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Tour dei Ghiacciai della Vanoise

Posted on Agosto 27, 2014 by randagia

E fu sera. E fu mattina.

Posted on Aprile 8, 2014 by randagia

E una gita ti fermi al colle, e l’altra arranchi talmente che non hai neanche realizzato dove sei passata. O cambi sport, o cambi gruppo. La seconda che hai detto. “Vieni con noi che siamo più tranquilli” ti dice chi li conosce. E tu vai. Sci ai piedi il venerdì sera, alle 19. Si stimano due ore per arrivare al rifugio Pontese, parola della rifugista. Un continuo gava e buta salendo da Locana alla Diga di Teleccio, ad un ritmo che ti chiedi “Ma questi non erano quelli tranquilli?”.
E fu sera. Si preparano le luci frontali, che quelle naturali stanno finendo. In lontananza la luce del rifugio. Si sale ancora, poi la neve finisce. Ed una traccia con la frontale la segui, ma quando la neve finisce? Cerchi i bollini rossi, qualche orma, e dopo un po’ di ravanate su erba, rivedi una traccia. Sei felice di aver cambiato le pile alla frontale. Ormai son le nove passate, hai fame, hai sonno. E sto rifugio non si vede. Però che bello salire di notte. Arrivi sul dosso, e da lì si vedrà, no? Niente. Però si sente: il romantico rumore di un generatore. Lo segui, ancora un dosso, ed eccolo lì il rifugio: ragazzi ci siamo! Mara, la rifugista, ci serve cena anche se sono le dieci passate, e non stiamo a precisarle che forse è stata un po’ approssimativa con i tempi di salita, lo sa. Qualcuno che aveva già fatto cena, per compagnia, ripete.
E fu mattina. Dopo l’esperienza dell’avvicinamento al rifugio, qualche anima non si alza dalla branda. Chi ha ripreso l’uso delle gambe riparte all’alba, con la neve che sembra cambiar colore ad ogni passo, nel silenzio più totale, verso il Blanc Giuir. La valle è tutta vostra. Eccerto, pochi altri pirla si sparano quelle tre ore di salita su neve-asfalto-erba, gli altri aspettano che la strada sia aperta. Scopri che se sotto un filo di neve c’è la roccia, e ci poggi le lamine, un microsecondo dopo su quella stessa roccia ci poggerai anche il culo. E non è bello. Ma il panorama, al solito, merita la fatica. Quasi emozionante tornare tornare al rifugio con la luce del sole. Qualcuno deve tornare a valle, qualcuno avrebbe dovuto ma avvisa casa, e si ferma per la domenica, per la Punta di Ondezana. Birra, chiacchiere e pennichelle. E fu sera.

E fu mattina. Il passo è meno clemente di quello di ieri, e quando qualcuno dalla coda del gruppo, via radio, chiede “ragazzi, facciamo una sosta per compattare?”, spavaldi dalla testa rispondono “Noi siamo troppo avanti, non compattiamo più!”. Ah si? E allora vi raggiungiamo noi. O almeno ci proviamo. La salita piace, chi fa foto, chi fa sorrisi, chi fa fatica. “Randa, te la senti di andare in cima, o preferisci il colle?” Non sai come dire che di fermarti ai colli ne hai piene le scatole, ti limiti ad un serio “me la sento”, cui forse hanno fatto finta di credere. Grazie. Una serie di gucie, l’ennesimo tratto sci in spalla ed è fatta: sorriso a trentasei denti, sguardo a trecentosessanta gradi. E meno male che c’è il Cervino, che almeno una cima la riconosci anche tu!

Randagia, che adora i weekend “tranquilli”

