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L’uomo con la corda

Posted on Marzo 18, 2013 by randagia

Ferrata de La Brigue

In collina si iniziano a vedere le primule, le giornate sono più luminose, c’è aria di primavera, c’è aria di ferrate. “Andiamo a fare la Brigue! E’ tutta al sole”. Hai iniziato l’anno scorso, non ha mai osato superare il livello D (difficile), lasciandolo per l’anno successivo. Eccerto, ma non intendevi per la prima ferrata dell’anno successivo! Peccato o fortuna, non hai letto la relazione tecnica, quindi non lo sai.
Si paga l’ingresso all’azienda di turismo, 5 euro prezzo ufficiale, cui viebne applicato uno sconto su base simpatia, credo.

“Randa, devo prendere la corda?” Sì, certo. Che non si sa mai.

Si parte in verticale, ovvio, le ferrate non sono in piano. Sì, ma c’è verticale e verticale: questo ti sembra verticale tanto, ma sarà solo che non sei più abituata. Sali un pofrom_unixtime( l’allegria del paesaggio ti prende. Sali ancora un pofrom_unixtime( le braccia danno segni di affatacicamento. Una nicchia nel primo pilastro ti invita a sedertici dentro, come le statuina della bambina con l’agnellino che mettevi sulle montagne del presepio, e stava lì, fino a Natale. Pensi di stare lì, fino a Pasqua. Ma è un po’ troppo presto per arrendersi, e non hai nessun agnellino da fare arrosto. Sali ancora un pofrom_unixtime( una vocina dentro ti dice “Dopo una stagione passata a tentare di allenare il fiato, vai a fare una ferrata dove servono le dimenticate braccia? Ma se vai a dare un esame di storia, prima ripassi inglese? Se vuoi farti segare, magari sì.” E infatti a farsi segare sono le braccia. I battiti salgono, per il panico non per la fatica, il cuore si è spostato nelle narici. E’ bastato un quarto d’ora, in cui non hai applicato nessuno dei trucchi imparati l’anno prima, per trovarti panata. Possibile che tu non abbia imparato niente? Sì sì, una cosa te la ricordi: attacchi il cordino corto, lasci giù le braccia, e stai seduta sull’imbrago urlando un “Raga, aspettate che non ce la fo di braccia!”. Chi ti conosce meglio, annuisce e tace. Chi ti conosce meno, continua a fare incitazioni. Chi è più esperta, ti consiglia “Molla giù tutte e due le braccia, poi quando te la senti, levati veloce di lì che ti manca un cambio e sei fuori”, e con andi materno aggiunge “Vuoi che ti venga vicino lui che ha la corda?”. L’uomo con la corda e con la fiducia, mi comunica pacato “Ti aspetto qui!”. Eh, arrivarci “qui”. Gli avambracci, rossissimi, sono duri: il “cicin” che li caratterizza si è pietrificato. Minchia Randa, le gambe! Dovevi usare di più le gambe, ricordi? ‘Ca troia, invece hai fatto la figa, un ferro dopo l’altro e su veloce. E mo? E mo stai lì appesa finchè il cicin si depietrifica. Ti aspettano, il tempo che ti serve, non ti mettono fretta, non ti mettono ansia, per questo adori i tuoi compagni di gita. Quando riprendi, sali gli scalini ricordandoti bene di metterci su entrambi i piedi e alzarti di gambe, tieni le braccia tese il più possibile, e vai su senza fermarti. Il cuore torna nella cassa toracica, gli occhi ridono, anche questa è fatta. “A posto Randa?” Eh si, un po’ idiota ma a posto. Passato il primo pilastro le cose si semplificano, sempre esposta ma non così strapiombante, la ferrata percorre tutto il massiccio in traverso, per poi regalare una bella tyrollien, senza farsi mancare i ponti delle scimmie, nove in tutto, neanche necessari, ma messi lì per il divertimento delle masse. Tutti i ponti sono rivolti alla parete, tranne l’ultimo, da fare faccia a valle: come se servisse a mantenere l’equilibrio fissi quell’albero, sulla montagna innevata davanti a te, ma poi ti fai prendere, e lasci che lo sguardo spazi su tutta la valle, i piedi scandiscono un passo dopo l’altro, gli occhi una vetta dopo l’altra, un sorriso al cielo su e uno sguardo al paesino giù. All’arrivo uno ti dice “Sto ponte si sentiva nelle braccia”. Dirà davvero o per prenderti per il culo? Non chiedertelo, ma soprattutto non chiederglielo. La ferrata continua ancora per alcuni traversi, e poi scende verso il sentiero. La roccia nei tratti più bassi, mista cespugli, un po’ si sfalda, ma poco.
Tutti entusiasti, andiamo a mettere le gambe sotto il tavolo, facciamo un tour per il paesino di Briga, che qualcuno valuta come possibile meta di una tre giorni romantica, e poi si rientra, con la tappa alla Venchi a Vernante.

Randagia, che tra fiato e braccia, è meglio allenare la memoria!

PS: se volete fare la ferrata di Brigue, qui la relazione seria.

Hai mai provato a guardare l’alba dall’alto?

