Jaquemode, nel briefing del venerdì.
Comunque vada sarà un successo, per tutti.

Una delegazione di fan attende gli atleti al cancelletto del Breithorn, scambiando continui aggiornamenti con il Diretur e altri della gita. Chi al tifo ha preferito la gita mette gli sci sullo zaino di fronte alle terme di Vinadio. Qualcuno chiede “Ma hanno passato il cancelletto?” certo che sì, avevi dubbi? L’han passato eccome, mica come noi che alle 9 siamo ancora lì a gabolare con gli attacchi degli sci.

Si sale, ognuno con il suo passo, noi.
Si sale e si scende, con ritmi che è difficile immaginare, figuriamoci descrivere, loro.

1900 metri di dislivello in meno di due ore, loro. 1300 in oltre tre ore, noi.
Alla piramide che porta in vetta, ammettiamolo per dovere di cronaca, ai nostri atleti non ci pensavamo più: chi è salito agile e veloce, chi ha rallentato il passo talmente che l’istrutture di turno si è offerto di prendersi nello zaino la roba più pesante, chi ha messo a dura prova i propri nervi su questa neve che non tiene, chi ad ogni gucia prometteva “il prossimo anno mi alleno di più”.

Il piede fermo e veloce su creste sottilissime sopra i 4000, loro.
Il culo a terra per una gucia sbagliata sulla piramidina della vetta, noi. Chi lo sa fare, disegna curve perfette nella discesa, su una neve bella e trasformata sotto il sole primaverile. Gli altri le disegnano un po’ meno perfette, ma sempre con il sorriso. Qualche canalino da stare attenti, qualche bella curva tra i pini, con la silenziosa soddisfazione del non averne centrato nemmeno uno.

Fatta eccezione per un ginocchio, tutti sani e salvi al parcheggio, noi.
Tutti al traguardo, loro? Non si sa. Le notizie non arrivano in tempo reale.
Ma alla cena all’osteria della pace, a Sambuco, dove pernotteremo, arriva l’aggiornamento del Diretur, e tutto ci è svelato. Luca e Raffaele hanno alleggerito il carico a Sara, dispensandole barrette ed energetici quando serviva purché salisse veloce. Ma quando c’era da scendere, starle dietro era tutt’altro che facile anche per due altleti come loro. Qualcuno ha avuto un momento di crisi (forse per solidarietà con Kilian?) ma l’affiatamento e lo spirito dei compagni lo hanno aiutato ad andare avanti e concludere l’impresa, in una gara in cui non conta il podio, conta arrivare, contano le emozioni e le sensazioni di ogni atleta alla partenza, sulla cresta del Castore, sul passo del Naso, sul ghiacciaio del Lys.

I calici si sono sollevati al merito per i nostri atleti, le forchette si sono abbassate sui cruset e sull’agnello sambucano, per i nostri stomaci.

