No thanks, no sorry
alle 7. E le chiamano vacanze? Colazione tranquilla. E poi via. Si
trotta. Un forte. Un City Palace. Una Haveli. Un massaggio. Un museo
di auto. Ma quello ce l’ho a Torino, devo vederlo anche qui? Sì,
la risposta è sempre sì.
Il vero turista non si lascia mai sfuggire niente. Finché non lo
fermano per strada e chiedono “Ma perché voi turisti correte
sempre a vedere palazzi e forti e pensate sia più importante che fermarsi a parlare con i locali?”. Bella domanda. E me lo chiedo anche io. Peccato che sia la domanda standard per
fermare il turista e propinargli una delle belle truffe che solo gli
indiani sanno fare. Ma a sto giro siamo ottimisti, fermiamoci a
parlare. Così impari a far volare un aquilone, o almeno ci provi. Ti godi un bel
giro in moto, che sogni dal primo giorno in India, e le chiacchierate
al tramonto. Che qui sono un must. E nelle chiacchierate ti spiegano
l’amicizia a modo loro. “No
thanks, no sorry”.
Se siamo amici e mi fai qualcosa che mi fa piacere, non ho bisogno di
dirti grazie, già lo sai che son contenta. Se siamo amici e mi
pianti una rogna, non hai bisogno di chiedermi scusa: già lo so che
ti spiace. Come diceva la nonna, le scuse non servono a niente. Ma
lei ai grazie ci teneva. E pur’io. No
thanks, no sorry:
un’amicizia no
frills. Figo.
Un po’ come a me manda in bestia sbaciucchiarsi tutte le volte che
ci si vede col branco: ma non basta un ciao? Tanto lo so che sei
felice di vedermi. E nel caso tu non lo fossi, il bacio sarebbe
pure da Giuda. Gradazioni diverse. Un amico italianissimo una volta
mi ha detto “Non ringraziarmi per le cose che mi piace fare”:
mica facile, quando sei abituato a farlo. Perché è di abitudine che stai parlando, o condizionamento sociale, come direbbero gli intellettuali.
Amicizia
con tutte le sue sfumature. Con la solita faccia da bronzo chiedo ad
uno dei nostri accompagnatori se c’è
un bagno, perché nei momenti del bisogno la socia smette di botto di
parlare inglese. I bagni non pullulano, si finisce a casa dei locali.
La madre ci accoglie, e chai
per tutti! Figo. Porta il suo bel vassoietto, tutti ci serviamo con
mille thanks,
a dimostrare che non abbiamo capito niente. Il figlio no. Lui sta
scrivendo il suo sms, non si può distrarre. Ma a chi scrive? Alla Jolie? La madre rimane lì,
curva con il vassoio ad aspettare che la creatura si degni di
considerarla. Sms finito, cellulare in tasca, prende la sua tazza.
Non dice grazie, ovvio. Non sorride, non un minimo cenno. Prende e
beve. La donna sorride ed esce. Un calcio sotto il vassoio avrei
tirato, così lo finisci sto sms! E per essere faccia di bronzo fino in fondo, me
ne esco con un “Oh, ma è tua madre o la tua serva? Stava
aspettando solo te e tu niente…” Che io i fatti miei, mai.
Lapalissiana la risposta: “Perché? Certo che aspetta, sa che
adoro il suo chai,
mica glielo devo dire tutte le volte: è mia madre, mica è
scema”. Uno a zero palla al centro.
Randagia,
che no thanks, no sorry, e se anche eviti di baciarmi non è male.