Punta Ramière, Luglio 2017

Odio i parcheggi a pagamento che spuntano all’inizio delle nostre valli con l’arrivo della bella stagione, ma quando l’obolo ti viene chiesto per percorrere una strada sterrata e ben tenuta, allora lo pago volentieri. Questo succede in Alta Val Susa, a Sauze di Cesana, all’imbocco della Valle Argentera, quando alle otto di ogni mattina estiva compare la figura dello “sbarrista”: 3 euro, alza la sbarra e tu passi.

 

Non provare a chiedere indicazioni escursionistiche allo sbarrista.
– “Sa a che distanza è l’attacco della Ramière?”.
– “Attacco? E’ iniziata la terza guerra mondiale?”.
Ha ragione, in effetti in italiano si dice “Sa dove inizia il sentiero per la Punta Ramière?”, ma noi diciamo l’attacco. Sì forse perchè quella è la parte della gita che più assomiglia ad una guerra: la ricerca affannosa e consuma-energie di un punto da cui partire che non si trova mai. Spesso si trova un punto molto vicino, che porta da tutt’altra parte. Ma non è questo il caso: dopo circa sei chilometri di sterrato, sulla destra un cartello indica forte e chiaro la nostra meta.
“Punta Ramiere, 3300 4 ore”.
Si parcheggia e… all’attacco! Vedi che è guerra?

La salita inizia piuttosto ripida, in un bel comodo bosco, che perdona la nostra pigrizia: siamo partiti tardi, sono le dieci e mezza passate e il sole è alto, ma il bosco mi aiuta a non patire tanto il caldo. Quando gli alberi terminano, scorgo in basso qualche bacca blu: la mia ancora di salvezza. Faccio notare la cosa al mio tanto veloce quanto goloso compagno di gita, che mi ha già distanziata da un pezzo. Mentre lui si ferma e torna anche indietro per gustarsi i primi mirtilli di stagione, io guadagno qualche metro a ritmo più tranquillo. Son soddisfazioni.

Siamo a fine Luglio, tra i 2300 e i 2500 metri di quota il sentiero è una linea sottile che sale sinuosa tra rododendri e piantine di mirtilli. Molte bacche sono ancora verdi, ma alcune sono già mature. Bisognerebbe tornare tra quindici giorni, quando si coloreranno tutte di blu, così come le nostre lingue.

Superato il paradiso dei mirtilli, il sentiero 612, ben marcato da tacche gialle, segue il corso del torrente: non ci sembra zona da pascoli, e c’è anche una fontanella, quindi beviamo volentieri l’acqua fresca. Il fiume ci accompagna fino a pochi metri sotto il colle, mentre salgo già penso al pediluvio della discesa.

Arrivati al colle, c’è il rudere di una casermetta ad aspettarci. La via prosegue su simpatico sfasciume: simpatico perchè pur essendo sfasciume è di quelli abbastanza fermi. Mancano 300 metri alla cima, il socio decide di farli in un baleno e me lo vedo abbracciato alla croce di vetta che mi saluta.
L’aria tira forte, ma è facile trovare un punto riparato dove attendere con pazienza l’arrivo della compagna.

Il diario di vetta ci informa che due bambini, di 7 e 5 anni, sono stati qui con i genitori un mese fa: complimenti ai ragazzini e ai genitori!

Non incontriamo molta gente sul percorso, solo un escursionista veloce e straniero in tuta da meccanico.

Scendiamo senza problemi, con il pediluvio come previsto, e l’immancabile raccolta di mirtilli.

E’ già tardi quando ritorniamo nella zona mirtilli, preferiamo quindi mangiarne un paio di manciate invece di raccogliere quel mezzo chilo minimo che ci sarebbe servito per tentare di replicare la goduriosa marmellata di Antonietta.

Arriviamo all’auto, che ci aspetta in uno degli appositi parcheggi creati a bordo strada (credo ad ogni “attacco” di sentiero), e apprezziamo più del mattino il panorama che abbiamo attorno. Il fiume scorre tranquillo, costeggiato a destra dalla strada a sinistra dagli alpeggi e dalle tende dei campeggiatori.
Ogni tanto una piazzola laterale funge da parcheggio, più o meno ampio, con un bel cartello in legno che ne riporta il nome.

Per una descrizione dettagliata dell’itinerario leggi la gita di Gulliver.
Per una descrizione dettagliata della Marmellata di Mirtilli leggi la ricetta di Antonietta