Il lavoro ti lascia a casa un giorno, con quella strana forma di cassa integrazione. Come religione prevede, l’occorrenza viene celebrata insieme al fidato collega: una bella scialpinistica al Lamet, in più un amico si libera e si aggrega.

La partenza sotto le nubi da Avigliana non ci fa presagire niente di buono, ma quando parcheggiamo al passo del Moncenisio, un ragazzo scende da un camper furgonato che sarebbe il sogno di tutti noi vagabondi, e ci rassicura: “Sono qui da ieri notte, sì ha rigelato. Fate anche voi la Lamet? “.
La faccia mi è familiare, sì lo so che non sono fisionimista, ma quelli belli me li ricordo: “Ma tu sei Cala?” E quando la risposta è affermativa, non posso che aggiungere “Sì la facciamo anche noi, ma a tutt’altro ritmo”.

Si parte che ancora è grigio, ma c’è speranza. Si sale tutto all’ombra, ma con le temperature di oggi non al freddo. Arriviamo allo splendido canalino. Splendido perchè è facile, ma allo stesso tempo è ripido: per chi come me non è tanto abile, dà quel tocco di soddisfazione in più. Sci sulle spalle, ramponi ai piedi. Il fidato collega sale, disinvolto con i bastoncini. Io sono meno disinvolta, visto che l’ho portata sulla schiena fin qui la picca la prendo. Faccio per salire quando una voce mi dice – “Come si fa? Io non l’ho mai usata la picozza…” – “Beh iniziamo con togliere il gommino”- Il gommino di protezione per la picozza è un po’ come il tappo per la macchina fotografica: se non lo togli, te la vedi nera. Tu, che a malapena riesci a pensare a te stessa, devi dare una mano al malcapitato: però qui è veramente facile, dovremmo farcela e ce la facciamo.

Dal colle alla cima Lamet

Salita alla punta Lamet dal colle

Arriviamo al Lamet, splendido panorama: il ghiacciaio di Roche Michel al nostri piedi, l’azzurro sulle nostre teste. Ci raggiunge Cala, che mentre noi abbiam fatto una punta, beh io solo un colle ma son quisquiglie, ha fatto il giro di tutto l’orizzonte e il Canale Nord di Rocher Michel.

 

E’ sempre bello essere quassù, non importa quanto ci metti ad arrivare, non importa se la neve sarà bella o brutta a scendere, ma quando sei quassù il sorriso è automatico. Quella sensazione, un po’ come quando puoi finalmente tirare una scorreggia a troppo trattenuta(cit. fidato collega).

E poi giù, ognuno con il suo stile, ognuno con il suo ritmo. Qualcuno con le sue paure, qualcuno con i suoi pensieri.

Ci si ritrova al parcheggio, dove dal super furgone escono birre e sardine piccanti, che integriamo con salame e formaggio. Si fanno quattro chiacchiere di zona – “Io uscivo con quella…” -“ah, si era in classe con mia sorella…”. E in tavola, o meglio sull’erba, mettiamo anche i prossimi progetti: chi fa i concerti al Rocciavrè, chi un trekking a Mallorca, chi ha un’Australia che lo aspetta, chi organizza trekking in Nepal.
Tra una chiacchiera e l’altra scopriamo che la birra ci è gentilmente offerta dal primo e unico Snow Leaopard italiano. E mentre ci siamo, scopriamo anche cos’è lo Snow Leopard: è un premio alpinistico sovietico riconosciuto ancora dai paesi della ex-Urss. Per conquistarselo, uno deve salire tutti i cinque picchi di 7000 metri e oltre che si trovano nella ex Unione Sovietica.
Cala ci ha messo del tempo e della dedizione: nel Luglio 2013 ha provato a concatenere le cinque cime, conquistandone tre: Peak Lenin, del Khan Tengri e Korjenekay. Gli è toccato tornare, per completare nel 2014 con il Pobeda e nel 2015 con il Communism Peak. Grande Cala, siamo orgogliosi di te!


Il premio “Leopardo delle nevi”, non è molto noto in occidente, ma lo è nei paesi asiatici: è bello avere un italiano tra i 600 che hanno ricevuto questo premio. Di questi 600 solo 31 sono donne, come al solito pochine: io che uso la picca sul facile canalino della Lamet non ci provo neanche, ma magari qualcuna di voi ci fa un pensierino…

Randagia, che le sardine piccanti si rinvengono un po’

PS: Per salire alla Lamet, descrizione dell’itinerario su gulliver.it