Un sentiero che non è un semplice sentiero unisce la Val Masino con la Valmalenco: è il Sentiero Roma. Per chi non è pratico di valli di nicchia, siamo in Valtellina e per chi non è pratico di valli proprio, siamo nella terra dei pizzoccheri. Per chi non sa cosa siano i pizzoccheri non ho parole, ma continuando a leggere se ne farà un’idea.

Nonostante il nome, il Sentiero Roma non porta alla capitale: potrebbe piuttosto essere un omaggio alla capitale stessa, visto il periodo in cui nasce, nel pieno del ventennio fascista.
“Il Cai di Milano, proprietario della maggior parte dei rifugi della Val Masino pensò, nel 1928, di creare un itinerario che permettesse ai frequentatori della Valle di potersi spostare da un rifugio all’altro senza dover scendere a valle. Nacque così una via d’alta quota che mise in contatto tra loro il Rifugio Gianetti, il Rifugio Allievi oggi Bonacossa, il Rifugio Ponti e successivamente anche il Rifugio Omio.” (fonte cai morbegno).

Il Sentiero Roma era nella mia lista dei trekking-desideri da un po’ e finalmente il CAI Uget di Torino lo organizza, con qualche variante. Il percorso classico richiede quattro giorni, qui invece e’ proposto con alcune varianti che lo portano a toccare i sette giorni: con una deviazione iniziale e una sul finale.


Questo il programma teorico:
Bagni di Masino (1170) – Rifugio Omio (2100)
Dislivello in salita 1100 m, tempo 4 h., difficoltà E
Rifugio Omio (2100) – Rif Brasca (1330)
Dislivello in salita 500 m, tempo 6h, difficoltà EEA
Rifugio Brasca (1330) – Rifugio Gianetti (2534)
Dislivello 1200 m, tempo 6h, difficoltà EE.
Rifugio Gianetti (2534) – Rifugio Allievi Bonacossa (2384)
Dislivello 600 m, tempo 6h, difficoltà EEA.
Rifugio Allievi Bonacossa (2384) -Rifugio Ponti (2559)
Dislivello 1100 m, tempo 8h, difficoltà EE/EEA.
Rifugio Ponti (2559) – Rifugio Bosio (2086)
Salita 500 m, tempo 4h, difficoltà EEA.
Rifugio Bosio (2086) – Chiesa ValMalenco

Bagni di Masino – la partenza

Giorno1: Bagni di Masino (1170) – Rifugio Omio (2100)
Già dal primo giorno la sorte modifica il programma: il bus si incastra in un tornante e preferisce lasciarci a piedi sul caldo asfalto di San Martino, sostenendo di essere troppo ingombrante per salire queste stradine. Vabbe’, noi siamo qui per camminare e camminiamo ma non rimaniamo insensibili al clacson della navetta che collega San Martino con Bagni che suona ad ogni tornante: e’ grande quanto il nostro bus ma non ha problemi a salire…

I primi passi con dieci chili sulla schiena sono sempre i piu’ duri, se poi sotto i piedi hai l’asfalto e sopra la testa il sole di mezzogiorno, sai che meraviglia? Presto incontriamo una mulattiera e sorridiamo di più. Pausa pranzo ai poveri Bagni di Masino, quelli che tempo fa erano state delle signore terme. Qualcuno ha i panini, qualcuno le barrette, qualcuno gli avanzi del frigo. Con noi un gruppo di scout siciliani e loro si sa, hanno ogni ben di Dio: su un pietrone affettano salami e pagnotte grosse quanto cuscini. Satolli, riprendiamo a salire nel bosco per poi uscirne alle solite quote e in breve raggiungere il Rifugio Omio (2.100 metri), in tutto tre orette.

Salendo al Rifugio Omio da Bagni di Masino

Al tramonto scambiamo qualche parola con i ragazzi che lavorano al rifugio e impariamo le cime della zona. “Quella e’ Punta Fiorelli, la normale e’ un 7+ non protetto, e’ la meno ripetuta della zona, non trovo nessuno abbastanza pazzo da farla con me”. Ci dice un giovane biondino mentre mette in ordine la corda che e’ appena andato a recuperare in parete, abbandonata da qualcuno che non aveva il tempo o i mezzi per liberarla.