Randagia, alla fine di un corso che ha mantenuto le sue promesse, e anche di più

Le Calanques du Soleil

Posted on Maggio 1, 2013 by randagia

Ore 7.00, Tesoriera. Zaini e sorrisi. Destinazione Le Calanques, Costa Azzurra. Comodamente divisi tra qualche macchina e due divertenti furgoni nove posti,si parte.
“Per escursionisti dal piede fermo, che non soffrano di vertigini” recitava il volantino. E che non abbiano paura della pioggia, ma questo sul volantino non c’era. Arriviamo al Camping du Soleil di La Ciotat, ci catapultiamo nei piccoli ma pratici bungalow per mollare tutto e sfruttare il soleil che rischia di rimanere solo nel nome.
Trascuriamo la stazione del paese, sì quella dove nel 1895 i fratelli Lumiere girarono “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat”, il primo cortometraggio, per dirigerci alla Calanque de Figuerolles: dopo pochi minuti di cammino siamo immersi una caletta dai bordi sfumati, rocce che il mare ed il vento hanno lavorato con pazienza e fantasia. I temerari iniziano a mettersi in evidenza, pantaloni “sverciati” e piedi in acqua, ma nessuno osa fare il bagno. Da lì proseguiamo per il “Park du Mugel”, dove saliamo gli addirittura 155 metri del Bec de l’Aigle, composto di “pudding”, un amalgama apparentemente inaffidabile di terra e sassi, che si dice sia il resto di un continente precedente. La metà dei sentieri risultano ufficialmente chiusi, ufficialmente. Da lassù si ammira il mare quasi calmo nella sua calanque. Scendendo si ammirano le scollature delle turiste o le spalle dei corridori, per accontentare tutti.
La cena al camping non è male, ed è abbondante. Quelli che al mattino erano sconosciuti, ora sono compagni di viaggio, merito un po’ del vino, un po’ della birra, un po’ di noi.
Qualche goccia ci accompagna alle Calanque di En Vau: il sentiero si tuffa nella vegetazione, emerge a regalarci scorci mozzafiato su queste rocce bianche, per poi immergersi di nuovo nel verde. Si sente la primavera. Soprattutto la sentono gli allergici. Il dislivello irrilevante del percorso fa sì che le chiacchiere non si siano mai fermate, e passo dopo passo ci si conosce meglio. La bionda che vuole fare il bagno ad ogni calanque, l’ingegnere che controlla il meteo sull’iphone ad ogni passo, i capigita che ci contano ad ogni sosta, come scolaretti in gita. E i conti che non tornano mai, come scolaretti indisciplinati in gita.
E’ forte la pioggia quando, il terzo giorno, ci dirigiamo verso Luminy, la zona universitaria da cui parte il sentiero per Sugiton e Mourgiu. Forte è anche la voglia di ripiegare su una gita turistica: i capigita passano a chiedere ai nostri finestrini “Ripieghiamo su Marsiglia, o andiamo lo stesso?” Chi, preso dall’entusiasmo del camminatore incita il suo furgone con un deciso “Noi vogliamo tutti camminare, vero ?!” viene accolto da un eloquente silenzio. Silenzio che, rotto da una risata, si trasforma in brusio e, per motivi non noti, si traduce in pochi minuti in un’unanimità di intenzioni: “Noi vogliamo camminare!”. Decisione presa. Faremo mica come il PD, tutti coesi fino all’attacco del sentiero, e poi abbandoniamo il gruppo? Per fortuna no, compatti, con ombrelli e coprizaino si parte, tutti. La fortuna aiuta gli audaci. La pioggia cessa, ammiriamo lo stradone fino a Sugiton, qualcuno si arrampica su un secondo grado, qualcuno fa foto. Tutti sorridono. Raggiungiamo la cala di Mourgiu, con le sue casette decorate, le persiane colorate, boccioli e fiori a rallegrare le case di un porto apparentemente deserto. Apparentemente, perchè un bar con una birra per tutti c’è.
La protratta assenza di dislivello porta allucinazioni: una collinetta viene vista come una montagna e all’inno di “Lasciaci sciogliere le gambe!” si sale con passo spedito e chiacchiera azzerata, apprezzando con il sorriso le gocce che scendono sul viso: finalmente non è pioggia.

Randagia, che Calanque vuol dire caletta, più o meno.

Colle Tovetto, itinerario perfetto!

Posted on Aprile 21, 2013 by randagia

“Non è mai sensato mettersi contro la natura, a sto giro vince lei”, dice il saggio. Anzi la saggia, con le gambe sotto il tavolo. La neve scende calma e costante. Qualcuno da dietro le finestre aspetta ancora Babbo Natale, peccato che abbiamo già passato Pasqua. Siamo arrivati questa sera qui, al Rifugio Ciriè, Pian della Mussa.
La pioggia triste e grigia ha ridotto drasticamente il numero di partecipanti. Noi, per ottimismo o perché non avevamo di meglio da fare, abbiam messo gli sci ai piedi nel tardo pomeriggio all’ironico incitamento di “Sfruttiamo questa schiarita, ragazzi!”. Infatti partiamo con la schiarita e saliamo con la nevicata. Che poi quel bianco tra i pini, misto nebbia, in fondo piace pure. Dopo qualche minuto i colori delle giacche e degli zaini quasi non si distinguevano: tutti bianchi di neve. Saliti chiacchierando, o ascoltando le chiacchiere altrui, che risulta più comodo quando il fiato non abbonda. Chi conosceva la zona non aveva parole gentili per i sei chilometri di noiosa stradina per arrivare all’altro lato del Piano, dove c’è il rifugio. Chi non la conosce, oggi la apprezza, domani cambierà idea. Siamo arrivati in un’oretta, con qualche centimetro di neve accumulato sullo zaino, sui cappellini ed anche sui bastonicini. Sci accatastati all’ingresso e corsa alle stufe per asciugare l’asciugabile. Capi sintetici adagiati sui poutage a sfidare note leggi della fisica.
Se ne scende tanta così, domani mattina facciam colazione ad Ala. Il piano A, punta Adami, salta quando ci servono un fantastico risotto gamberetti e zucchine. Il piano B, Croce rossa della Sea, sfuma con lo strudel. “Non è mai sensato mettersi contro la natura, a sto giro vince lei”, dice il saggio. Il piano C inizia con “ubriacatevi ragazzi!”.
Al mattino, l’impavido di turno esce a fare i rilevamenti: oltre 60 centimetri di fresca. I canaloni non hanno ancora scaricato, e non saremo certo noi a farli scaricare. Non ci resta che la seconda parte del piano C: aspettiamo il Diretur e quelli che hanno puntato la sveglia alle 3 per raggiungerci da Torino, e con loro torniamo a valle, concedendoci però una deviazione collinare: la grande scalata al “Colle Tovetto”, 400 metri di dislivello, allenamento ideale per chi la prossima settimana parteciperà al Mezzalama, no? E’ tutta nel bosco, senza rischio quindi, o quasi. Un pendio un po’ più inclinato, senza alberi, ci fa mettere in pratica la “tecnica di alleggerimento”: uno per volta, che stiamo in sicurezza e diamo un po’ d’emozione. Al colle arriviamo tutti insieme, senza distacchi, roba che sulle gite serie degli ultimi tempi, dove accumulavamo ritardi di un’ora, ci sognavamo.
Si scende in un attimo, si toglie la neve delle macchine. La gita continua nella sua versione enogastronomica: acquisti di salame di Turgia e piola ad Ala.