Posted on Febbraio 14, 2013 by randagia

6 Dicembre 2011.

Così è cominciato tutto. Quando ancora pensavo che la montagna fosse posto da tranquilli pic-nic domenicali, da spaparanzi al sole. “Tu non sai quant’è bello guardare l’alba dall’alto!”. Certo che no. Io l’alba la vedevo solo in sogno, perché mai avrei dovuto svegliarmi così presto? “Dai, prova una volta”. E proviamo, giusto perchè a dirmelo è un gran bel tocco d’uomo. “Passo a prenderti alle 5:30”. Del mattino.
Abbigliamento a cipolla, che la parola “materiale tecnico” mi sa di snob: maglietta di cotone del mercato, pile della volontaria olimpica, sciarpetta indiana che tiene tanti ricordi ma poco caldo. Bastoncini e scarponi. Cinque e trenta. Pure puntuale. Abbigliamento supertecnico lui, tutto una marca. Scarpe da corsa. Giuda faus, sarà dura. Si attraversa Torino in un attimo a quelle ore, e arriviamo a Piossasco. Buio pesto, e bisogna piazzarsi in testa questo elastico con la luce, per capire dove mettere i piedi. L’elastico con la luce è quello che i tecnici, o gli elettricisti, chiamano “la frontale”. E cammino, con il mio lampione personale. Solo il mio, perchè l’altro è avanti passi luce. Fatico, inizio ad aver caldo e a smontare la cipolla. Fa bella mostra di sé la maglietta da mercato, scollata, coperta dalla sciarpina. “Minchia Randa, non ti si può guardare! Ma il cotone manco mia nonna lo mette più. E sta roba al collo che è? Te oggi ti prendi un accidente”. Oh, sarà anche un bel tocco, ma sulla simpatia ci sarebbe da ridire. Continuiamo a salire, tranquillo lui, che parla e ride. Sfatta io, che arranco e ansimo. Un’oretta abbondante e siamo su. Sotto, la città che si sta svegliando. Mai notato che i primi a muoversi sono i furgoni della nettezza urbana, con i loro lampeggianti gialli? Intorno, l’alba sta illuminando una ad una tutte le nostre montagne: la croce bianca del Musinè, il Monviso, lontano ma inconfondibile, e tutte quelle altre di cui non so il nome, ma tutte insieme, ordinate, nel rosa del mattino hanno un fascino unico. Quasi dimentico che un’ora prima ero in città. Ho rimesso su tutti i miei strati di vestiario, e starei lì tranquilla a godermi questo spettacolo gratuito, quando mister abbigliamento tecnico confessa: “Sai questa roba tiene caldo quando ti muovi, ma da fermi no. Scendiamo?” E certo, scendiamo. In fondo sono addirittura due minuti che ho ripreso un respiro normale, perchè mantenerlo? Almeno a scendere non sarà tanto faticoso. Povera ingenua! Il volto serio di un omino verde si para davanti a noi. Un extraterrestre? No, una guardia forestale: “Dove pensate di andare voi? Sapete che c’è una battuta di caccia al cinghiale in corso? Come siete arrivati qui? Ma non li leggete i cartelli?”. Noi i cartelli li leggiamo anche, solo che se tu li metti dopo che noi siam passati, vien difficile. E quindi? “Adesso dico alla radio a questi poveri quaranta cacciatori di fermarsi, e voi svelti scendete e speriamo che nessuno vi spari addosso!”. “Certo scendiamo di corsa”. Se non gli sparano loro, quando arriviamo sotto, il “tocco d’uomo” lo ammazzo io. E via si scende. Di corsa? Di corsa, io? Io se corro cado, ringrazia che provo a spicciarmi. Sto stambecco parte, urlandomi ogni tanto “attenta qui, radice!” “attenta qui, pietra!”. Abbastanza inutile: quando alzo gli occhi per vedere dove è “qui”, quello è già 20 metri sotto, e chissà a che radice, a che pietra avrei dovuto stare attenta. Affranto, mi guarda e mi dice “Ma non puoi… correre?”. E che gli dico? “Sì potrei, ma preferisco volare?”. Nella mia affannata discesa per uscire dal campo minato, quella quarantina di cacciatori in pausa forzata si prodiga in frasi di incitamento che mai avrei immaginato “Vada tranquilla, signorina!”, “Vada piano, signorina!” “Vai tranquilla, meglio te viva che un cinghiale morto!”. Ecco questo il primo complimento della giornata. Arrivo viva a valle, fuori dalla zona minata, i cacciatori possono riprendere la loro battuta. Le mie gambe tremano, per l’ansia, per la paura, per la fatica, ma nei miei occhi si legge un chiaro “In fondo mi sono divertita”. Solo negli occhi, perchè il fiato per dirlo non ce l’ho.

E’ passato poco più di un anno. Adesso non esco alle 5:30 per andare al San Giorgio col primo tocco d’uomo che mi invita. Adesso esco alle 6:00 per salire a Superga con gli amici, per salire il sentiero 65 del parco, mentre la città si sveglia e le montagne “mi fanno ciao”. Per sentire le nostre chiacchiere che si diradano, fino ad annullarsi in profondi respiri negli ultimi metri, mentre il cielo si sta accendendo. Oggi c’è la neve. I cani delle case, la cui indifferenza ci lasciava delusi nei giorni più freddi, oggi abbaiano al nostro passaggio. La frontale non serve quasi più. Sarà per la neve, sarà perchè siamo a metà febbraio, ma l’alba oggi arriva prima. Qualcuno va su tranquillo, qualcuno con il fiatone dalla prima scorciatoia, io mi sento come su un tapis roulant farlocco: vado due passi avanti, e scivolo uno indietro. Bella la neve. Arriviamo alla Basilica. Cielo terso. La nostra Torino lì sotto, la Mole che ci solletica il naso. Quelli bravi riconoscono anche i corsi e li indicano per nome. Le montagne bianche sotto la luce rosa mi dipingono un sorriso compiaciuto. Scendiamo subito, che l’abbigliamento minimale che abbiamo va bene se ti muovi, ma se stai fermo, hai freddo. Un classico. In discesa qualcuno plana da un albero all’altro come una scimmia volante, qualcuno corre leggero sul manto bianco, io mi tengo in bilico con i bastoncini e qualche preghiera.
Scivolare sulla neve fresca prima di colazione, è un’emozione da bambini. La colazione da Gallizioli, a San Mauro, è un lusso da adulti.