Mary Poppins era una scialpinista

Posted on Dicembre 17, 2013 by randagia

Un passo dopo l’altro. Destro, sinistro. Gucia. Destro, sinistro. Destro. E basta. Lo sci sta giù, lo scarpone viene su. L’attacco non attacca, non allo sci, non più. Ti fermi come un’ebete, ti giri indietro e guardi i compagni che salgono dietro di te, con lo stesso sguardo di un bambino che si è fatto la pipì addosso. I compagni per fortuna sono meno ebeti di te. Uno prende lo sci, e come un chirurgo ordina “Cacciavite!” Stella o taglio? Se è tork, non c’è speranza. In pochi secondi compaiono cacciavite a taglio, a stella, pinze e bisturi. Scotch americano e fascette di plastica. La borsa di Mary Poppins è vuota in confronto allo zaino di uno scialpinista. Intanto gli altri passano, e se hanno qualcosa di utile lo lasciano al gruppo dei McGiver. Lo scotch americano fa spessore nei buchi, e le viti, con il dovuto sforzo, forse tengono di nuovo. Un giro di fil di ferro attorno, due buone fascette ben strette, un giro di scotch americano per decorare. Come nuovo. Provi a minimizzare, invitando gli altri rimasti a salire comunque in cima, tu li avresti aspettati lì. Ma non funziona così, ti ricordano che il giro è ad anello, di lì non ci ripasseranno. Vorresti sprofondare, e sprofondi, perchè la neve lì è ancora tanta, e senza sci non stai su. Gli artigiani del rattoppo ripartono all’inseguimento del gruppo, mentre, come da regolamento, uno dei capigita si ferma e scende con te. “Ora devi scendere leggera, lo zaino te lo porto io”. Eh già, ma il culo te lo devi portare tu, che di leggera hai forse la coscienza, di certo non la sciata. Neanche ti conosce, tanto tranquillo non sarà. “Senti, facciamo un bel traverso, e magari giri a papera, da ferma. Lo sai fare, vero?” Nei suoi occhi il terrore che la tua risposta sia “no”. Sì sì, almeno quello lo sai fare. Gli hai dimezzato la gita, ora vedi almeno di minimizzargli i problemi. Traverso, inversione. Traverso, inversione. Ma se l’attacco tiene, magari una curva la proviamo? Tiene. Tiene bene!

Arrivate alle macchine, senza le chiavi, ma poco importa: nessuno si è fatto male. Aspettate un po’ che anche gli altri scendano, e poi acciughe al verde, torte natalizie e allegria, come nella migliore tradizione GSA.

Randagia, che anche oggi ha portato a casa la pelle e le pelli

Gucia dopo gucia

Posted on Novembre 17, 2013 by randagia

Non si usa più far la danza della pioggia, ma un sacco di sciatori fanno quella della neve. I risultati però sono modesti, quindi per ora si può solo tentare di risalire le piste ed evitare le multe: Cervinia o Mongi? Cervinia, che si sale di più, dicono quelli che ne sanno. Ti fai coraggio e vai, poi sto corso l’anno scorso sarà pure servito a qualcosa no? Chissà quanta roba dimenticherai, o non saprai più usare, sei già pronta alle prese in giro. Ma in fondo tutti hanno un po’ paura di dimenticare qualcosa alla prima uscita. Tu hai dimenticato i calzettoni, ma un paio di calze del tuo numero sbucano da un altro zaino: la figura l’hai fatta, ma i piedi sono salvi. Chi ben inizia…
Mervagliosamente bianco, meravigliosamente sole. Dopo pochi passi: “Randa, ma le gucie al corso non te le hanno insegnate proprio o sei tu non le hai imparate? Vienimi dietro e fai uguale”. (La “gucia” è quello che sui manuali di scialpinismo è definito come “tecnica di inversione di marcia”, per noi è gucia). E quest’anima pia inizia a ricamare una gucia dopo l’altra, a destra e a sinistra, che neanche tua nonna a punto croce era precisa così. E tu segui, o almeno ci provi. C’è chi ammira le tracce in discesa, chi col fiatone guarda la gucie in salita. Ripasso fatto, ora vedi di ricordartelo, e di pagargli da bere.

Mentre salite, le “tutine” vi sorpassano, e non solo quelle. Si incrociano amici vari, i personaggi conosciuti tramite guilliver.it e poi, voilà, una selezione della scuola sci, con il Diretur in testa. Tutti alla prima gita, tutti a dire “sto faticando”, “son salito da bradipo”, sì sì, intanto sei salito. Quando arrivi a Plateau, il Diretur è già pronto per la discesa:”Randa, mi scrivi una relazione?” Eccerto, le relazioni ti son sempre venute meglio delle gucie.