Alcuni del nostro gruppo arrampicano, ma qui è un’altra storia. Franco mi dice che se la cava fino al 6a/6b da primo, ma qui non serve: qui probabilmente la b di 6b sta per “base”, di più facile non si trova…
Ci presenta anche La Sfinge: un’altra bella paretona al cui cospetto saremo domani.

“Signori e signore, la Sfinge!”

Niente cime per noi, solo colli e bocchette: questa la regola non scritta del Sentiero Roma.
Di fianco al rifugio c’è un bivacco: il russatore per eccellenza si offre di dormire lì per risparmiarci tutti. Un po’ ci dispiace, un po’ no.

Giorno 2: Rifugio Omio (2100m) – Rif Brasca (1330m)

Il giorno successivo partiamo sapendo che ci aspettano sei ore di cammino: si devia verso il Rifugio Brasca, in Val Codera. In pratica invece di andare diretti verso il rifugio Gianetti in sole 7 ore come il Sentiero Roma consiglia, decidiamo di arrivarci passando dal Brasca, in due giorni. Per chi ha tempo va benissimo, i posti sono belli perchè non starci di più?

I muretto a secco del sentiero che dal Rifugio Omio sale al Passo del Ligoncio
Tratto attrezzato in discesa dal Passo del Ligoncio

Saliamo lungo un canalone caratterizzato da muretti a secco, per poi districarsi tra alcune formazioni rocciose fino al passo del Ligoncio (2575 m). Da questo stretto intaglio nella roccia iniziamo la discesa: la cengia esposta è ben attrezzata e ci si assicura per la discesa.

Al Bivacco Valli (1900 m) incontriamo un altro gruppo di scout, siciliani come quelli di ieri. Continua la discesa della Val Codera verso il Rifugio Brasca, mentre iniziamo a preoccuparci della pioggia che sta per arrivare, cediamo di tanto in tanto il passo a qualche braga corta blu che sta salendo al bivacco per campeggiare per la notte, qualche generazione di differenza.
La cena del Rifugio Brasca dona un po’ di ottimismo a tutti: pizzoccheri fatti in casa. Questa pasta di grano saraceno di forma simile a delle grasse tagliatelle, condita con abbondanza di burro e toma e qualche foglietta di cavolo e burro e toma e burro e toma ha un gusto davvero originale, tutti intenzionati a chiedere il bis, che ci viene negato non per cattiveria del titolare, ma perché ci sono i ragazzi. I ragazzi? I dannati scout, i soliti raccomandati dai preti! Il gestore ci chiede davvero scusa,
dice che è la prima volta che non da il bis, ma davvero non bastavano… sarà vero? Chissà.

Il Rifugio Gianetti


Giorno 3: Rifugio Brasca (1330m) – Rifugio Gianetti (2534 m)
Le previsioni già ieri non ci davano scampo, e oggi sono purtroppo confermate: piove al mattino, piove al pomeriggio. Partiamo bardati ognuno a modo suo: chi con le mantelline, chi con i sovrapantaloni e chi in pantaloncini. Il sentiero nel bosco non è neanche male, la pioggia si sente poco ma si sa, i boschi ad una certa quota finiscono: risaliamo un canalino sfasciumoso, usando le mani solo negli ultimi dieci metri. Con la pioggia e la quota il freddo inizia a farsi sentire: prima gonfiano le
dita che neanche riesci più a piegarle e i guanti estivi non fanno miracoli, poi iniziano a tremare le gambe, i denti battono giaà da un pezzo. Al passo di Barbacan (2588 m) lo sguardo potrebbe spaziare sul vallone successivo, ma in realtà non si vede nulla, se non lo stretto passaggio per scendere. Le gambe tremano visibilmente e dovrei scendere disarrampicando? Come, se non riesco a controllare nè le gambe nè le braccia? “Tranquilla che quando scendi i muscoli rispondono, tranquilla è normale”.
Tranquilla un corno. Normale un corno. Qualcuno suggerisce i metodi di Bonatti per combattere il freddo, ma qui nessuno ha neanche lontanamente la stoffa di Bonatti e continuiamo a tremare sotto la pioggerella di agosto.

Effettivamente però nel momento del bisogno le gambe reggono e le braccia pure: ringraziamo le catene, cui ci assicuriamo con moschettoni e denti e scendiamo sulle rocce bagnate, ma non scivolose. Man mano che si perde quota il vento cala e con lui
il freddo, ma di smettere di piovere non se ne parla.