Randagia, che ci si diverte anche quando ci si arrende.

Ma che bello, torna il Carosello!

Posted on Aprile 19, 2013 by randagia

“Nonna, ma tu lo vedevi Carosello?” chiede Jessica, 15 anni. Con gli occhi illuminati di nostalgia, la nonna esulta: “Paulista, il baffo che conquista!”. Carosello. Carosello alla televisione. La televisione era solo in bianco e nero, i canali erano solo uno. Mike Bongiorno, era solo uno, ma era sempre. Le interruzioni pubblicitarie non esistevano: la pubblicità era Carosello, tutt’altro che un’interruzione, un programma a sè. Tutte le sere, dopo il TG. “Paulista?” chiede Jessica, risvegliando la nonna dal suo silenzioso amarcord. “Certo! Paulista e Carmencita, era la pubblicità del caffè Paulista.. della Lavazza? No no, della Paulista.” Paulista era, ed ancora è, una miscela di caffè della Lavazza, ma non è certo questo che importa alla nonna, che ormai naviga nel mare delle citazioni e continua “Olivella e le gite domenicali. Chi è Olivella? Ma sì, quella di Olivolì olivolà, olivolà olive Saclà.” Forse fa un po’ di confusione: Olivella era la protagonista del cartone dell’olio Bertolli, mentre il jingle della Saclà arrivava dagli sketch di Nino Manfredi, ma intere o spremute, sempre olive erano. Il nonno non si esime dalla sua dose di ricordi: “Con quella bocca può dire ciò che vuole… e c’era la Virna Lisi, era la pubblicità del dentifricio Durbans”. Vero, era un dentifricio, ma il Chlorodont non il Durbans. “E poi c’era l’ispettore Rock, un po’ come Colombo ma con gli occhi dritti, aveva pipa, soprabito e cappello. Beccava il colpevole, non commetteva mai un errore, ma alla fine un errore lo aveva commesso, lo stesso di Montalbano e del nonno: si toglieva il cappello, e mostrando la pelata ammetteva di non aver mai usato la Brillantina Linetti”. “E poi c’era Calimero ” continua Jessica ” quello lo conosco anche io, quello di “non sei sporco, sei solo nero”.

Calimero, Olivella, Carmencita e tanti jingle che sono entrati nelle case e nel cuore degli italiani, meno nei loro portafogli: si badava molto ai personaggi, meno alle marche. se la Miralanza ha guadagnato, deve ringraziare più la banale raccolta punti dei fustoni che il tenero Calimero. Con l’avvento dei canali Fininvest e delle interruzioni pubblicitarie, molto più mirate e, pare, efficaci, Carosello ha chiuso. Ma adesso torna. Carosello Reloaded, dal 6 Maggio su RAI 1. Chissà che in tempo di crisi, ci affezioniamo a qualcuno invece che a qualcosa.

Randagia, reloaded.

Ferrata di Camoglieres – c’è processione e processionaria

Posted on Aprile 14, 2013 by randagia

Quattro donne, quattro uomini. Destinazione Ferrata di Camoglieres, Val Maira.
Tappa d’obbligo a Verzuolo, ma no, non alla pasticceria della piazza dove si ferman tutti. Al baretto poco più in là, dalla barista dagli occhi blu e dal bel sorriso, molto apprezzati soprattutto quando si gira a fare il caffè.
“Ragazze, non è colpa nostra, ste gite all’inizio eran di soli maschietti, e poi è diventata tradizione fermarsi qui…”. Nessuna obiezione: in fondo ci portano ovunque, ci fanno scegliere le destinazioni, c’è sempre una corda pronta, un cancelletto controllo nodi pre-partenza, e soprattutto, quell’atto da gentlemen che la macchina una donna non la prende mai: e non stiamo a menarla, su queste cose mica insistiamo per la parità.

Una giornata di sole pieno e nuvole in sciopero. All’attacco, tre ragazzi che stanno rinunciando. Troppo difficile per loro. Peccaro. L’uomo con la corda detta l’ordine di partenza e si parte, sento le risate isteriche della new entry qualche cambio più giù. Ohi, mi preoccupo? Chiedo notizie all’uomo con la corda che mi tranquillizza “No, no tutto bene. Come? Risate isteriche? Che ne so se erano isteriche, rideva, ho dedotto che andasse tutto bene…”. Guardo giù, e i tre ragazzi che sembravano aver rinunciato stanno salendo: ci han visti e han pensato “Se ce la fanno quelli!”. Grazie, la nostra buona azione per oggi è fatta.