E poi arriva la discesa anche per te, con le gambe che urlano alle prime curve, e la faccia che sorride a quelle dopo. C’è un sole che spacca le pietre, e ci sono le pietre che se non fai attenzione ti spaccano gli sci.
Qui si scende insieme, scialpinisti e pistaioli, c’è spazio per tutti. Ma tranquilli pistaioli, tra poco togliamo il disturbo, o almeno si spera 😉

Randagia, che ogni inizio è un’emozione

Quando la fatica premia

Posted on Luglio 15, 2013 by randagia

Questa settimana avevi deciso di riposarti, le gite alpinistiche dei weekend precedenti avevano provato te e il tuo stomaco, quasi a dirti “rassegnati che patisci la quota: tu ami la montagna, ma a lei stai un po’ sull’anima”. Ma. Ma. Chi al Dome de Niege des Ecrins è già stato, ti dice che è una meraviglia in terra, in un parco, senza tralicci e uova di vetro a portare in quota qualunque pirla. “E’ un ambiente unico, che devi vedere almeno una volta. Si vede il Pelvoux, si attraversa il Glacier Blanc, si passa sotto la Barre. Un ambiente unico e vario. Ghiacciai spettacolari, e nessuna funivia a consegnarti al rifugio, solo le tue gambe ed il tuo fiato. “Randa, non vieni? Se una funivia non ti porta il culo a 3800 tu non sei buona di farlo arrivare a 4000?”. E vuoi non andare?
Si parte il sabato mattina da Torino, carovana di quattro macchine. Secondo appuntamento a Monginevro, ad aggregare la quinta. Ma come pensiamo di arrivare a 4000 metri, se già dopo 100 km abbiamo un’auto in panne? Ridistribuiamo i partecipanti sulle macchine e abbandoniamo la sfortunata in un parcheggio fino a domenica. In fondo molti dei partecipanti, poche ore prima, hanno fatto lo stesso con la moglie. Tra caffè, benzinai, meccanici, arriviamo a Ailefroide che è mezzogiorno, e di froide non c’è proprio niente. Solite domande di rito “Avete tutti moschettoni, imbrago, ghette?”. C’è sempre chi porta qualcosa di scorta, e c’è sempre chi dimentica qualcosa. “Nooooo, i pantaloni!”. Non è un articolo su cui siamo preparati. Colletta di calzamaglie e pantaloni stile ThinkPink, di cotone leggerissimo: un’esperienza refrigerante portarli su ghiacciaio. Si parte. Il sole cuoce, ma il fiume rinfresca. Il verde del parco fa riflettere: davvero vuoi salire su nei freddi ghiacci? Vuoi. Dopo due ore di salita, inizia la neve. Una foto, due chiacchiere. Lo sguardo che spazia a riempirti il cuore. Il Pelvoux fa subito mostra di sè, quella lama di roccia inclinata lassù è la famosa Barre, e giù in fondo, il nostro Dome, la meta di domani. Sotto i piedi, si apre qualche fessura, dapprima sottili, poi un po’ più ampie. Stringi le chiappe e salta. Qualcuno si chiede perchè le donne hanno sempre tutta sta paura a saltare. Forse perchè sono più intelligenti, suggerisce qualcun altro, ma non è detto. Ancora due ore, e sei al rifugio. Un affollamento che neanche ai concerti di Vasco ai tempi d’oro. Pochi italiani, tanti francesi. Il Refuge des Ecrins è abbarbicato su una roccia, sopra un mare di neve. Un mare calmo. Dall’alto le fessure che tanto facevano paura, sembrano banali graffi di gatto. Sembrano. Qualche nuvola in cielo, il tramonto, qualche stella.

La colazione la servono alle 3, si parte in piena notte, che è già un’emozione in sè. Le luce delle frontali dipinge un sentiero di stelle che parte dal rifugio ed attraversa il mare di neve. Un sentiero di cui fai parte anche tu. Alla prima impennata del percorso, si confermano i sospetti che tu non sia la scheggia della cordata, ma la capa adatta il suo passo al tuo ritmo come l’acqua si adatta al bicchiere, i due uomini del gruppo fanno lo stesso, decantando quanto sia bello salire una volta ogni tanto senza ammazzarsi di fatica. Loro, perchè tu stai dando tutto quello che hai. Solo quando i “mufloni” che stanno salendo alla Barre tirano giù pietre da farvi secchi, i tuoi compagni di cordata, mentre smadonnano “Se tses nen bun a muntè sensa tirè giù i roc, sta a ca’!” osano chiederti “Ce la faresti mica ad andare più veloce in questo tratto, che magari ci salviamo la vita?” E come dirgli no. Il ghiacciaio è meno crepacciato di come ce lo si aspettava, ma per chi di ghiacciai ne ha visti pochi, lo è già abbastanza. Chi hai davanti, ti mostra come passare in sicurezza. Chi hai dietro, sta facendo foto. Foto? “Via quella macchina e corda tesa!” e dimostri che calma e gentilezza non sono le tue doti migliori. Concentratissima, picca nella neve con una forza che ti stupisci di avere, e via è fatta. Uno sguardo al compagno, che ha messo via la macchina foto, e sta scavalcando il crepaccio come fosse un tombino in via Roma. Al prossimo passaggio, che è complicato solo per te, la corda è tesa, e tu passi serena in men che non si dica. Basta poco a farti star tranquilla. Una bella cordata per esempio.

