Devi aver rotto talmente tanto con ste ferrate, che alla fine la curiosità è venuta anche alle amiche.
E allora dai, con il CAI Albertino, si prova. Si recuperano longe, imbraghi, qualche caschetto, bici o arrampicata non importa. Ferrata del Rouas. La vestizione al parcheggio richiede rivisitazioni e correzioni in tempo reale: “Sapevo fosse piccola, ma non così piccola.. mi sguscia fuori dall’imbrago!”, un giro in più di corda e si parte. I giovani e gli atletici precedono, per loro la meta è attraverso la salita atletica. Noi si fa quella facile, che come prima è già abbastanza. Il sole non si fa desiderare, e neanche il buon umore. Un volontario chiude la fila “E quando mi ricapita di vedermi tre culi di donna davanti?!”. Il capo cordata annuncia vendetta “L’ultima metà della ferrata è in discesa, son mica piciu, goditele che poi tocca a me!” Le studiano tutte per sdrammatizzare, o gli vengono proprio naturali? Un momento di serietà, si danno le nozioni base e via.
Il gruppo degli atletici è ormai un insieme di puntini che agili si muovono lassù. Noi didattici procediamo a passi lenti, ma divertenti. Mi riconosco nell’entusiasmo degli occhi di una, un po’ meno nel terrore di quelli dell’altra. “Ma come hai fatto te qui? Voli?”. Le basi tecniche si intrecciano con quelle filosofiche “La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare”. Non mancano le informazioni naturalistiche:
“Guarda nella roccia c’è una margheritina!”
“Chi se ne frega delle margheritine, adesso!”
Aggancia, sgancia. Tic, tac. Aggancia, sgancia. Tic, tac. E il primo tratto passa in allegria. Ci sono gli atletici ad aspettarci, ma ne manca uno. Hanno l’aria delusa “C’era scritto variante atletica chiusa, abbiam lasciato stare, è andato solo il giovanissimo”. E ci si chiede come facciano a chiudere una ferrata, mica staccheranno il cavo, no? Lo scopriamo in fretta, quando il caschetto mancante compare con una sfilza di improperi che si conclude con “han staccato il cavo sti bastardi! Son dovuto scendere come un camoscio!” Ecco, infatti quello è il tratto detto “la discesa dei camosci”, sì dei camosci che non leggono i cartelli.
Il secondo tratto, è un bel traverso con discesa a seguire. Le discese non son mai simpatiche sulle prime. Si dispensa qualche istruzione “metti il piede a destra, lì nel nido di cuculo…”, si scatta qualche foto, si sdrammatizza qualche momento di panico. “Vedi che bello che è?” “No, non è bello per niente. Dimmi dove cazzo metto sto piede!” Ancora qualche metro “Randa, dimmi che è finita..” Quasi puffini, quasi…

Il Rouas finisce, nell’ilarità generale. Il mondo delle ferrata ha fatto due nuove conquiste? Sarà il tempo a dirlo, o saranno loro. Di certo, abbiamo che è stata una splendida giornata.

Randagia, che la prima volta non si scorda mai.