La ferrata si articola in cinque segmenti distinti, dopo ogni tratto una via di fuga. Ma le vie di fuga, o vie di figa, come qualcuno si è premurato di correggere su qualche cartello, non sembrano servirci. Un pilastro, due. Il “cordino corto”, il più amato dalle donne, aiuta nei cambi più difficili. La bellezza del paesaggio, anche se qualcuno non osa guardare giù, accompagna in quelli semplici. Lunghissime cordate di processionaria, o “gatte” ci tagliano la strada: sembran millepiedi che van tutti avanti in fila, ma si tratta di un parassita dei pini urticante per gli umani. Un ponte tibetano da 50 metri, niente male: ma com’è che quando hai imparato a fare quelli con una fune sola per i piedi, qui te ne mettono due? E’ comunque facile, solo luuuuuungo. Qualcuna sculetta nell’attraversamento, qualcuno si limita a due paroline contro il vento, che fa ondeggiare più del dovuto. I più concentrati non hanno neanche sentito il potente odore di campagna che la valle emanava in quel tratto.

Ultimo segmento, il più difficile, il più strapiombante. Uno di noi rinuncia, l’uomo con la corda, un po’ preoccupato per la new entry le dice “Io non ti consiglerei di farlo, poi valuta tu”. Diciamo che se gli uomini non sanno leggere tra le righe, le donne non sanno leggere tra le rocce: “Ah beh se non me lo consigli, non mi dici di non farlo, quindi vengo!”. Nonostante la mia traduzione in tempo reale “Secondo lui è meglio che non la fai, solo che non si osa dirtelo”, l’entusiasmo della new entry è troppo alto e chi la ferma più? “Allora dai ci provo, se ho problemi… che succede?”. La solita voce tranquilla afferma “Al massimo c’è una corda, in qualche modo se ne esce”. L’ultimo pezzo è bellissimo, due tratti strapiombanti, ma con parecchi ferri, e anche chi ha gambe corte e culo grosso se la cava. La new entry, neanche un problema: gran donna, arriva su con un sorriso smagliante e festeggiata da tutti! Ancora quattro passi per arrivare in vetta, firma del libro (grazie a quel Gigi che l’ha portato su!), e giù a spaparanzarsi al sole.

Randagia, che è primavera svegliatevi cordini…

365 giorni a metà

Posted on Aprile 8, 2013 by randagia

Capodanno. Il primo giorno di primavera. Il proprio compleanno. Il primo del mese. Ogni giorno, anche il più anonimo, è buono per iniziare qualcosa. 17 settembre 2012, un giorno anonimo: Fabrizio, come va di moda tra i personaggi del secolo, annuncia su Facebook il suo progetto “365 giorni di equilibrio”, uno scatto al giorno. “Ussignur. Ci vuole troppa costanza, non arriverà a Natale!” han pensato gli amici. Forse lo ha pensato anche lui. Ma a Natale è arrivato, ha anche passato Pasqua, e quindi eccolo qui a celebrare i sei mesi di “equilibrio” con una mostra.

Sei mesi di equilibrio sono invidiabili, quando tutti viviamo di alti e bassi, di precarietà e fortuna, di affetti e delusioni. E allora? Come ci spieghiamo “365 giorni di equilibrio”? Come ha scritto Fabrizio stesso in due righe di accompagnamento ad una foto:
“Equilibrio neanche a parlarne. Di quelle giornate dove esiste solo il caos!!
Comunque alla fine ho voluto rappresentare…” (30/09/2012)

Ah ecco, tutto spiegato. Non è che l’equilibrio ce l’ha, l’equilibrio lo cerca: forse trovarlo è solo una parte del gioco, il bello è il cercarlo. Dovremmo provarci tutti, e magari già ci stiamo provando.

A chi gli chiede come mai abbia scelto un progetto, per di più pubblico, di quelli che se li interrompi rischi una bella figuraccia, Fabrizio risponde “Lavorare per progetti mi aiuta a sviluppare meglio la mia fotografia, trovare un mio stile e non cercare di assomigliare a qualcuno. Intanto mi diverto e riesco ad esprimere ciò che ho dentro, per ora mi basta. Questo dei 365 poi, che mi “obbliga” ad esprimere questa sensazione di equilibrio tramite la fotografia, mi ha aiutato a guardare con più attenzione e cercare quello che veramente voglio”. Ma su 365 giorni, un giorno che sia uno, gli sarà successo di dimenticare la macchina foto a casa, no? E anche qui Fabrizio ci stupisce “No, mai. E’ diventata una mia appendice, e la cosa mi piace, mi piace vedere il mondo filtrato dal mio obiettivo, sapere che posso mettere un filtro fra me e il mondo mi aiuta molto, per un orso come me è l’ideale”.

Randagia, che ammira l’equilibrio altrui, ma ha qualche problema con il proprio.

