Le risaie in bici a settembre
Le amiche vercellesi ti informano che se vuoi pedalare in pianura le risaie si sono vestite d’oro in questa stagione. Scegli un itinerario di Toni Farina da “Cicloturismo nella Natura in Piemonte”, controlli che il cubo viaggiatore abbia creato la traccia GPX, disegnata a mano ma meglio che niente, e vai.
Un’oretta di macchina da Torino, direzione Livorno Ferraris. Il percorso, che in parte ricalca la ciclovia del Po, tocca il Principato di Lucedio con la relativa Abbazia. Amara scoperta: non si entra nel principato se non durante le visite programmate o previa prenotazione che tu non hai fatto (https://www.principatodilucedio.it/). C’è un negozio aperto tutti i giorni e da lì qualcosa del principato si vede: questo ovviamente l’hai scoperto tardi.
Il principato controllava le coltivazioni della zona. Nel XV secolo furono proprio i monaci di questa abbazia a introdurre la coltivazione del riso: forse predicavano la povertà, ma di terreni ne avevano da vendere, anzi da coltivare.
Il Monte Rosa fa da sfondo, mentre pedaliamo tra l’oro delle risaie, da cui di tanto in tanto emerge l’imponente portone di una grangia. Le grange sono gli antichi magazzini e granai, spesso ancora operativi: enormi trattori vanno e vengono dalle grange, sono i soli a tenere compagnia alle nostre due ruote su queste strade.
Alle risaie ci siamo abituati, quanto alle grange vista una viste tutte, ora sai che noia per i prossimi 30 chilometri? A movimentare la pedalata ci pensano gli Ibis Sacri: insieme a Garzette e Aironi popolano le risaie, ma al contrario di questi ultimi, noi non li avevamo mai visti prima. E vai di inseguimenti, appostamenti e foto, ma niente: rubo una foto di Antonello Turri almeno si capisce di cosa sto parlando.
Una ulteriore nota di colore ce la regala anche una madama in ciabatte, che dopo aver parcheggiato l’auto a bordo strada, sta pescando nel ruscello con i piedi ben saldi a metà carreggiata. Niente foto per la madama, niente foto per le ranocchie e niente foto per le pantegane che ci hanno attraversato la strada più volte.
Spesso incontriamo a bordo strada degli alti fiori gialli: sono i tapinambur, detti anche ciapinabò, quelli che si mangiano con la bagna cauda, servirebbe scavare per prenderli, dicono che sradicare non basta. Dicono, tu non sai.
All’arrivo all’auto ti accorgi di aver parcheggiato davanti all’osteria La Colombara: bevi qualcosa di fresco sotto la loro topia di dolcissima uva fragola e scopri che potrebbe non essere male arrivarci verso l’ora di cena…
Randagia, che anche oggi ha visto qualcosa di nuovo.