Randagia, che sa quant’è bella l’alba vista dall’alto

Con la luna e con la neve

Posted on Gennaio 31, 2013 by randagia

Classico ritrovo a bordo città per fuggire più in là, dove le valli danno il meglio di sè, dove i palazzi smettono di occupare l’orizzonte e lasciano spazio alle montagne. Più o meno bianche. Per gentile concessione dell’organizzatore, le donne sono esonerate dalla guida. Mai capito se sia semplice galanteria o assoluta, quanto fondata, sfiducia nella guida femminile su neve. Le partecipanti apprezzano, e non sembrano alla ricerca di disperate dimostrazioni di parità dei sessi, non oggi.
Non abbiamo certo fatto a meno del classico personaggio ritardatario, che preso da crisi isterica da smarrimento tra Borgaro e Venaria, note metropoli, ti urla al telefono “Voi andate, io non ce la farò mai!”. Sì, sì, il personaggio in causa non è maschile, perché, si sa, l’uomo in auto non deve chiedere mai e non si perde mai. E se anche si perdesse, direbbe che non viene perchè Belen l’ha invitato a cena. Ma la solidarietà femminile fa miracoli, ripeschiamo la malcapitata in una rotonda e via, siamo ancora in orario per l’appuntamento finale a Balme. Venti lumini si muovono nel buio e nel freddo, qualcuno si conosce già, qualcuno si conoscerà, qualcuno “Ma dai, ci sei anche tu?”. Baci e abbracci.
La luna piena, il cielo terso, le luci frontali accese ad accecare chiunque osi guardarti mentre smadonnando cerchi di chiuderti le ciaspole. A ciaspole indossate, spegniamo la frontale: la luna e la neve consumano meno. E saliamo, su una strada larga e battuta. Qualcuno parte a scheggia, e lo vedrai solo in cima. Qualcuno ha paura a muovere i primi passi: ammettiamo che iniziare la salita da un letamaio non è propriamente geniale. Ogni tanto ci si ferma a guardarsi attorno, non che questa valle sia la più bella del mondo, ma questa sera anche lei ha il suo fascino. Allungo il passo per chiacchierare con uno, lo accorcio per parlare con l’altra, tengo il mio e parlo con chi mi capita. Un’oretta di chiacchiere e visi sorridenti ed eccoci arrivati: Agriturismo la Masinà. Peccato per il lampione che proprio bene non sta. Proseguiamo ancora un pofrom_unixtime( della luce artificiale oggi non ne vogliamo proprio sapere. Il bosco, la neve, la luna. Due foto. Due “ooooooooo”. E poi il silenzio, il silenzio della montagna, il silenzio della natura, il silenzio del “Cazzo son entrati tutti, non ci lasceranno niente da mangiare!”. Un improvviso disinteresse per la luna piena, un esagerato desiderio di avere piena la panza: torniamo all’agriturismo a grandi falcate. In fondo ci hanno aspettati. Il vino è abbondante, le porzioni meno, ma per fortuna abbiamo chi non si fa troppi problemi e informa i camerieri che il cibo “non basta”, e viene ascoltato. Le donne sono un po’ distratte dalla sfilata PittiUomo che si sta accomodando al tavolo vicino, ma prontamente la compagnia riguadagna il loro interesse: “Avete notato che son tutti uomini? E che qualcuno ha anche l’orecchino?”. No, però abbiamo notato che noi stiamo ridendo di più. La cena va: affettati, vitello tonnato, polenta e suatisa, polenta e spezzatino, la concia, torte di mais o di cioccolato, il caffè, il pusa cafè. Venti euro. Non male.
Qualcuno si ferma a dormire lì, mentre gli altri scendono, tirando gran pacche sulle spalle a chi ha organizzato la serata, tenendo sempre alto il volume delle risate, alla faccia del silenzio della luna e della neve.