Ma perché avrà scelto proprio l’equilibrio? Possiamo chiederglielo di persona, andando all’inaugurazione della mostra, che si terrà il 12 Aprile alle 19:00 nella sala “8e9 sotto” presso E-belf, C.so Regina Margherita 89.

La mostra è curata da Davide Giglio, Centro Visual
Sala “8e9 sotto” presso e-belf in C.so Regina Margherita 89 (To)
Orari: dal 12 al 27 Aprile),5.00-18.00 dal lunedì al sabato
Quotidianamente Online: http://fabriziobocchino.blogspot.it/

L’uomo con la corda

Posted on Marzo 18, 2013 by randagia

Ferrata de La Brigue

In collina si iniziano a vedere le primule, le giornate sono più luminose, c’è aria di primavera, c’è aria di ferrate. “Andiamo a fare la Brigue! E’ tutta al sole”. Hai iniziato l’anno scorso, non ha mai osato superare il livello D (difficile), lasciandolo per l’anno successivo. Eccerto, ma non intendevi per la prima ferrata dell’anno successivo! Peccato o fortuna, non hai letto la relazione tecnica, quindi non lo sai.
Si paga l’ingresso all’azienda di turismo, 5 euro prezzo ufficiale, cui viebne applicato uno sconto su base simpatia, credo.

“Randa, devo prendere la corda?” Sì, certo. Che non si sa mai.

Si parte in verticale, ovvio, le ferrate non sono in piano. Sì, ma c’è verticale e verticale: questo ti sembra verticale tanto, ma sarà solo che non sei più abituata. Sali un pofrom_unixtime( l’allegria del paesaggio ti prende. Sali ancora un pofrom_unixtime( le braccia danno segni di affatacicamento. Una nicchia nel primo pilastro ti invita a sedertici dentro, come le statuina della bambina con l’agnellino che mettevi sulle montagne del presepio, e stava lì, fino a Natale. Pensi di stare lì, fino a Pasqua. Ma è un po’ troppo presto per arrendersi, e non hai nessun agnellino da fare arrosto. Sali ancora un pofrom_unixtime( una vocina dentro ti dice “Dopo una stagione passata a tentare di allenare il fiato, vai a fare una ferrata dove servono le dimenticate braccia? Ma se vai a dare un esame di storia, prima ripassi inglese? Se vuoi farti segare, magari sì.” E infatti a farsi segare sono le braccia. I battiti salgono, per il panico non per la fatica, il cuore si è spostato nelle narici. E’ bastato un quarto d’ora, in cui non hai applicato nessuno dei trucchi imparati l’anno prima, per trovarti panata. Possibile che tu non abbia imparato niente? Sì sì, una cosa te la ricordi: attacchi il cordino corto, lasci giù le braccia, e stai seduta sull’imbrago urlando un “Raga, aspettate che non ce la fo di braccia!”. Chi ti conosce meglio, annuisce e tace. Chi ti conosce meno, continua a fare incitazioni. Chi è più esperta, ti consiglia “Molla giù tutte e due le braccia, poi quando te la senti, levati veloce di lì che ti manca un cambio e sei fuori”, e con andi materno aggiunge “Vuoi che ti venga vicino lui che ha la corda?”. L’uomo con la corda e con la fiducia, mi comunica pacato “Ti aspetto qui!”. Eh, arrivarci “qui”. Gli avambracci, rossissimi, sono duri: il “cicin” che li caratterizza si è pietrificato. Minchia Randa, le gambe! Dovevi usare di più le gambe, ricordi? ‘Ca troia, invece hai fatto la figa, un ferro dopo l’altro e su veloce. E mo? E mo stai lì appesa finchè il cicin si depietrifica. Ti aspettano, il tempo che ti serve, non ti mettono fretta, non ti mettono ansia, per questo adori i tuoi compagni di gita. Quando riprendi, sali gli scalini ricordandoti bene di metterci su entrambi i piedi e alzarti di gambe, tieni le braccia tese il più possibile, e vai su senza fermarti. Il cuore torna nella cassa toracica, gli occhi ridono, anche questa è fatta. “A posto Randa?” Eh si, un po’ idiota ma a posto. Passato il primo pilastro le cose si semplificano, sempre esposta ma non così strapiombante, la ferrata percorre tutto il massiccio in traverso, per poi regalare una bella tyrollien, senza farsi mancare i ponti delle scimmie, nove in tutto, neanche necessari, ma messi lì per il divertimento delle masse. Tutti i ponti sono rivolti alla parete, tranne l’ultimo, da fare faccia a valle: come se servisse a mantenere l’equilibrio fissi quell’albero, sulla montagna innevata davanti a te, ma poi ti fai prendere, e lasci che lo sguardo spazi su tutta la valle, i piedi scandiscono un passo dopo l’altro, gli occhi una vetta dopo l’altra, un sorriso al cielo su e uno sguardo al paesino giù. All’arrivo uno ti dice “Sto ponte si sentiva nelle braccia”. Dirà davvero o per prenderti per il culo? Non chiedertelo, ma soprattutto non chiederglielo. La ferrata continua ancora per alcuni traversi, e poi scende verso il sentiero. La roccia nei tratti più bassi, mista cespugli, un po’ si sfalda, ma poco.
Tutti entusiasti, andiamo a mettere le gambe sotto il tavolo, facciamo un tour per il paesino di Briga, che qualcuno valuta come possibile meta di una tre giorni romantica, e poi si rientra, con la tappa alla Venchi a Vernante.