Siamo in gita sociale Cai, tutti con imbrago e longe, ma se uno andasse per i fatti propri e avesse notevole dimestichezza e sicurezza in montagna, potrebbe forse risparmiarsi quel paio di chili di zavorra. Anche se la salita verso il passo nonostante il dislivello è sembrata veloce, il traverso in piano finale è stato eterno: anche le pietre spioventi ci sembrano il tetto del rifugio…
Chi prima chi dopo, siamo arrivati tutti al Rifugio Gianetti, tutti fradici. Questa è la base per chi intende salire il pizzo Badile, ma con questo meteo non ci sono alpinisti in giro.


Giorno 4: Rifugio Gianetti (2534 m) – Rifugio Allievi (2384 m)
Seguiamo il sentiero ufficiale in direzione del Passo Camerozzo (2766 m) con il solito gioco di catene. I tratti esposti non sono esattamente da brivido ma sono divertenti. proseguiamo verso il passo Qualido (2647 m) e il passo Averta (2551 m), scendendo verso il Rifugio Allievi Bonacossa (2384 m).

A poca distanza dal Rifugio Gianetti

Verso fine giornata siamo alle solite: i velocisti scalpitano per arrivare fregandosene di aspettare gli ultimi, gli ultimi arrancano come riescono e cercano di portare a termine quella che per loro è un’impresa epica con percorsi esposti e in quota, ma che per gli altri è una tappa dal dislivello sotto il minimo sindacale: 500 metri con un canalino di sfasciumi da risalire e qualche cengetta. Cengetta, perchè per i veterani esistono le cengie non esistono, esistono solo le cengiette.

Dopo cena, lezione di matematica: se la tappa di oggi che era di 6 ore ne ha richieste 9, quella di domani che è di 8 ne richiederà 12? Per fortuna non piove e le giornate sono ancora lunghe, la prudenza consiglia quindi di partire presto domani: sveglia alle cinque, in modo che tutti abbiano il tempo di arrivare. Sono queste le esperienze che rafforzano l’unità del gruppo: i tranquilli non riescono a comprendere perchè sia necessario partire così presto, i velocisti invece si chiedono quale sia la meta, perché per loro solo un quattromila giustificherebbe la sveglia così presto…

Giorno 5: Rifugio Allievi – Rifugio Ponti (2559 m)
Non so se quella di oggi sia la tappa tecnicamente più difficile, ma sicuramente è quella più spettacolare. Saliamo verso il passo del Torrone (2508 m) e quando c’è un passo, ci sono le catene. La marcia viene interrotta da un altolà del capogita di chiusura: “Abbiamo una ragazza in difficoltà, dobbiamo alleggerirle lo zaino”. Sono sempre sensibile a queste frasi, ricordo la volta che l’hanno alleggerito a me (o erano le volte?). E’ una ragazza del corso di escursionismo, alle prime armi un po’ di aiuto se lo merita, dai. Ma giuda faus, va bene portarsi tante barrette, ma anche le confezioni di cartone? E le nocciole tostate con tanto di cartellino di certificato DOP? Ma cosa insegnano al corso di escursionismo, a uscire con il pedigree? Il prossimo anno mi offro per tenere la lezione “Cosa metto nello zaino per un trekking itinerante”, anzi “Cosa NON metto”. Le nocciole devono essere buone però, meglio se le carichi qualcuno meno goloso di me, io prendo le maglie. Le maglie “plurale”? Ommiodio. Ma il peggio non era toccato a me. Il buon capogita si era già fatto carico delle scarpe da sera, sulle quali solo successivamente commenterà “Questo è un atto irriguardoso verso la tua schiena che ha provato a portarle e verso la mia che le ha effettivamente portate: in rifugio ci sono le pantofole, non era il caso di scegliere le
scarpe più pesanti dell’armadio e portarsele dietro” . La tecnica dello zaino si raffina di anno in anno, anche se qui potrebbe servire almeno un decennio. Ricordo però un’amica che aveva lasciato a casa i ramponi per lasciare spazio alla trousse nello zaino: nel tempo ha preso un passo nel camminare e un’abilità nel comporre lo zaino invidiabili, quindi c’è speranza per tutti.
Qualche battuta, qualche risata e lo zaino è ripartito sulle spalle dei volenterosi, molti ma non tutti. “Che se le porti le sue robe, come io mi porto le mie!”. Ah, che bella la solidarietà in montagna.

Che vista dal passo di Cameraccio..