Randagia, che tra un mese la luna è piena di nuovo…

Tra la Sacra e la Luna

Posted on Giugno 8, 2012 by randagia

Un’idea buttata a caso in un parcheggio. E raccolta. Subito. Come tutte le peggio boiate. E come tutte le peggio boiate va realizzata. Una ferrata in notturna con la luna piena.
E allora si aspetta, si aspetta la luna piena. Ma non una luna piena qualunque, una di quelle che i Maya ti raccomandano. Tanti “Io ci sono!”, entusiasti. Qualche “Non ce la faccio, passo.”
Un paio di macchine. Si chiacchiera. Si ride. Destinazione Caprie, ferrata di Rocca Bianca. “Dobbiam portare su il diario di vetta nuovo”. Eh già, che non lo gestisce la forestale, o il comune. No, va su base volontaria. Lo gestisce Franco. E lo scopri sul momento. Franco, che a Rocca Bianca ci sarà salito seicento volte. Franco, che la fa ad occhi chiusi, altro che in notturna. Franco, che conosce tutte le pietre per nome. E inauguriamo il quaderno nuovo, che tanto il peso, lo porta Franco!
Avigliana ovest.  Ma è presto. Alle otto e mezza è ancora chiaro.  Gli uomini veri vogliono la notturna vera. Le donne no. Quindi si parte, con il chiaro. Che il buio verrà. Pila frontale sul casco. Qualcuno la accende: “Distisa, badola! (spegni, badola!) che poi quando ti serve le batterie non le hai più”. Dopo pochi minuti i primi reclami:  “Oh, se andate veloci così, abbiam tempo a farla due volte prima che venga il buio!” Ma chi è in testa, se ne frega. E anche chi è in coda. Ognuno sale con il suo beato passo. Ridendo e scherzando. Ma sta luna dov’è? Non si vede. Poco importa. La Val di Susa ai tuoi piedi ti piace. La Sacra di San Michele si illumina, e se accende la luce lei, le accendete anche voi. Una fila di otto lumini che sale seguendo un ritmo tutto suo. Ma la luna? Superi il tratto dove qualche mese fa, alla tua prima ferrata, ti eri schiantata contro la roccia, “propri da piciu” pensi. E forse dici, ma nessuno rincara la dose. Son amici.
Ponte Tibetano. Lo attraversi con il volto verso la valle, che è là in basso. Tanto in basso. Senso di vuoto, chiappe strette, un passo dopo l’altro sul cavo. Sotto di te luci bianche e rosse marcano il disegno dell’autostrada che taglia la valle. C’è chi vorrebbe non vederle. La TAV non si vedrà. Forse non passerà neanche di là. C’è chi vorrebbe non averla. Ma no, a questo non pensi mentre sei lì.  La Sacra continua a far luminosa mostra di sè a destra.  A sinistra, spunta la luna tra le nuvole. Sembra un gioco di luci. Son et Lumieres. Guarda la Sacra, guarda la Luna, ma minchia non guardare giù o finisce che le previsioni maya con te ci azzeccano. Un passo. Un altro. Fatta. Niente male sta bassa Valle di Susa. Passano anche gli ultimi della fila, mentre il panorama è sempre più spettacolare.
Un po’ il ridere, un po’ la stanchezza, non riesci più a salire, e sbagli. Sbagli a dire, ridendo, “Non riesco, datemi una mano” . Perchè la mano te la danno, anzi due. Sul culo però. E sali. In punta ormai c’è uno studio fotografico: cavalletto, flash, non flash. “E spegnete quelle frontali che la foto non viene”. Le spegnete. “E accendete ste frontali e guardatevi tra di voi, o la foto non viene!” Allora, ci si decide? Acceso o Spento?” Uno scatto dopo l’altro, una frase sul libro di vetta, che riponiamo nell’apposita casetta di legno, sempre tutto “powered by” Franco. E poi tocca scendere. Parti in prima fila, che scendere è facile. All’urlo di “Aspetta che ti faccio vedere lo gnomo!” Franco passa in testa. Ah, si dice così adesso? Lo gnomo? Una volta era il cobra, il serpente. Ora è lo gnomo? Si vede che gli anni passano per tutti. E mentre scendete eccolo lì lo gnomo: il cappello, il naso, gli occhi. Quando Franco diceva di conoscere ogni singola pietra di rocca bianca non stava scherzando.

Randagia, che la luna piena è solo una volta al mese

Non si accettano caramelle dagli sconosciuti, ma gli zuccherini …

Posted on Maggio 13, 2012 by randagia

Cielo promette pioggia, destinazione vicina e salita breve: Monte San Giorgio, da Piossasco. Lasciate la macchina alla sbarra. Controllate gli avvisi esposti, mica che vi sfugga una banalità come “Divieto di accesso al parco causa battuta di caccia al cinghiale”. L’esperienza insegna. Oggi il cartello parla di una salita in notturna pianificata per la sera stessa, luna piena. Quindi tutto tranquillo. E allora su, per la strada sterrata nel bosco, perché il sentiero, mica sei mai riuscita a trovarlo. Solo qualche scorciatoia. Due caprioli che vi tagliano la strada e si fermano a guardarvi vi fanno quasi sentire importanti. Il tempo che ancora regge mette di buon umore. In un’oretta siete su.
Quando la strada esce dal bosco, si affaccia su un bel prato inclinato, da cui si lanciano con il parapendio. Ora non c’è nessuno. Sorridi al cartello “Vietato Volare”. Ti fermi a guardare il panorama e senti un “Oh ma anlura a ie cheidun!”(Oh ma allora c’è qualcuno!). Ed ecco due simpatici pensionati, stupiti che sia salito qualcuno anche oggi che il sole non c’è. Dimentiche delle raccomandazioni della mamma, accettate uno zuccherino da uno sconosciuto, ma a questa età nessuno più pensa di fregarvi con uno zuccherino: o ha la Z4 o niente. I due si stuzzicano su chi è più vecchio e acciaccato, loro che vengono qui tre volte a settimana, perché le mogli li mandano fuori casa. E quando tornano a casa si sentono dire “Oh, ma sei già qui?!”. Un po’ di chiacchiere, poi iniziano a scendere, avvisandoci “C’è la chiesa più in là, bisogna andar a dire la preghierina, non che serva eh..” E con questo ottimismo, proseguite poco oltre verso la chiesa, che la preghierina non servirà, ma il panorama merita. Anche stavolta, valeva la pena di salire: Monviso, e tutte le altre intorno, che il nome non lo ricordi. Non ci fosse foschia, vedresti anche il Musinè, che sa di casa. Lasciate l’immancabile rima sul libro di vetta, scattate un paio di foto, e poi giù, si scende. Presto si raggiungono i due degli zuccherini, che allungano il passo e non vi mollano più. E la socia che doveva far pipì, e se la tiene. Uno è più spavaldo, chiacchiera a manetta e lascia indietro l’amico controllandolo ogni tanto “Luigin, anduma trop fort?(andiamo troppoo forte?) perché sapete, lui è vecchio” . Ti fa impelagare sul bordo strada per annusare il rododendro nano. Ti spiega che quella puntarella lì si chiama Rubatabo, perché una volta i buoi ci rubatavano, cadevano, tanto era ripida. “E poi ci siete mai andate alla Sacra di San Michele? E poi…”
E poi mai che un paio di bei quarantenni ci attacchino un bottone così? Eh ma questi son più motivati, han la moglie che li aspetta a casa da trent’anni, ritardano il rientro il più possibile…
“Ma poi Randa, non credi che saremo così anche noi da vecchie: tu davanti che parli anche con i muri e importuni i ragazzini, io che arranco paziente dietro? ” Che belle prospettive.
All’arrivo alla sbarra chiediamo se andranno a far la salita notturna citata nel cartello. “Mi? A m’antrapu già parei, figurte se a sa sciaira nen” (Io? Mi inciampo già così, figurati senza luce”)

Randagia, che si inciampa già così, e non ha ancora la pensione

Trenta metri fan la differenza?