E si arriva tutti in punta, chi prima chi dopo, chi non conta più le decine di ghiacciai fatti nella vita, chi è al suo primo primo rampone, con un sorriso a 4015 denti. Defezioni zero: evento più unico che raro. Abbracci, foto, battute. E poi tutti giù. La discesa, potrebbe sembrare lunghina. La fatica si fa sentire. “Ma non è che ci siamo persi e stiamo girando in tondo? Non è possibile che non finisca mai…” Non si vede ancora la fine del ghiacciaio, ma si vede una farfalla, e quelle si sa, sui ghiacci mica salgono tanto. “No Randa, non è una farfalla, è un’allucinazione. Ma prima non abbiamo incrociato San Pietro che saliva?”

Passo dopo passo, si torna a valle. Qualcuno corre alle macchine per essere a casa in tempo record, qualcuno butta i piedi in una fontana per riprendersi, qualcuno si appoggia ad un tronco e si addormenta lì.

Randagia, che un ghiacciaio senza funivia è la meglio gita che ci sia.

I martedì sera – colle della portia

Posted on Maggio 15, 2013 by randagia

Un sole che spacca. E sei al lavoro. Due nuvole in cielo, le prime gocce. E sei fuori dal lavoro, al solito ritrovo con quelli del martedì sera. Il motociclista è venuto in macchina, di acqua ne ha presa abbastanza la scorsa settimana. Qualcuno si presenta, ma causa meteo si dilegua. Qualcuno ha una riunione improvvisa, qualcuno prepara cena per un compleanno che ha da venire, sì tra una settimana, qualcuno si era dimenticato di una commissione su marte. Le defezioni quando minaccia pioggia adducono motivazioni molto creative. “Ma si dai andiamo, al massimo ci prendiamo un aperitivo a val della torre”. Nella mail di convocazione compariva anche il nome del maratoneta, ed un altro paio nuovi. Sbirci su facebook: uno è di quelli che corrono in tutina, l’altra ha un fisico da ministra dello sport. Sarà dura. E infatti lo è. Ma chissene, Colle della Portia l’hai fatto un sacco di volte, anche se ti lasciano sola te la cavi. Si parte da borgata Ciaine, per accorciare un po’ il dislivello. Sentiero. Pietraia. Sentiero di pietre. Pietraia. L’ideale quando minaccia pioggia. L’apripista ha un passo niente male, che dopo poco non tieni più. “Randa, guarda che bei narcisi!” recita qualche speranzoso, pensando che ti servano solo distrazioni. No, è il fiato che ti serve, e nessuno te lo può prestare. “A sinistra!” c’è il passaparola dai primi agli ultimi, che se sbagli lì non ti passa più. Poi diventa mulattiera, e chi vuoi che si perda? Forse chi per recuperare il branco non alza neanche gli occhi dal terreno e parte per la tangente in una curva, finendo in un sentierino che presto si dimostra sbagliato? Già sei lenta, se ancora sbagli strada… Torna sui tuoi passi, datti dell’idiota, e continua per la mulattiera. Si vede solo più cielo, ci sei. Si vede solo più cielo e due sagome che stanno scendendo ma si fermano con un “Ah no, eccola!”. Gentiluomini, tra un’imprecazione e l’altra sarebbero anche venuti a cercarti. Al colle, il panorama non è dei meglio, tutto grigio. Ma intanto, mica hai il tempo di godertelo: gli altri son su da un pezzo, si scende! Eccerto, entra nel rifugetto a firmare il diario. C’è chi fa il solito disegnino, che non hai tempo di riguardare: quando ci passerai la prossima volta ti farai una risata. Il branco in discesa è più socievole, si riesce anche a raccontarsi pezzi di vita oltre al classico “come stai?!” del parcheggio.
Qualcuno deve scappare, ma qualcun altro si ferma per un boccone al pub, a concludere la serata.