Randagia, che tra fiato e braccia, è meglio allenare la memoria!

PS: se volete fare la ferrata di Brigue, qui la relazione seria.

meteo miracolo

Posted on Febbraio 24, 2013 by randagia

Il tergicristallo va, a spazzare la neve mista a pioggia. Oggi saremo pochi, penso, con sto tempo. Pochi un corno, ci son tutti, o quasi. Mi addormento sul bus, con la neve che cade e tutto grigio intorno. Mi sveglio che siamo già fuori dall’autostrada. Non nevica più. Si parcheggia alla pista di fondo di Flassin (1370m), frazione di Saint Oyen. La sbisa non manca: partiamo su un ampio pendio, con il passo deciso di chi vuole scaldarsi. Dieci minuti e il parcheggio non si vede più. E’ la prima gita in cui le piste da sci non ci seguono: era ora! Sembra quasi facile, peccato che qualche insignificante cunetta mi ricordi che la fifa anche oggi è salita sugli sci con me. Ma come faccio ad avere fifa in un posto dove, se cado, mal che vada, mi rompo un’unghia? “Randa, un passo dopo l’altro, non ti fermare su ste…” E lo so che voleva dire “cazzate”, ma non lo dice. Un signore. Il cielo si fa azzurro, di quell’azzurro che è ancora più bello quando parti aspettandoti il peggio. Il livello di allegria aumenta, e si impenna pensando alla discesa. Tanti alberi. Tanto bianco. Tanto silenzio? Sì, prima che arrivassimo noi. Qualcuno chiacchiera di più, qualcuno di meno, quanto il fiato permette. Una valanga si è sfogata qualche tempo fa nel valloncello a sinistra, li vedi quegli alberi spezzati a destra? Quelli sono il risultato di una valanga di neve polverosa. Le vedi le cornici lassu’? Tutte portate dal vento, non devi starci sotto, e neanche sopra. Perchè tu pensi che sia rilassante camminare sulla neve: sì lo è, alla Pellerina, quando invece vieni da queste parti, un po’ all’occhio devi stare. Si arriva alle baite Tsa de Flassin, candidata meta in caso di maltempo: ma il sole splende, e quei pendii poco sopra ci stanno chiamando. Una bevuta di té, e si continua a marcè. Qualcuno allunga da Testa Cordella, qualcuno si dirige al colle, che basta e avanza. Chi ha fiato e gambe, lasciati gli sci sale sulla Cima Flassin. E poi giù. Giù! Neve da 5 stelle, dice chi ne sa. Il mio gruppetto, come tanti altri, va alla ricerca del pendio vergine, di quel tratto dove non è ancora passato nessuno, un foglio bianco su cui dipingere o scarabocchiare le nostre curve. “Randa, non è possibile che ti fermi dopo ogni curva, una di fila all’altra le devi fare. Adesso vienimi dietro!” E mi si apre un mondo. vero che a “chiuderle” le curve evito l’effetto accellerazione incontrollata, vero che a farne una dopo l’altra la fifa mi molla, ed il divertimento inizia. Mi si spalma un sorriso in volto, che tarderà a svanire.

A valle ritrovo volti soddisfatti quanto il mio, entusiasti dalla neve, increduli del meteo-miracolo, esaltati dal lardo e miele, frutto della collaborazione attiva di due allievi del corso.

Unico neo: barella di emergenza, un ginocchio non è arrivato a valle sano, e a lui vanno tutti i nostri “in bocca al lupo” per riaverlo con noi alla prossima gita.

Randagia, che non sa valutare le stelle, ma è sicuramente per una giornata così che si era iscritta !

Hai mai provato a guardare l’alba dall’alto?

