Quando la fatica premia

Questa settimana avevi deciso di riposarti, le gite alpinistiche dei weekend precedenti avevano provato te e il tuo stomaco, quasi a dirti “rassegnati che patisci la quota: tu ami la montagna, ma a lei stai un po’ sull’anima”. Ma. Ma. Chi al Dome de Niege des Ecrins è già stato, ti dice che è una meraviglia in terra, in un parco, senza tralicci e uova di vetro a portare in quota qualunque pirla. “E’ un ambiente unico, che devi vedere almeno una volta. Si vede il Pelvoux, si attraversa il Glacier Blanc, si passa sotto la Barre. Un ambiente unico e vario. Ghiacciai spettacolari, e nessuna funivia a consegnarti al rifugio, solo le tue gambe ed il tuo fiato. “Randa, non vieni? Se una funivia non ti porta il culo a 3800 tu non sei buona di farlo arrivare a 4000?”. E vuoi non andare?
Si parte il sabato mattina da Torino, carovana di quattro macchine. Secondo appuntamento a Monginevro, ad aggregare la quinta. Ma come pensiamo di arrivare a 4000 metri, se già dopo 100 km abbiamo un’auto in panne? Ridistribuiamo i partecipanti sulle macchine e abbandoniamo la sfortunata in un parcheggio fino a domenica. In fondo molti dei partecipanti, poche ore prima, hanno fatto lo stesso con la moglie. Tra caffè, benzinai, meccanici, arriviamo a Ailefroide che è mezzogiorno, e di froide non c’è proprio niente. Solite domande di rito “Avete tutti moschettoni, imbrago, ghette?”. C’è sempre chi porta qualcosa di scorta, e c’è sempre chi dimentica qualcosa. “Nooooo, i pantaloni!”. Non è un articolo su cui siamo preparati. Colletta di calzamaglie e pantaloni stile ThinkPink, di cotone leggerissimo: un’esperienza refrigerante portarli su ghiacciaio. Si parte. Il sole cuoce, ma il fiume rinfresca. Il verde del parco fa riflettere: davvero vuoi salire su nei freddi ghiacci? Vuoi. Dopo due ore di salita, inizia la neve. Una foto, due chiacchiere. Lo sguardo che spazia a riempirti il cuore. Il Pelvoux fa subito mostra di sè, quella lama di roccia inclinata lassù è la famosa Barre, e giù in fondo, il nostro Dome, la meta di domani. Sotto i piedi, si apre qualche fessura, dapprima sottili, poi un po’ più ampie. Stringi le chiappe e salta. Qualcuno si chiede perchè le donne hanno sempre tutta sta paura a saltare. Forse perchè sono più intelligenti, suggerisce qualcun altro, ma non è detto. Ancora due ore, e sei al rifugio. Un affollamento che neanche ai concerti di Vasco ai tempi d’oro. Pochi italiani, tanti francesi. Il Refuge des Ecrins è abbarbicato su una roccia, sopra un mare di neve. Un mare calmo. Dall’alto le fessure che tanto facevano paura, sembrano banali graffi di gatto. Sembrano. Qualche nuvola in cielo, il tramonto, qualche stella.

La colazione la servono alle 3, si parte in piena notte, che è già un’emozione in sè. Le luce delle frontali dipinge un sentiero di stelle che parte dal rifugio ed attraversa il mare di neve. Un sentiero di cui fai parte anche tu. Alla prima impennata del percorso, si confermano i sospetti che tu non sia la scheggia della cordata, ma la capa adatta il suo passo al tuo ritmo come l’acqua si adatta al bicchiere, i due uomini del gruppo fanno lo stesso, decantando quanto sia bello salire una volta ogni tanto senza ammazzarsi di fatica. Loro, perchè tu stai dando tutto quello che hai. Solo quando i “mufloni” che stanno salendo alla Barre tirano giù pietre da farvi secchi, i tuoi compagni di cordata, mentre smadonnano “Se tses nen bun a muntè sensa tirè giù i roc, sta a ca’!” osano chiederti “Ce la faresti mica ad andare più veloce in questo tratto, che magari ci salviamo la vita?” E come dirgli no. Il ghiacciaio è meno crepacciato di come ce lo si aspettava, ma per chi di ghiacciai ne ha visti pochi, lo è già abbastanza. Chi hai davanti, ti mostra come passare in sicurezza. Chi hai dietro, sta facendo foto. Foto? “Via quella macchina e corda tesa!” e dimostri che calma e gentilezza non sono le tue doti migliori. Concentratissima, picca nella neve con una forza che ti stupisci di avere, e via è fatta. Uno sguardo al compagno, che ha messo via la macchina foto, e sta scavalcando il crepaccio come fosse un tombino in via Roma. Al prossimo passaggio, che è complicato solo per te, la corda è tesa, e tu passi serena in men che non si dica. Basta poco a farti star tranquilla. Una bella cordata per esempio.

E si arriva tutti in punta, chi prima chi dopo, chi non conta più le decine di ghiacciai fatti nella vita, chi è al suo primo primo rampone, con un sorriso a 4015 denti. Defezioni zero: evento più unico che raro. Abbracci, foto, battute. E poi tutti giù. La discesa, potrebbe sembrare lunghina. La fatica si fa sentire. “Ma non è che ci siamo persi e stiamo girando in tondo? Non è possibile che non finisca mai…” Non si vede ancora la fine del ghiacciaio, ma si vede una farfalla, e quelle si sa, sui ghiacci mica salgono tanto. “No Randa, non è una farfalla, è un’allucinazione. Ma prima non abbiamo incrociato San Pietro che saliva?”

Passo dopo passo, si torna a valle. Qualcuno corre alle macchine per essere a casa in tempo record, qualcuno butta i piedi in una fontana per riprendersi, qualcuno si appoggia ad un tronco e si addormenta lì.

Randagia, che un ghiacciaio senza funivia è la meglio gita che ci sia.