Ferrata di Camoglieres – c’è processione e processionaria
Quattro donne, quattro uomini. Destinazione Ferrata di Camoglieres, Val Maira.
Tappa d’obbligo a Verzuolo, ma no, non alla pasticceria della piazza dove si ferman tutti. Al baretto poco più in là, dalla barista dagli occhi blu e dal bel sorriso, molto apprezzati soprattutto quando si gira a fare il caffè.
“Ragazze, non è colpa nostra, ste gite all’inizio eran di soli maschietti, e poi è diventata tradizione fermarsi qui…”. Nessuna obiezione: in fondo ci portano ovunque, ci fanno scegliere le destinazioni, c’è sempre una corda pronta, un cancelletto controllo nodi pre-partenza, e soprattutto, quell’atto da gentlemen che la macchina una donna non la prende mai: e non stiamo a menarla, su queste cose mica insistiamo per la parità.
Una giornata di sole pieno e nuvole in sciopero. All’attacco, tre ragazzi che stanno rinunciando. Troppo difficile per loro. Peccaro. L’uomo con la corda detta l’ordine di partenza e si parte, sento le risate isteriche della new entry qualche cambio più giù. Ohi, mi preoccupo? Chiedo notizie all’uomo con la corda che mi tranquillizza “No, no tutto bene. Come? Risate isteriche? Che ne so se erano isteriche, rideva, ho dedotto che andasse tutto bene…”. Guardo giù, e i tre ragazzi che sembravano aver rinunciato stanno salendo: ci han visti e han pensato “Se ce la fanno quelli!”. Grazie, la nostra buona azione per oggi è fatta.
La ferrata si articola in cinque segmenti distinti, dopo ogni tratto una via di fuga. Ma le vie di fuga, o vie di figa, come qualcuno si è premurato di correggere su qualche cartello, non sembrano servirci. Un pilastro, due. Il “cordino corto”, il più amato dalle donne, aiuta nei cambi più difficili. La bellezza del paesaggio, anche se qualcuno non osa guardare giù, accompagna in quelli semplici. Lunghissime cordate di processionaria, o “gatte” ci tagliano la strada: sembran millepiedi che van tutti avanti in fila, ma si tratta di un parassita dei pini urticante per gli umani. Un ponte tibetano da 50 metri, niente male: ma com’è che quando hai imparato a fare quelli con una fune sola per i piedi, qui te ne mettono due? E’ comunque facile, solo luuuuuungo. Qualcuna sculetta nell’attraversamento, qualcuno si limita a due paroline contro il vento, che fa ondeggiare più del dovuto. I più concentrati non hanno neanche sentito il potente odore di campagna che la valle emanava in quel tratto.
Ultimo segmento, il più difficile, il più strapiombante. Uno di noi rinuncia, l’uomo con la corda, un po’ preoccupato per la new entry le dice “Io non ti consiglerei di farlo, poi valuta tu”. Diciamo che se gli uomini non sanno leggere tra le righe, le donne non sanno leggere tra le rocce: “Ah beh se non me lo consigli, non mi dici di non farlo, quindi vengo!”. Nonostante la mia traduzione in tempo reale “Secondo lui è meglio che non la fai, solo che non si osa dirtelo”, l’entusiasmo della new entry è troppo alto e chi la ferma più? “Allora dai ci provo, se ho problemi… che succede?”. La solita voce tranquilla afferma “Al massimo c’è una corda, in qualche modo se ne esce”. L’ultimo pezzo è bellissimo, due tratti strapiombanti, ma con parecchi ferri, e anche chi ha gambe corte e culo grosso se la cava. La new entry, neanche un problema: gran donna, arriva su con un sorriso smagliante e festeggiata da tutti! Ancora quattro passi per arrivare in vetta, firma del libro (grazie a quel Gigi che l’ha portato su!), e giù a spaparanzarsi al sole.
Randagia, che è primavera svegliatevi cordini…