Posted on Maggio 6, 2012 by randagia

Le vie ferrate ti piacciono, non c’è dubbio. Hai una scalata stile bradipo, i tuoi cambi di moschettone sembrano sponsorizzati da SlowFood, ma ti piace. Neve bassa ma sole caldo: è stagione di ferrate. Come quando piove è stagione di funghi. Già, ma sempre lì attaccata al cavo, quel poco di fiato che ti eri fatta camminando è andato via. E osi dirlo. Osi dirlo a chi ti ha appena proposto la ferrata per il giorno dopo, che tra lo stupito e lo sdegnato ti chiede “E non puoi andare a correre?” E certo, tutti possono. Servono solo un paio di scarpe da ginnastica. E la voglia. Hai solo le prime, ma ti rassegni: vai a correre alla Pellerina. Sei solo tu, qualche lampione e qualche spacciatore. Forse hai sbagliato orario: aspetta un po’ e gli spacciatori saranno di più.
Viene mattina, ritrovo 7:30. “Randa, se per te è troppo presto, possiamo fare 7:35.” E anche qui, non sta scherzando. Un uomo dalla camicia a quadri, non scherza su queste cose. Destinazione Ferrata di Rocca Candelera, sopra Usseglio. I commenti di chi già l’ha fatta lasciano intuire che non sarà facile trovare l’attacco: la ferrata non è ancora omologata, ed il sentiero non è ben segnalato, anzi non è segnalato proprio, fatta eccezione per una bacheca e due cartelli. Beh ma, volevi fare fiato? Eccoti accontentata: questa prima oretta di scarpinata su bosco in forte pendenza fa al caso tuo. Peccato che poi, parti già “scioppa”. Durante la vostra ricerca incrociate una coppia di pensionati con le stesse intenzioni, ma con tante energie da impiegare in imprecazioni e classiche discussioni moglie-marito. Tra una imprecazione loro e un sorriso vostro, l’attacco vero e proprio non lo trovate: salite all’intermedio come fosse una seggiovia. La pensionata parte come una fusetta, lui non ti sembra starle dietro. Intanto vanno più di te, sicuro. La ferrata sale, e sale bene, tanti scalini dove servono, ma anche tanta pietra, che fa più piacere. Passi corti, per non stancarti. “Occhio Randa, qui è un pelino strapiombante!”. Un pelino. Un pelino di Jeti!
In cima si scambiano due parole con la ritrovata coppia, che ci stava dando giù di vino:
“Vuiaiute steve si?” chiediamo (“Voi state qui?”).
“No, ades caluma giù” ci rispondono (“No, adesso scendiamo”).
Il vino doveva essere buono, visto che noi intendevamo solo chiedere se erano di queste parti…
Si scende insieme seguendo i bollini rossi da caccia al tesoro, mentre si cerca di mantenere l’equilibrio sull’erba viscida del pendio. Tu che i bastoncini non li hai portati perché nonostante la recensione lo consigliasse, hai pensato “meglio una culata in discesa che due stecche negli occhi in salita”. Ecco ogni tanto pensare non conviene.
Si finisce alla Furnasa, ad Usseglio, a mangiar carne cruda generosa di aglio, gnocchi che finalmente san di patata con toma che sa di toma, tracannando un buon dolcetto e chiacchierando. Gli occhi del pensionato prendono vita solo se si parla di montagna, qualunque deviazione di argomento lo vede assente. E anche la montagna, mica tutta.
“L’Eiger in Svizzera? Da giovane dicevo che l’avrei fatto da vecchio, e adesso son troppo vecchio per farlo.. Perché non l’ho mai fatto? Dai, non era neanche un 4000 non valeva la pena.” Ah già, come dargli torto era solo 3970 metri, pensa se han sbagliato a misurarlo. E poi scopri che questo “pensionato” è quel Franco Bianco che ha fondato il Club dei 4000, scalando 80 delle 82 vette censite. Brau, Franco! Tu che mai avresti detto. E ti vien da sorridere quando racconta che adesso che fa solo più cose facili, che si trova bene con il cordino corto, che voi non sapete la brutta sensazione di quando le braccia non ce la fanno più, che si cadrebbe giù “mol cume na merda”. Tu delle 82 ne hai fatte 0, ma quella brutta sensazione di quando le braccia non ce la fanno più la conosci benissimo. Non glielo dici però, o distoglierebbe lo sguardo.