Posted on Febbraio 14, 2013 by randagia

6 Dicembre 2011.

Così è cominciato tutto. Quando ancora pensavo che la montagna fosse posto da tranquilli pic-nic domenicali, da spaparanzi al sole. “Tu non sai quant’è bello guardare l’alba dall’alto!”. Certo che no. Io l’alba la vedevo solo in sogno, perché mai avrei dovuto svegliarmi così presto? “Dai, prova una volta”. E proviamo, giusto perchè a dirmelo è un gran bel tocco d’uomo. “Passo a prenderti alle 5:30”. Del mattino.
Abbigliamento a cipolla, che la parola “materiale tecnico” mi sa di snob: maglietta di cotone del mercato, pile della volontaria olimpica, sciarpetta indiana che tiene tanti ricordi ma poco caldo. Bastoncini e scarponi. Cinque e trenta. Pure puntuale. Abbigliamento supertecnico lui, tutto una marca. Scarpe da corsa. Giuda faus, sarà dura. Si attraversa Torino in un attimo a quelle ore, e arriviamo a Piossasco. Buio pesto, e bisogna piazzarsi in testa questo elastico con la luce, per capire dove mettere i piedi. L’elastico con la luce è quello che i tecnici, o gli elettricisti, chiamano “la frontale”. E cammino, con il mio lampione personale. Solo il mio, perchè l’altro è avanti passi luce. Fatico, inizio ad aver caldo e a smontare la cipolla. Fa bella mostra di sé la maglietta da mercato, scollata, coperta dalla sciarpina. “Minchia Randa, non ti si può guardare! Ma il cotone manco mia nonna lo mette più. E sta roba al collo che è? Te oggi ti prendi un accidente”. Oh, sarà anche un bel tocco, ma sulla simpatia ci sarebbe da ridire. Continuiamo a salire, tranquillo lui, che parla e ride. Sfatta io, che arranco e ansimo. Un’oretta abbondante e siamo su. Sotto, la città che si sta svegliando. Mai notato che i primi a muoversi sono i furgoni della nettezza urbana, con i loro lampeggianti gialli? Intorno, l’alba sta illuminando una ad una tutte le nostre montagne: la croce bianca del Musinè, il Monviso, lontano ma inconfondibile, e tutte quelle altre di cui non so il nome, ma tutte insieme, ordinate, nel rosa del mattino hanno un fascino unico. Quasi dimentico che un’ora prima ero in città. Ho rimesso su tutti i miei strati di vestiario, e starei lì tranquilla a godermi questo spettacolo gratuito, quando mister abbigliamento tecnico confessa: “Sai questa roba tiene caldo quando ti muovi, ma da fermi no. Scendiamo?” E certo, scendiamo. In fondo sono addirittura due minuti che ho ripreso un respiro normale, perchè mantenerlo? Almeno a scendere non sarà tanto faticoso. Povera ingenua! Il volto serio di un omino verde si para davanti a noi. Un extraterrestre? No, una guardia forestale: “Dove pensate di andare voi? Sapete che c’è una battuta di caccia al cinghiale in corso? Come siete arrivati qui? Ma non li leggete i cartelli?”. Noi i cartelli li leggiamo anche, solo che se tu li metti dopo che noi siam passati, vien difficile. E quindi? “Adesso dico alla radio a questi poveri quaranta cacciatori di fermarsi, e voi svelti scendete e speriamo che nessuno vi spari addosso!”. “Certo scendiamo di corsa”. Se non gli sparano loro, quando arriviamo sotto, il “tocco d’uomo” lo ammazzo io. E via si scende. Di corsa? Di corsa, io? Io se corro cado, ringrazia che provo a spicciarmi. Sto stambecco parte, urlandomi ogni tanto “attenta qui, radice!” “attenta qui, pietra!”. Abbastanza inutile: quando alzo gli occhi per vedere dove è “qui”, quello è già 20 metri sotto, e chissà a che radice, a che pietra avrei dovuto stare attenta. Affranto, mi guarda e mi dice “Ma non puoi… correre?”. E che gli dico? “Sì potrei, ma preferisco volare?”. Nella mia affannata discesa per uscire dal campo minato, quella quarantina di cacciatori in pausa forzata si prodiga in frasi di incitamento che mai avrei immaginato “Vada tranquilla, signorina!”, “Vada piano, signorina!” “Vai tranquilla, meglio te viva che un cinghiale morto!”. Ecco questo il primo complimento della giornata. Arrivo viva a valle, fuori dalla zona minata, i cacciatori possono riprendere la loro battuta. Le mie gambe tremano, per l’ansia, per la paura, per la fatica, ma nei miei occhi si legge un chiaro “In fondo mi sono divertita”. Solo negli occhi, perchè il fiato per dirlo non ce l’ho.

E’ passato poco più di un anno. Adesso non esco alle 5:30 per andare al San Giorgio col primo tocco d’uomo che mi invita. Adesso esco alle 6:00 per salire a Superga con gli amici, per salire il sentiero 65 del parco, mentre la città si sveglia e le montagne “mi fanno ciao”. Per sentire le nostre chiacchiere che si diradano, fino ad annullarsi in profondi respiri negli ultimi metri, mentre il cielo si sta accendendo. Oggi c’è la neve. I cani delle case, la cui indifferenza ci lasciava delusi nei giorni più freddi, oggi abbaiano al nostro passaggio. La frontale non serve quasi più. Sarà per la neve, sarà perchè siamo a metà febbraio, ma l’alba oggi arriva prima. Qualcuno va su tranquillo, qualcuno con il fiatone dalla prima scorciatoia, io mi sento come su un tapis roulant farlocco: vado due passi avanti, e scivolo uno indietro. Bella la neve. Arriviamo alla Basilica. Cielo terso. La nostra Torino lì sotto, la Mole che ci solletica il naso. Quelli bravi riconoscono anche i corsi e li indicano per nome. Le montagne bianche sotto la luce rosa mi dipingono un sorriso compiaciuto. Scendiamo subito, che l’abbigliamento minimale che abbiamo va bene se ti muovi, ma se stai fermo, hai freddo. Un classico. In discesa qualcuno plana da un albero all’altro come una scimmia volante, qualcuno corre leggero sul manto bianco, io mi tengo in bilico con i bastoncini e qualche preghiera.
Scivolare sulla neve fresca prima di colazione, è un’emozione da bambini. La colazione da Gallizioli, a San Mauro, è un lusso da adulti.