Randagia, che macchinata bagnata, camminata fortunata

Trofeo Mezzalama: emozioni in Valle Stura

Posted on Maggio 5, 2013 by randagia

Sabato 4 Maggio.
Partenza alle 5 da Mirafiori per noi, direzione Valle Stura.
Partenza alle 5 da Breuil-Cervinia, per i nostri eroi che gareggiano nel Trofeo Mezzalama. C’è la squadra mista: Luca, Sara e Raffele. E te le ricordi le espressioni di Sara di qualche giorno fa: “Si ma quest’anno Luca non farà il tempo di due anni fa, ha me in squadra”. E lo dice con quel senso di colpa malcelato, misto affetto esagerato per il fratello, che a sentirla ti dispiace quasi di essere figlio unico. C’è la squadra maschile: Andrea, Giambe e Ricky. Gli occhi che brillavano d’emozione nel raccontarci dell’Adamello Ski Race, diventano quelli di bambini seduti di fianco ai loro eroi, Kilian Jornet e Jaquemode, nel briefing del venerdì.
Comunque vada sarà un successo, per tutti.

Una delegazione di fan attende gli atleti al cancelletto del Breithorn, scambiando continui aggiornamenti con il Diretur e altri della gita. Chi al tifo ha preferito la gita mette gli sci sullo zaino di fronte alle terme di Vinadio. Qualcuno chiede “Ma hanno passato il cancelletto?” certo che sì, avevi dubbi? L’han passato eccome, mica come noi che alle 9 siamo ancora lì a gabolare con gli attacchi degli sci.

Si sale, ognuno con il suo passo, noi.
Si sale e si scende, con ritmi che è difficile immaginare, figuriamoci descrivere, loro.

1900 metri di dislivello in meno di due ore, loro. 1300 in oltre tre ore, noi.
Alla piramide che porta in vetta, ammettiamolo per dovere di cronaca, ai nostri atleti non ci pensavamo più: chi è salito agile e veloce, chi ha rallentato il passo talmente che l’istrutture di turno si è offerto di prendersi nello zaino la roba più pesante, chi ha messo a dura prova i propri nervi su questa neve che non tiene, chi ad ogni gucia prometteva “il prossimo anno mi alleno di più”.

Il piede fermo e veloce su creste sottilissime sopra i 4000, loro.
Il culo a terra per una gucia sbagliata sulla piramidina della vetta, noi. Chi lo sa fare, disegna curve perfette nella discesa, su una neve bella e trasformata sotto il sole primaverile. Gli altri le disegnano un po’ meno perfette, ma sempre con il sorriso. Qualche canalino da stare attenti, qualche bella curva tra i pini, con la silenziosa soddisfazione del non averne centrato nemmeno uno.

Fatta eccezione per un ginocchio, tutti sani e salvi al parcheggio, noi.
Tutti al traguardo, loro? Non si sa. Le notizie non arrivano in tempo reale.
Ma alla cena all’osteria della pace, a Sambuco, dove pernotteremo, arriva l’aggiornamento del Diretur, e tutto ci è svelato. Luca e Raffaele hanno alleggerito il carico a Sara, dispensandole barrette ed energetici quando serviva purché salisse veloce. Ma quando c’era da scendere, starle dietro era tutt’altro che facile anche per due altleti come loro. Qualcuno ha avuto un momento di crisi (forse per solidarietà con Kilian?) ma l’affiatamento e lo spirito dei compagni lo hanno aiutato ad andare avanti e concludere l’impresa, in una gara in cui non conta il podio, conta arrivare, contano le emozioni e le sensazioni di ogni atleta alla partenza, sulla cresta del Castore, sul passo del Naso, sul ghiacciaio del Lys.

I calici si sono sollevati al merito per i nostri atleti, le forchette si sono abbassate sui cruset e sull’agnello sambucano, per i nostri stomaci.

Randagia, alla fine di un corso che ha mantenuto le sue promesse, e anche di più

Colle Tovetto, itinerario perfetto!