Randagia, che trenta metri fan la differenza…

RoccaSella e la Venere delle foglie

Posted on Dicembre 10, 2011 by randagia

E’ dicembre, ma la neve si vede ancora solo da lontano. Allora via, ancora scarponcini e racchette. Il tè lo porta Vicky, il caffè David, Randa ha ancora quel rhum nella fiaschetta di plastica da condividere. Qualcosa di basso, che di pestare la poca neve che c’è non se ne ha voglia. Rocca Sella, 1508 mt. Si parte da Celle, sopra a Rubiana, ben indicato. Un paio di fontane alla partenza consentono anche agli storditi dalla borraccia vuota di farsi le scorte. Il pezzo forte del sentiero è il panorama, per tutto il percorso, e con una giornata tersa così: che botta di culo! In un’oretta, vabbè un’oretta abbondante, siete su. Non da soli ovviamente. La cappella di Rocca Sella e le rocce del “sagrato” non le hai mai viste deserte, ma almeno adesso non è come a luglio, che sembrava una spiaggia ligure. Due chiacchiere, un panino, punti quello che sembra il più muntagnin di tutti e ti fai consigliare un sentiero diverso per il ritorno. “Ah sì, potete fare il sentiero delle foglie: andate a destra, passate da Fontana Barale, eh certo, foste venuti due settimane fa i colori delle foglie sarebbero stati uno spettacolo, un bel bosco di faggi..“. E quando ti dicono “due settimane fa era uno spettacolo di foglie” tu non ci arrivi a pensare che se due settimane fa quelle foglie erano colorate e sugli alberi, adesso sono secche e per terra, e si scivola da paura. Ecco perchè il “sentiero delle foglie”! Iniziate a sfottervi “Che, fai surf?” “Guarda la Vicky, come la Venere che esce dalle foglie!”. Già ma il Botticelli non l’ha disegnata con un bernoccolo in fronte, quindi occhio alle scivolate con cranio su roccia. Arrivate a Fontana Barale, dove una allegra coppia di pensionati con cane si sta godendo il sole. Si sente rumore di elicotteri. “Speriamo che non facciano male ai ragazzi… dicono che non ci sono soldi, ma poi per mandare tutto sto ambaradan di esercito qui su, li trovano!” Ah, oggi c’è una manifestazione No-Tav. “E’ l’anniversario: l’8 dicembre del 2005 c’era stata la presa di Venaus. Mi ieru.. capite il piemontese? “ Sì madama, vada tranquilla, che si vede che quando si infervora, l’italiano non le viene facile. E madama parte decisa e ‘nrabià: “Ero in prima fila, lì attaccata alle recinzioni, con il giubbetto giallo, e gliele abbiamo date a quelli, ma poi qualcuno ha detto basta, e non abbiam potuto fargli male: bisognava metterli in mutande e lasciarli lì al freddo, nel canalone…” La discussione si fa animata, la pensiamo tutti alla stessa maniera. In valle tutti la pensano alla stessa maniera. Lasciamo Fontana Barale, per scendere, tutti insieme: che è anche quello il bello della montagna della domenica, teste che ti accompagnano per un paio di tornanti, talvolta di più. Stavolta di più. E che passo madama! Alla faccia della pensionata, se ne frega del sentiero delle foglie, cade anche, ma va giù secca. E il marito non manca di precisare “Da giovane, ha vinto tutto quello che poteva vincere, faceva le maratone, nella squadra nazionale!” Lei prova a sviare il discorso, non ne vuole parlare, ma lui non la smette più. “L’è propi namurà” (è proprio innamorato). E quando hai finito di parlare di NoTav, tocca al prezzo della benzina, che la monovra Monti giusto ieri ha alzato di botto. “Ma mi ‘am catu an caval, vadu fe speisa cul caretin!” (Ma io mi compro un cavallo e vado a far spesa col carretto). Poi gli argomenti si alleggeriscono, “Ma come lo fai il tiramisù, con i savoiardi?” Eh sì, mica me lo farà con i pavesini? “Prova con i cantuccini, fantastico: i cantucci fan ‘na pippa ai savoiardi!”

Randagia, che complimenti madama, a lei le rogne fan ‘na pippa!

Langhe d’autunno: una tavolozza di colori caldi

Posted on Ottobre 26, 2011 by randagia

Autostrada deserta, ci siete solo voi. Voi e l’inquietante tutor. Tieni d’occhio il tachimetro, tra una battuta e l’altra. Torino-Savona, uscita marene Marene, poi fino a Cherasco, su quel tratto di autostrada che i cuneesi aspettano da anni, un po’ come la metro per i Torinesi: ce n’è un pezzo, ma non è chiaro fin dove porti. Ti infili i paesi sempre più piccoli: prima Monforte, poi Sinio. E con i paesi si rimpiccioliscono anche le strade. Guidi serena, ma in due mica sai se si passa. Un SUV ti sfreccia a fianco, i tuoi specchietti superano indenni un incontro ravvicinato con i suoi. Ora lo sai, in due si passa.
Sinio, un posto mai sentito, ma con un sacco di itinerari. Ne hai scelto uno a piedi, tra i vigneti di Serralunga. Parte dal B&B “Sole delle rive”, ben indicato appena arrivi in paese. Maurizio, il gestore, stupito che abbiate trovato su internet l’itinerario che propio lui aveva scritto, vi procura una cartina e si prodiga in indicazioni, che puntualmente non saprete seguire alla lettera. “Ma tranquilli, seguite LANGA BAROLO in direzione SERRALUNGA: è ben segnalato!” Certo, ben segnalato. Ogni tanto. Ogni tanto no. Pare non si sia voluto insistere con i cartelli per non dare fastidio ai proprietari dei vitigni. Ah però, socievoli!
Il panorama è splendido. Le colline sono una tavolozza di colori caldi. Filari rossi e gialli si alternano ordinati sulle colline, in sfumature da far invidia a Missoni. E dire che la settimana migliore dovrebbe essere la prossima.

Camminando tra i noccioleti, vien la voglia di raccoglierle. Qualcuno dubita.
– “Ma le nocciole sono commestibili anche non tostate?”
– “Non fosse che sei veneta, penserei che sei meridionale. Assaggia!”
Tostate piacciono di più, non c’è dubbio, ma schifo non fanno. E un sacco si riempie, tanto ormai la raccolta è finita, quel che trovate è vostro.
seguendo il percorso arrivate nel centro storico di Serralunga, dove non sono rare insegne di trattorie, cantine e produttori vari. “Giudice Marco Viticoltore”. E guarda questo, giudice, viticoltore, che fa tutto lui in questo paese? Ma a pensarci bene, Giudice deve essere il cognome. Visita al castello? Sì, ma prima i panini. A ciascuno il suo, coppa, prosciutto. No, oggi la frittata per tutti non l’hai fatta, ma in centro tavola, o meglio in centro piazza, condividiamo un mignon di rum direttamente da Cuba, il fondente con le nocciole per stare in tema, il fondente e basta perché vi piace. Un gruppo di ciclisti ha lo stesso programma, la birra al posto del rum, ma il concetto è lo stesso. Alla faccia dei veri sportivi.