Randagia, che sa quant’è bella l’alba vista dall’alto

Cuore e stomaco

Posted on Febbraio 5, 2013 by randagia

Pullman da Mirafiori, meta Monte Creusa, da Limonetto. La prima uscita pelli ai piedi. Ci dividono a gruppi: tre allievi due istruttori, che se uno si impappina almeno un istruttore con lui rimane. E ci fanno l’annuncio “Ragazzi, abbiamo sbagliato, oggi ci sono qui anche quelli della scuola Sucai, ma loro vanno su un colle, noi sull’altro”. In fondo la montagna è di tutti. Noi 40, loro forse 100. Tanti omini che salgono così, a linea continua, non li avevo mai visti. La montagna sarà anche di tutti, ma almeno si potrebbe fare a turni? Al confronto le piste sembrano deserte. Non pensiamoci, concentriamoci sulla salita che già darà i suoi problemi. In gruppo con me quelle che il Diretur chiama “le due toste del bosco”. E toste sono: attrezzatura “aggressive” e fisico longilineo. I miei chili di troppo invece, non mi lasciano sola neanche oggi. Come dicono gli amici NoTav “sarà dura”. Ed infatti lo è: io voglio andare avanti, gli sci scivolano indietro. Il mio angelo custode del giorno, che non ha le ali ma indossa quella giacca con scritto “istruttore”, mi spiega che se evito di grattare con il naso la punta degli sci, ma sto un po’ più perpendicolare al terreno, le pelli fanno il loro dovere. E mica conta balle. Si sale. Le longilinee partono con un passo invidiabile, che subito seguo, poi mi limito ad invidiare. Zig. Zag. E la spiegazione della curva in salita. Zig. Zag. Che se non l’hai capita la rispiegano. Zig. Zag. A fa caud. Zig Zag. Zig. Zag.”53!” urla l’angelo custode. Quando la fatica già si fa sentire, subentra il panico “53 Zig Zag ancora??!!” No, 53 sono le persone davanti. Tra le due cose, non so cosa sia peggio. Forse con 53 Zig Zag la tecnica della curva l’avrei capita! Poi la neve si fa più dura, qualcuno cade. Parola d’ordine “coltelli”, quelle lame in più da agganciare tra sci e attacco.
Quando arrivo alla cima, affollata come Rimini a Ferragosto, non distinguo più i nostri da quelli dell’altra scuola. Ma non dovevano andare sull’altro colle? O i colli son così vicini? Troppo vento per farsi tutte queste domande. Due passi senza sci alla cima. Troppo vento per mangiare qui. Togli le pelli, blocchi gli attacchi per la discesa. Il solito casino per azzeccare il punta, ma poi un colpo di tacco e son fissati. E intanto ammiro qualche “leggera” impegnatissima in forsennati colpi di gamba per chiudere l’attacco, che sta sprecando probabilmente le stesse energie che io ho speso fin qui per starle dietro. La soddisfazione di qualche chilo in più. Il pendio è largo, e non è ripido. Scendere non sarebbe difficile, se non ci fosse quest’orda di cristiani da far invidia al Sestriere sotto le feste di Natale. Aspettare dieci minuti che scendano gli altri? No, qui aspettare non si fa. E si scende, sulla famigerata e attesa neve fresca. Sperando che nessuno ti infili, perchè se in pista riesci ad evitare gli altri, qui puoi solo sperare che gli altri riescano ad evitare te. Peccato che lo stiamo sperando tutti.
Arrivati a valle, il sole ci scalda ancora mentre assistiamo alla “demo” della ricerca del travolto, pensando ognuno con il suo io “Se toccasse a me, avreste tempo a morire, e non ne serve tanto.”. Ma impareremo no? E’ solo questione di allenamento.
Qualcuno arranca verso il pullman chiedendosi chi gliel’ha fatto fare, qualcun altro sfoggia un sorriso estremamente goduto, qualcuno toglie gli scarponi con un sospiro di sollievo, ma la maggior parte dei volti dice “fame”. E dagli zaini, dalle sacche degli scarponi, da angoli reconditi escono quiche, salami, tome, paste di meliga, torte, casse di birra.

Randagia, che la montagna riempe il cuore, ma anche lo stomaco vuole la sua

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