Posted on Aprile 21, 2013 by randagia

“Non è mai sensato mettersi contro la natura, a sto giro vince lei”, dice il saggio. Anzi la saggia, con le gambe sotto il tavolo. La neve scende calma e costante. Qualcuno da dietro le finestre aspetta ancora Babbo Natale, peccato che abbiamo già passato Pasqua. Siamo arrivati questa sera qui, al Rifugio Ciriè, Pian della Mussa.
La pioggia triste e grigia ha ridotto drasticamente il numero di partecipanti. Noi, per ottimismo o perché non avevamo di meglio da fare, abbiam messo gli sci ai piedi nel tardo pomeriggio all’ironico incitamento di “Sfruttiamo questa schiarita, ragazzi!”. Infatti partiamo con la schiarita e saliamo con la nevicata. Che poi quel bianco tra i pini, misto nebbia, in fondo piace pure. Dopo qualche minuto i colori delle giacche e degli zaini quasi non si distinguevano: tutti bianchi di neve. Saliti chiacchierando, o ascoltando le chiacchiere altrui, che risulta più comodo quando il fiato non abbonda. Chi conosceva la zona non aveva parole gentili per i sei chilometri di noiosa stradina per arrivare all’altro lato del Piano, dove c’è il rifugio. Chi non la conosce, oggi la apprezza, domani cambierà idea. Siamo arrivati in un’oretta, con qualche centimetro di neve accumulato sullo zaino, sui cappellini ed anche sui bastonicini. Sci accatastati all’ingresso e corsa alle stufe per asciugare l’asciugabile. Capi sintetici adagiati sui poutage a sfidare note leggi della fisica.
Se ne scende tanta così, domani mattina facciam colazione ad Ala. Il piano A, punta Adami, salta quando ci servono un fantastico risotto gamberetti e zucchine. Il piano B, Croce rossa della Sea, sfuma con lo strudel. “Non è mai sensato mettersi contro la natura, a sto giro vince lei”, dice il saggio. Il piano C inizia con “ubriacatevi ragazzi!”.
Al mattino, l’impavido di turno esce a fare i rilevamenti: oltre 60 centimetri di fresca. I canaloni non hanno ancora scaricato, e non saremo certo noi a farli scaricare. Non ci resta che la seconda parte del piano C: aspettiamo il Diretur e quelli che hanno puntato la sveglia alle 3 per raggiungerci da Torino, e con loro torniamo a valle, concedendoci però una deviazione collinare: la grande scalata al “Colle Tovetto”, 400 metri di dislivello, allenamento ideale per chi la prossima settimana parteciperà al Mezzalama, no? E’ tutta nel bosco, senza rischio quindi, o quasi. Un pendio un po’ più inclinato, senza alberi, ci fa mettere in pratica la “tecnica di alleggerimento”: uno per volta, che stiamo in sicurezza e diamo un po’ d’emozione. Al colle arriviamo tutti insieme, senza distacchi, roba che sulle gite serie degli ultimi tempi, dove accumulavamo ritardi di un’ora, ci sognavamo.
Si scende in un attimo, si toglie la neve delle macchine. La gita continua nella sua versione enogastronomica: acquisti di salame di Turgia e piola ad Ala.

Randagia, che ci si diverte anche quando ci si arrende.

Ferrata di Camoglieres – c’è processione e processionaria

Posted on Aprile 14, 2013 by randagia

Quattro donne, quattro uomini. Destinazione Ferrata di Camoglieres, Val Maira.
Tappa d’obbligo a Verzuolo, ma no, non alla pasticceria della piazza dove si ferman tutti. Al baretto poco più in là, dalla barista dagli occhi blu e dal bel sorriso, molto apprezzati soprattutto quando si gira a fare il caffè.
“Ragazze, non è colpa nostra, ste gite all’inizio eran di soli maschietti, e poi è diventata tradizione fermarsi qui…”. Nessuna obiezione: in fondo ci portano ovunque, ci fanno scegliere le destinazioni, c’è sempre una corda pronta, un cancelletto controllo nodi pre-partenza, e soprattutto, quell’atto da gentlemen che la macchina una donna non la prende mai: e non stiamo a menarla, su queste cose mica insistiamo per la parità.

Una giornata di sole pieno e nuvole in sciopero. All’attacco, tre ragazzi che stanno rinunciando. Troppo difficile per loro. Peccaro. L’uomo con la corda detta l’ordine di partenza e si parte, sento le risate isteriche della new entry qualche cambio più giù. Ohi, mi preoccupo? Chiedo notizie all’uomo con la corda che mi tranquillizza “No, no tutto bene. Come? Risate isteriche? Che ne so se erano isteriche, rideva, ho dedotto che andasse tutto bene…”. Guardo giù, e i tre ragazzi che sembravano aver rinunciato stanno salendo: ci han visti e han pensato “Se ce la fanno quelli!”. Grazie, la nostra buona azione per oggi è fatta.