“Raga, ho lasciato a casa la tessera musei, se si paga, io vi lascio andare e faccio la pennica!” Niente pennica, Massimiliano, un giovane volontario, vi guida nella visita. Il castello è nel suo periodo di prova: appena ristrutturato, aperto al pubblico tutti i giorni fono al 20 Novembre, poi si vedrà. Hanno fatto il bando per il custode, ma chi era stato selezionato ha rinunciato. “E come si fa a far domanda?” chiede l’amica disoccupata che già pregusta la dimora nobiliare. Un po’ isolato magari, ma non c’è isolamento che non si risolva con un buon libro e un vasetto di nutella, o almeno così sostiene l’aspirante custode. Niente, la cosa non va in porto.
Al pian terreno, la sala dei ricevimenti. Il bagno non c’è, è al primo piano e solo per i residenti. Sulla porta un cartello “Non utilizzabile”. E se qualcuno ha messo il cartello, vuol dire che qualcuno l’ha utilizzato. Complimenti.
Ultimo piano. Terrazza coperta. Da ogni finestra, un diverso scorcio di langa. Se hai la fortuna di capitare in una giornata tersa, si vede il Monviso. Oggi no.

Chissà se rimarrà aperto, o se sarà un’altra delle bellezze del Piemonte, tenuta chiusa per assenza di fondi. Con questo dubbio lasciate la vostra offerta nella cassetta, il vostro commento sul libro degli ospiti. Qualcuna è anche tentata di lasciare il numero a Massimiliano.

Dopo la pillola culturale, riprendete la falcata e non senza esitazioni e incroci sbagliati, tornate al B&B, dove Maurizio e Maria, vi offrono un caffè nella bella sala del loro rustico. Quattro chiacchiere, e quel raro gran senso dell’ospitalità, che riempe il cuore. Che fa pubblicità.

Sul sito www.coloridilanga.it sono disponibili tanti itinerari, a piedi, in bici e in auto.

Randagia, innamorata dei colori di langa

Un tranquillo weekend in altura

Posted on Settembre 17, 2011 by randagia

Voglia di rifugio. Prenoti con 15 giorni di anticipo, nell’unica valle in cui le previsioni del tempo daranno temporali per tutto il weekend. Cambi valle. Rifugio Alpetto, alle falde del Monviso. O meglio alle falde basse, perché alle falde falde c’è solo il Quintino Sella che con i suoi 90 posti letto non sai se è un albergo o un porto di mare in alta quota. L’Alpetto suona molto meglio. Soprattutto per chi poi così alpinista non è. Obbligatorio il sacco lenzuolo, null’altro. Certo, ma ti porti anche le scarpe di ricambio, che se ti fan male gli scarponi? La tuta e il pile, che se hai freddo coi pantaloncini? Quel bell’asciugamano in microfibra che fa anche da accappatoio, che se ti vuoi fare la doccia poi con cosa giri nel corridoio? E non lasci a casa “Passaggio in India” con le sue 355 pagine, che metti che ti annoi? Hai uno zaino che per l’interrail l’avevi fatto più piccolo, complimenti. Due indicazioni du google maps, e la cartina che un amico di buon cuore ti ha regalato per il compleanno, sperando che, prima o poi, tu la smetta di perderti. Si parte. Carichi la socia che il sole è già alto. “Randa, io ho fatto i panini ma li porti tu”. Eh beh, quelli erano i patti. Un, due, tre, eccoti in tangenziale. Guardi il retrovisore e ti prende un attacco di romanticismo “Vah che belle le montagne nello specchietto, il cielo è limpidissimo”. Ma se le montagne sono nello specchietto, significa che tra un po’ fai un frontale con gli ombrelloni: hai di nuovo preso la tangenziale al contrario, stai andando a Savona invece che a Pinerolo! Ma possibile che le uscite che hanno aggiunto dopo che hai preso la patente ancora non le hai imparate? E dire che non l’hai presa ieri! Vabbè, classica inversione e ringrazia che la tangenziale non si paga. Pinerolo, San Secondo di Pinerolo, Bricherasio, Barge, Paesana. A sinistra per Oncino. Ancora 10 km, l’ora e mezza di google maps è già diventata un due ore, e solo dopo due ore e mezza, la godereccia strada di montagna si trasforma in sterrato, con tanto di cartello “Parcheggio Alpetto”. Una casetta in pietre si intravede alla tua destra. Assomiglia molto alla foto del rifugio che avevi visto su internet. “Randa, vuoi mica che siamo arrivate al rifugio in macchina? Noooo, peggio dei milanesi!? No no, io mi vergogno, non entro, torno a casa”. Ma è un falso allarme. Parcheggiate e dovete ancora fare 700 metri di dislivello per il rifugio. Menomale. Menomale un corno, è l’una e fa un caldo becco. Ti carichi lo zaino di Mary Poppins, e dopo dieci metri, quando hai già più volte perso l’equilibro grazie al geniale carico che ti sei organizzata, ti chiedi se tutto fosse poi così necessario. Il sole picchia, dribbli le mucche e i segni del loro passaggio, mandando avanti la socia, che si sa, tu delle mucche hai paura. Fatichi per due ore e mezza, su una salita stimata da un’ora e tre quarti, e approdi ad un bel pianoro, attraversato dal fiume. All’orizzonte vedi la bandiera del rifugio. Bene, siesta! Dai si mangia, con i piedi a mollo. Tanto, dallo zaino di Mary escono le ciabatte per la doccia, che sono ottime per passeggiare nei fiumi. Verso le cinque decidi che, essendo in montagna e non a Laigueglia, sarebbe meglio rimettere gli scarponi e presentarsi al rifugio, mica che ti perdi il rancio. E canticchiando “Si vince e si perde, si pestano merde..” superi il pianoro e arrivi al rifugio. Via gli scarponi, sugli scaffali ciabatte per tutti: le crocs tarocche, e tu che te le sei portate da casa, garula! La camera, uno spettacolo: camera da 9, con letti a castello e romantico sottotetto. Senti la gente parlare in tedesco o con quell’accento forte che hai quasi dimenticato fosse il tuo. Neanche un meridionale, fa quasi impressione. E infatti l’accoglienza non è quella calorosa meridionale, ma quella tipica del muntagnin “Buona sera, ha la tessera CAI? Le faccio vedere la camera, si cena alle 19:30” e non sprechiamoci in convenevoli. Il minimo indispensabile della comunicazione. Poi se chiedi, il gestore, Sandro, gentilmente ti consiglia i meglio giri della zona. Ma devi chiedere, è ovvio. Vai a dormire alle nove, che chissà il libro cosa l’hai portato a fare. Domani si sale al passo del Gallarino (500 m di dislivello, ce la puoi fare) da dove si vede tutto l’arco alpino. In una giornata limpida poi, ti vedi il Cervino, il gruppo del Rosa e le rondini, che così in alto, non te le aspetti proprio. Le marmotte non le conti, e ti conquistano sempre: ciccie e agili come sono. O per lo meno così ti sembrano. Una lunga traversata su un ignobile sentiero piano e di pietre ti porta al Quintino Sella, pieno di gente, da cui scappi subito senza neanche prendere il caffè. Il ritorno è ancora lungo, il sentiero infinito . Scendi, lasciando un po’ di cuore per il panorama, e un po’ di madonne per quel ginocchio gigio che dopo due ore di discesa inizia a farsi sentire. Alle 17 togli finalmente gli scarponi, conti le bolle e sorridi, mentre piazzi tutto nel baule della tua fidata auto e ti rimetti in strada verso la città, con quella strana voglia di merenda sinoira.

