Trenta metri fan la differenza?

Le vie ferrate ti piacciono, non c’è dubbio. Hai una scalata stile bradipo, i tuoi cambi di moschettone sembrano sponsorizzati da SlowFood, ma ti piace. Neve bassa ma sole caldo: è stagione di ferrate. Come quando piove è stagione di funghi. Già, ma sempre lì attaccata al cavo, quel poco di fiato che ti eri fatta camminando è andato via. E osi dirlo. Osi dirlo a chi ti ha appena proposto la ferrata per il giorno dopo, che tra lo stupito e lo sdegnato ti chiede “E non puoi andare a correre?” E certo, tutti possono. Servono solo un paio di scarpe da ginnastica. E la voglia. Hai solo le prime, ma ti rassegni: vai a correre alla Pellerina. Sei solo tu, qualche lampione e qualche spacciatore. Forse hai sbagliato orario: aspetta un po’ e gli spacciatori saranno di più.
Viene mattina, ritrovo 7:30. “Randa, se per te è troppo presto, possiamo fare 7:35.” E anche qui, non sta scherzando. Un uomo dalla camicia a quadri, non scherza su queste cose. Destinazione Ferrata di Rocca Candelera, sopra Usseglio. I commenti di chi già l’ha fatta lasciano intuire che non sarà facile trovare l’attacco: la ferrata non è ancora omologata, ed il sentiero non è ben segnalato, anzi non è segnalato proprio, fatta eccezione per una bacheca e due cartelli. Beh ma, volevi fare fiato? Eccoti accontentata: questa prima oretta di scarpinata su bosco in forte pendenza fa al caso tuo. Peccato che poi, parti già “scioppa”. Durante la vostra ricerca incrociate una coppia di pensionati con le stesse intenzioni, ma con tante energie da impiegare in imprecazioni e classiche discussioni moglie-marito. Tra una imprecazione loro e un sorriso vostro, l’attacco vero e proprio non lo trovate: salite all’intermedio come fosse una seggiovia. La pensionata parte come una fusetta, lui non ti sembra starle dietro. Intanto vanno più di te, sicuro. La ferrata sale, e sale bene, tanti scalini dove servono, ma anche tanta pietra, che fa più piacere. Passi corti, per non stancarti. “Occhio Randa, qui è un pelino strapiombante!”. Un pelino. Un pelino di Jeti!
In cima si scambiano due parole con la ritrovata coppia, che ci stava dando giù di vino:
“Vuiaiute steve si?” chiediamo (“Voi state qui?”).
“No, ades caluma giù” ci rispondono (“No, adesso scendiamo”).
Il vino doveva essere buono, visto che noi intendevamo solo chiedere se erano di queste parti…
Si scende insieme seguendo i bollini rossi da caccia al tesoro, mentre si cerca di mantenere l’equilibrio sull’erba viscida del pendio. Tu che i bastoncini non li hai portati perché nonostante la recensione lo consigliasse, hai pensato “meglio una culata in discesa che due stecche negli occhi in salita”. Ecco ogni tanto pensare non conviene.
Si finisce alla Furnasa, ad Usseglio, a mangiar carne cruda generosa di aglio, gnocchi che finalmente san di patata con toma che sa di toma, tracannando un buon dolcetto e chiacchierando. Gli occhi del pensionato prendono vita solo se si parla di montagna, qualunque deviazione di argomento lo vede assente. E anche la montagna, mica tutta.
“L’Eiger in Svizzera? Da giovane dicevo che l’avrei fatto da vecchio, e adesso son troppo vecchio per farlo.. Perché non l’ho mai fatto? Dai, non era neanche un 4000 non valeva la pena.” Ah già, come dargli torto era solo 3970 metri, pensa se han sbagliato a misurarlo. E poi scopri che questo “pensionato” è quel Franco Bianco che ha fondato il Club dei 4000, scalando 80 delle 82 vette censite. Brau, Franco! Tu che mai avresti detto. E ti vien da sorridere quando racconta che adesso che fa solo più cose facili, che si trova bene con il cordino corto, che voi non sapete la brutta sensazione di quando le braccia non ce la fanno più, che si cadrebbe giù “mol cume na merda”. Tu delle 82 ne hai fatte 0, ma quella brutta sensazione di quando le braccia non ce la fanno più la conosci benissimo. Non glielo dici però, o distoglierebbe lo sguardo.

Randagia, che trenta metri fan la differenza…