La ferrata si articola in cinque segmenti distinti, dopo ogni tratto una via di fuga. Ma le vie di fuga, o vie di figa, come qualcuno si è premurato di correggere su qualche cartello, non sembrano servirci. Un pilastro, due. Il “cordino corto”, il più amato dalle donne, aiuta nei cambi più difficili. La bellezza del paesaggio, anche se qualcuno non osa guardare giù, accompagna in quelli semplici. Lunghissime cordate di processionaria, o “gatte” ci tagliano la strada: sembran millepiedi che van tutti avanti in fila, ma si tratta di un parassita dei pini urticante per gli umani. Un ponte tibetano da 50 metri, niente male: ma com’è che quando hai imparato a fare quelli con una fune sola per i piedi, qui te ne mettono due? E’ comunque facile, solo luuuuuungo. Qualcuna sculetta nell’attraversamento, qualcuno si limita a due paroline contro il vento, che fa ondeggiare più del dovuto. I più concentrati non hanno neanche sentito il potente odore di campagna che la valle emanava in quel tratto.

Ultimo segmento, il più difficile, il più strapiombante. Uno di noi rinuncia, l’uomo con la corda, un po’ preoccupato per la new entry le dice “Io non ti consiglerei di farlo, poi valuta tu”. Diciamo che se gli uomini non sanno leggere tra le righe, le donne non sanno leggere tra le rocce: “Ah beh se non me lo consigli, non mi dici di non farlo, quindi vengo!”. Nonostante la mia traduzione in tempo reale “Secondo lui è meglio che non la fai, solo che non si osa dirtelo”, l’entusiasmo della new entry è troppo alto e chi la ferma più? “Allora dai ci provo, se ho problemi… che succede?”. La solita voce tranquilla afferma “Al massimo c’è una corda, in qualche modo se ne esce”. L’ultimo pezzo è bellissimo, due tratti strapiombanti, ma con parecchi ferri, e anche chi ha gambe corte e culo grosso se la cava. La new entry, neanche un problema: gran donna, arriva su con un sorriso smagliante e festeggiata da tutti! Ancora quattro passi per arrivare in vetta, firma del libro (grazie a quel Gigi che l’ha portato su!), e giù a spaparanzarsi al sole.

Randagia, che è primavera svegliatevi cordini…

Hai mai provato a guardare l’alba dall’alto?

