Patagonia: Puerto Madryn
20 Novembre, Penisola Valdes con auto a noleggio. Guidando sulla Costanera, il lungo mare, avvistiamo una forma grigia e grossa quasi a riva. Un relitto, lo diceva la guida. Si ma i relitti si muovono? Un po’ si vede, un po’ non si vede. Un po’ sbuffa: alla faccia del relitto, questa è una balena! In un attimo ci buttiamo verso la spiagga, quell’animale è enorme, e l’emozione nel vederla così di sorpresa pure, viene da trattenere il fiato. Emerge, poi scende, con un colpo di coda. E salta, fuori dall’acqua. Ancora nessuno si è spiegato perché le balene saltino: forse per mitigare la temperatura corporea, forse per sgranchirsi, o forse solo perché si divertono, un po’ come l’uomo ad arrampicare. Questa balena è la prima di una lunga serie, e ancora non siamo arrivati alla penisola, siamo a Puerto Madryn. Qui il lungo molo consente ottimi avvistamenti, tanto che eviteremo le affollatissime ed antieconomiche escursioni in barca che partono da Puerto Piramides. Certo, non avessimo dimenticato a casa il binocolo saremmo più felici e meno pirla, ma nessuno è perfetto.
Paghiamo il nostro accesso all’isola (260 pesos a testa) e capiamo ben presto che ne vale la pena. Sulle strade sterrate, di ghiaia, “ripio”, si incrociano più animali che automobili. I turisti procedono con cautela, rispettando il limite dei 60 chilometri all’ora, i minibus e i pullmann del loco, invece li raddoppiano: ma si sa, loro hanno più ruote.
Numerosi sono i guanachi, della famiglia degli alpaca, che si muovono soli o in branco. Più rari i choique, un emù, razza interessante, in cui il maschio cova le uova di tutte le femmine con cui si è divertito, ed infatti noi ne vediamo uno a spasso con i suoi sedici piccoli. I mara ci sembrano quasi creature mitologiche: mezzi cane e mezzi lepre. Anche se Wikipedia li definisce banalmente dei roditori noti come “lepre della patagonia”, lasciateci sognare.
Ci fermiamo ad ammirare le acque azzurre di Caleta Valdes e i leoni marini che giocano sulla spiaggia, non verrei più via “Ancora cinque minuti, quando ci ricapita una cosa così?”. “Spero domani”, mi risponde lui, ma mi regala ancora quei cinque minuti.
Proseguendo, qualcosa ci attraversa la strada. E’ lontano, è piccolo, è lento: è un pinguino di Magellano! Il primo pinguino non si scorda mai: mi catapulto giù dalla macchina e lo tempesto di foto, neanche fosse Brad Pitt. Lui non si scompone, attraversa e prosegue. In breve raggiungiamo la Pinguinera: una montagnola vicino all’acqua dove diverse coppie di pinguini, una delle poche razze monogame, ha bucherellato la terra per costruirsi casa, vista mare. Si vede che anche loro fanno i mutui perchè ogni coppia torna allo stesso nido ogni anno. Il vento tira forte, i più pigri si riparano nelle tane i più impavidi si asciugano al vento, gonfiando i polmoni per far sentire di tanto in tanto la loro voce.
E’ solo un assaggio perchè spostandoci di qualche centinaio di chilometri su una dritta e infinita strada di ripio, arriviamo a Punta Tombo: una colonia con 300.000 pinguini. A Punta Tombo, si cammina su quattro chilometri di passerelle, praticamente in mezzo a loro. Questo è il periodo di apertura delle uova: qualcuno è ancora chiuso, qualcuno è già rotto. Si vedono le mamme che danno da mangiare ai piccoli, oppure sono i papà? Difficile distingure. Qualcuno va a lavarsi in mare, a giocare o a fare ginnastica e poi pian piano ripasseggia fino alla tana. E tu li segui, con lo sguardo e con le gambe.