Oggi tocca ai nevai, o nevaietti come direbbero i veterani: non servono i ramponi, la neve è molle e non sono molto ripidi. Lo spettacolo dal passo di Cameraccio (2950 m) ci ripaga della fatica, e con lui anche le nocciole tostate citate prima: vengono quasi equamente distribuite nel gruppo, con buona pace della proprietaria. Lungo la discesa incontriamo il famoso bivacco Kima (2750 m) oggetto del popolare Kima Trail. Il bivacco all’esterno è una evidente chiazza bianca e rossa, da dentro sembra un vero chalet, con tanto di provviste alimentali. La gita potrebbe terminare qui se solo fossimo disposti a dormire un po’ più stretti. E invece no, si prosegue alla volta della Bocchetta Roma (2894 m) : le ultime catene della giornata.
Qui viene dato il via libera ai velocisti: che scendano al Rifugio Ponti ad avvisare che noi prima o poi si arriva. E’ una scusa, ma li rende felici. Qualcuno di loro aggiunge ancora la sgambata serale in retro: arrivato al rifugio lascia lo zaino e ci viene incontro e recuperare quello dei più stanchi.


La parte difficile è finita, domani giornata più breve e poi rientro. In realtà la tappa di domani è solo mezza tappa, il sentiero prevederebbe una tappa sola per la discesa diretta a Chiesa Valmalenco ma chissenefrega, almeno una volta, ci piacerebbe arrivare presto in rifugio e magari con il sole!


Giorno 6: Rifugio Ponti – Rifugio Bosio (2086 m)
Saliamo al passo di Corna Rossa (2838 m), giochiamo con le solite catene. Ormai quasi nessuno ha più voglia di mettere l’imbrago, ci si attacca come scimmie alle catene e via, cercando di non farsi cogliere in flagrante dal capogita, meglio confessarlo poi scrivendo la relazione. Fa effetto passare dal Rifugio Desio totalmente abbandonato: cosa sarebbe costato mantenerlo in uso? Gode di una
posizione spettacolare.

Le cengette lasciano spazio alla pietraietta e a un bellissimo tratto che sa di labirinto: rocce più grandi di noi creano insenature e passaggi degni di uno speleo.

Il labirinto di pietre

Un laghetto bucolico suggerirebbe la pausa pranzo prima del rifugio, ma il cielo grigio non è d’accordo. Come previsto per pranzo siamo al Rifugio Bosio e poi relax. Il Rifugio Bosio è meta dei turisti della giornata, chi fa il bagno nel fiume, chi fa volare il drone, chi passeggia con il cane…
Ci hanno lasciato una camerata all’ultimo piano, sottotetto in legno. Alcuni posti, talmente sotto il tetto da avere una trave nello stomaco: tutti insieme e russata libera per il gran finale!

Un laghetto bucolico suggerirebbe la pausa pranzo prima del rifugio, ma il cielo grigio non è d’accordo. Come previsto per pranzo siamo al Rifugio Bosio e poi relax. Il Rifugio Bosio è meta dei turisti della giornata, chi fa il bagno nel fiume, chi fa volare il drone, chi passeggia con il cane…
Ci hanno lasciato una camerata all’ultimo piano, sottotetto in legno. Alcuni posti, talmente sotto il tetto da avere una trave nello stomaco: tutti insieme e russata libera per il gran finale!


Rifugio Bosio (2086 m) – Chiesa Valmalenco
Con le informazioni raccolte ieri grazie ai local la meta è chiara: una macelleria di Chiesa per comprare la bresaola. E’ con grande motivazione quindi che scendiamo lungo la sterrata che attraversa prati verdi e casette da Heidi. E’ domenica, arriviamo in paese che è ora di messa e con religiosa pazienza aspettiamo che finisca per chiedere se la sagrestia può ospitare i nostri zaini mentre andiamo a spasso. Così ripartiamo, più leggeri verso le commissioni di fine gita. Qualcuno
si cerca un bar per la meritata birra, qualcuno compra pane, birra e affettati e va alla ricerca di una panchina per celebrare la fine di un bel trekking.

Una discesa tra prati e lamponi verso Chiesa Valmalenco


Per chi volesse approfondire:

La dettagliata relazione di Marco sul suo SentieroRoma su Cai Uget Notizie di Luglio 2017.

Uno dei siti con più informazioni: http://www.paesidivaltellina.it/