Le Calanques du Soleil
Ore 7.00, Tesoriera. Zaini e sorrisi. Destinazione Le Calanques, Costa Azzurra. Comodamente divisi tra qualche macchina e due divertenti furgoni nove posti,si parte.
“Per escursionisti dal piede fermo, che non soffrano di vertigini” recitava il volantino. E che non abbiano paura della pioggia, ma questo sul volantino non c’era. Arriviamo al Camping du Soleil di La Ciotat, ci catapultiamo nei piccoli ma pratici bungalow per mollare tutto e sfruttare il soleil che rischia di rimanere solo nel nome.
Trascuriamo la stazione del paese, sì quella dove nel 1895 i fratelli Lumiere girarono “L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat”, il primo cortometraggio, per dirigerci alla Calanque de Figuerolles: dopo pochi minuti di cammino siamo immersi una caletta dai bordi sfumati, rocce che il mare ed il vento hanno lavorato con pazienza e fantasia. I temerari iniziano a mettersi in evidenza, pantaloni “sverciati” e piedi in acqua, ma nessuno osa fare il bagno. Da lì proseguiamo per il “Park du Mugel”, dove saliamo gli addirittura 155 metri del Bec de l’Aigle, composto di “pudding”, un amalgama apparentemente inaffidabile di terra e sassi, che si dice sia il resto di un continente precedente. La metà dei sentieri risultano ufficialmente chiusi, ufficialmente. Da lassù si ammira il mare quasi calmo nella sua calanque. Scendendo si ammirano le scollature delle turiste o le spalle dei corridori, per accontentare tutti.
La cena al camping non è male, ed è abbondante. Quelli che al mattino erano sconosciuti, ora sono compagni di viaggio, merito un po’ del vino, un po’ della birra, un po’ di noi.
Qualche goccia ci accompagna alle Calanque di En Vau: il sentiero si tuffa nella vegetazione, emerge a regalarci scorci mozzafiato su queste rocce bianche, per poi immergersi di nuovo nel verde. Si sente la primavera. Soprattutto la sentono gli allergici. Il dislivello irrilevante del percorso fa sì che le chiacchiere non si siano mai fermate, e passo dopo passo ci si conosce meglio. La bionda che vuole fare il bagno ad ogni calanque, l’ingegnere che controlla il meteo sull’iphone ad ogni passo, i capigita che ci contano ad ogni sosta, come scolaretti in gita. E i conti che non tornano mai, come scolaretti indisciplinati in gita.
E’ forte la pioggia quando, il terzo giorno, ci dirigiamo verso Luminy, la zona universitaria da cui parte il sentiero per Sugiton e Mourgiu. Forte è anche la voglia di ripiegare su una gita turistica: i capigita passano a chiedere ai nostri finestrini “Ripieghiamo su Marsiglia, o andiamo lo stesso?” Chi, preso dall’entusiasmo del camminatore incita il suo furgone con un deciso “Noi vogliamo tutti camminare, vero ?!” viene accolto da un eloquente silenzio. Silenzio che, rotto da una risata, si trasforma in brusio e, per motivi non noti, si traduce in pochi minuti in un’unanimità di intenzioni: “Noi vogliamo camminare!”. Decisione presa. Faremo mica come il PD, tutti coesi fino all’attacco del sentiero, e poi abbandoniamo il gruppo? Per fortuna no, compatti, con ombrelli e coprizaino si parte, tutti. La fortuna aiuta gli audaci. La pioggia cessa, ammiriamo lo stradone fino a Sugiton, qualcuno si arrampica su un secondo grado, qualcuno fa foto. Tutti sorridono. Raggiungiamo la cala di Mourgiu, con le sue casette decorate, le persiane colorate, boccioli e fiori a rallegrare le case di un porto apparentemente deserto. Apparentemente, perchè un bar con una birra per tutti c’è.
La protratta assenza di dislivello porta allucinazioni: una collinetta viene vista come una montagna e all’inno di “Lasciaci sciogliere le gambe!” si sale con passo spedito e chiacchiera azzerata, apprezzando con il sorriso le gocce che scendono sul viso: finalmente non è pioggia.
Randagia, che Calanque vuol dire caletta, più o meno.