Randagia, che non è più la merenda sinoria di una volta, né per il prezzo, né per il menu.

Lago di Monastero

Posted on Settembre 17, 2011 by randagia

Oh sì, cambiamo valle. Un’oretta di macchina, tutta statale, cosa vuoi che sia. Puntiamo su Chiaves, sopra a Lanzo. Fino a Lanzo ci sappiamo arrivare, più o meno visto che già al primo bivio “Lanzo o Ceres?” non siamo così pronti, ma la socia occhio di lince, scannerizza il cartello stradale che sembra una pagina di dizionario e individua Chiaves sotto la direzione Lanzo. Peccato che poi I cartelli non pullulino, quindi le proviamo tutte, per scoprire che, come spesso nella vita, la strada più semplice è quella giusta: non entrare a Lanzo centro, stanne fuori e persevera, anche se ti sembra di allontanarti troppo i cartelli per Chiaves ci sono, aspettali. Superi la piazza parcheggio del paese e prendi a sinistra in “Passo della Croce”, prosegui ancora, tenace, e arrivi al Colle della Croce (1125 slm), dove finalmente puoi lasciare la macchina e mettere gli scarponi. Ben segnalato inizia il SENTIERO DEI 3 RIFUGI, con segni rosso gialli e cartelli ogni tanto: sentiero 332, 3 ore e 30 minuti. Seeeeeeeeee, sti tempi è sempre Messner a scriverli, mai una volta che ci mettano i miei. Però chissene, ben segnalato. Vai nel boschetto di betulle! E inizi a cantare:

O pescator dell’onda mi peschi l’anellin?
Se io te lo percherò, tu cosa mi darai?
Ti darò una borsa d’oro con dentro dei milion…
Non voglio solo quello ma un bacin d’amor!
Andiamo in quel boschetto nessuno ci vedrà

Sembri conoscerla solo tu, ma è un ottimo spunto per far partire riflessioni sull’induzione alla prostituzione contenute nelle canzoni per bambini, insieme all’istigazione alla droga già perpretata da Pollon e la sua polverina. Se ne parli, vuol dire che hai ancora fiato.
Al primo bivio, i cartelli confermano che hai già percorso un’ora, stessa sensazione del tuo orologio, e delle tue gambe. Epperò, o sei in forma, o stavolta non era Messner a dare i tempi. L’altro cartello ti informa che mancano ancora due ore. Si ma, non erano 3,30? Dove è finita l’altra mezz’ora? Forse la gente si ferma qui a chiedersi dove è persa la mezz’ora, e intanto perde la mezz’ora. Si sale, il percorso è dato per panoramicissimo. Peccato che ci sia una foschia che non vedi a due metri. Scopri questa è anche chiamata la Valle degli Infelici, che il sole non lo vedono mai. Ah, beh. Saperlo prima. Arriviamo al lago, confermando di avere il passo del CAI di Lanzo, che si è sbattuto a mettere i cartelli. Si incrociano tre alpeggi, o rifugi, che sono alpeggi secolari, rimessi a nuovo di fresco. Ci sono alcune fontane strada facendo, ma sono nei cortili delle case con tanto di cartello “Proprietà privata”, quindi senza chiedere, non si beve. Il tempo non promette troppo bene, quindi mangiato il classico panino, si torna indietro, e ci si mette tanto quando a salire. Quasi sul finale, ci si può concedere una deviazione verso la chiesa di S. Giacomo, che non sarà tanto speciale in sé ma offre un panorama della valle che assumi, nei giorni non di nebbia, sia molto bello. Oggi era grigio. Grigio impeccabile, intellettuale e pessimo umore, come i grigi della Punto, ma tutti insieme.
Considera un totale di 6 ore di camminata tra andata e ritorno, per 800 metri di dislivello.

Randagia, che pessimo umore in montagna mai….

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