Posted on Febbraio 14, 2013 by randagia

6 Dicembre 2011.

Così è cominciato tutto. Quando ancora pensavo che la montagna fosse posto da tranquilli pic-nic domenicali, da spaparanzi al sole. “Tu non sai quant’è bello guardare l’alba dall’alto!”. Certo che no. Io l’alba la vedevo solo in sogno, perché mai avrei dovuto svegliarmi così presto? “Dai, prova una volta”. E proviamo, giusto perchè a dirmelo è un gran bel tocco d’uomo. “Passo a prenderti alle 5:30”. Del mattino.
Abbigliamento a cipolla, che la parola “materiale tecnico” mi sa di snob: maglietta di cotone del mercato, pile della volontaria olimpica, sciarpetta indiana che tiene tanti ricordi ma poco caldo. Bastoncini e scarponi. Cinque e trenta. Pure puntuale. Abbigliamento supertecnico lui, tutto una marca. Scarpe da corsa. Giuda faus, sarà dura. Si attraversa Torino in un attimo a quelle ore, e arriviamo a Piossasco. Buio pesto, e bisogna piazzarsi in testa questo elastico con la luce, per capire dove mettere i piedi. L’elastico con la luce è quello che i tecnici, o gli elettricisti, chiamano “la frontale”. E cammino, con il mio lampione personale. Solo il mio, perchè l’altro è avanti passi luce. Fatico, inizio ad aver caldo e a smontare la cipolla. Fa bella mostra di sé la maglietta da mercato, scollata, coperta dalla sciarpina. “Minchia Randa, non ti si può guardare! Ma il cotone manco mia nonna lo mette più. E sta roba al collo che è? Te oggi ti prendi un accidente”. Oh, sarà anche un bel tocco, ma sulla simpatia ci sarebbe da ridire. Continuiamo a salire, tranquillo lui, che parla e ride. Sfatta io, che arranco e ansimo. Un’oretta abbondante e siamo su. Sotto, la città che si sta svegliando. Mai notato che i primi a muoversi sono i furgoni della nettezza urbana, con i loro lampeggianti gialli? Intorno, l’alba sta illuminando una ad una tutte le nostre montagne: la croce bianca del Musinè, il Monviso, lontano ma inconfondibile, e tutte quelle altre di cui non so il nome, ma tutte insieme, ordinate, nel rosa del mattino hanno un fascino unico. Quasi dimentico che un’ora prima ero in città. Ho rimesso su tutti i miei strati di vestiario, e starei lì tranquilla a godermi questo spettacolo gratuito, quando mister abbigliamento tecnico confessa: “Sai questa roba tiene caldo quando ti muovi, ma da fermi no. Scendiamo?” E certo, scendiamo. In fondo sono addirittura due minuti che ho ripreso un respiro normale, perchè mantenerlo? Almeno a scendere non sarà tanto faticoso. Povera ingenua! Il volto serio di un omino verde si para davanti a noi. Un extraterrestre? No, una guardia forestale: “Dove pensate di andare voi? Sapete che c’è una battuta di caccia al cinghiale in corso? Come siete arrivati qui? Ma non li leggete i cartelli?”. Noi i cartelli li leggiamo anche, solo che se tu li metti dopo che noi siam passati, vien difficile. E quindi? “Adesso dico alla radio a questi poveri quaranta cacciatori di fermarsi, e voi svelti scendete e speriamo che nessuno vi spari addosso!”. “Certo scendiamo di corsa”. Se non gli sparano loro, quando arriviamo sotto, il “tocco d’uomo” lo ammazzo io. E via si scende. Di corsa? Di corsa, io? Io se corro cado, ringrazia che provo a spicciarmi. Sto stambecco parte, urlandomi ogni tanto “attenta qui, radice!” “attenta qui, pietra!”. Abbastanza inutile: quando alzo gli occhi per vedere dove è “qui”, quello è già 20 metri sotto, e chissà a che radice, a che pietra avrei dovuto stare attenta. Affranto, mi guarda e mi dice “Ma non puoi… correre?”. E che gli dico? “Sì potrei, ma preferisco volare?”. Nella mia affannata discesa per uscire dal campo minato, quella quarantina di cacciatori in pausa forzata si prodiga in frasi di incitamento che mai avrei immaginato “Vada tranquilla, signorina!”, “Vada piano, signorina!” “Vai tranquilla, meglio te viva che un cinghiale morto!”. Ecco questo il primo complimento della giornata. Arrivo viva a valle, fuori dalla zona minata, i cacciatori possono riprendere la loro battuta. Le mie gambe tremano, per l’ansia, per la paura, per la fatica, ma nei miei occhi si legge un chiaro “In fondo mi sono divertita”. Solo negli occhi, perchè il fiato per dirlo non ce l’ho.

E’ passato poco più di un anno. Adesso non esco alle 5:30 per andare al San Giorgio col primo tocco d’uomo che mi invita. Adesso esco alle 6:00 per salire a Superga con gli amici, per salire il sentiero 65 del parco, mentre la città si sveglia e le montagne “mi fanno ciao”. Per sentire le nostre chiacchiere che si diradano, fino ad annullarsi in profondi respiri negli ultimi metri, mentre il cielo si sta accendendo. Oggi c’è la neve. I cani delle case, la cui indifferenza ci lasciava delusi nei giorni più freddi, oggi abbaiano al nostro passaggio. La frontale non serve quasi più. Sarà per la neve, sarà perchè siamo a metà febbraio, ma l’alba oggi arriva prima. Qualcuno va su tranquillo, qualcuno con il fiatone dalla prima scorciatoia, io mi sento come su un tapis roulant farlocco: vado due passi avanti, e scivolo uno indietro. Bella la neve. Arriviamo alla Basilica. Cielo terso. La nostra Torino lì sotto, la Mole che ci solletica il naso. Quelli bravi riconoscono anche i corsi e li indicano per nome. Le montagne bianche sotto la luce rosa mi dipingono un sorriso compiaciuto. Scendiamo subito, che l’abbigliamento minimale che abbiamo va bene se ti muovi, ma se stai fermo, hai freddo. Un classico. In discesa qualcuno plana da un albero all’altro come una scimmia volante, qualcuno corre leggero sul manto bianco, io mi tengo in bilico con i bastoncini e qualche preghiera.
Scivolare sulla neve fresca prima di colazione, è un’emozione da bambini. La colazione da Gallizioli, a San Mauro, è un lusso da adulti.

Randagia, che sa quant’è bella l’alba vista dall’alto

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