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Mangiare a Lampedusa

Posted on Agosto 7, 2011 by randagia

Spiagge Lampedusane

Posted on Agosto 4, 2011 by randagia

Mutazione augurale

Posted on Luglio 16, 2011 by randagia

8 Luglio 1982. Tua madre ti annuncia:“Bambin, una lettera per te”. La apri. Paperina soffia sulla sua torta. Caratteri cubitali e coloratissimi, scritti probabilmente con i Carioca. O le poste funzionano alla grande, o la tua compagna di scuola si è mossa in discreto anticipo.

16 Luglio 1990. Driin Driin. Ti precipiti al telefono e alzi la cornetta.
-Pronto?
-Auguri vecchiona!
-Chi parla?
-Sono Laura non mi riconosci?!
Chiacchierate a lungo, finchè tuo padre decide di salvare la famiglia della tua amica dal lastrico e ti chiede di mettere giù prima che arrivi il prossimo, di compleanno.

16 Luglio 1998. Tiritin. Il display si illumina, “mamma”. “Ciao Bambin, auguri!”. Non si capisce come, gli anni passano, ma sempre Bambin ti chiama. Tiritin. Il display si illumina, “Laura”. Il gioco del chi parla non si può più fare. Fate due chiacchiare, non vi sentivate da un po’. Tiritin “Luca”. Quel figo di Luca. Due battute, almeno stavolta ha la scusa buona per chiederti di uscire, vedi che esistono i ragazzi che si ricorda le date?

16 Luglio 2008. TocToc. TocToc. TocToc. I nomi si avvicendano di fianco alla bustina, sul display perennemente illuminato. Le telefonate, solo da tua madre e quel paio di amici veri.

16 Luglio 2010. TocToc. Il display si illumina con qualche SMS di auguri. Su Facebook, la bacheca è piena. E tutti gli uomini dell’era facebook hanno miracolosamente iniziato a ricordarsi le date. Le telefonate, solo da tua madre e quel paio di amici veri.

16 Luglio 2011. TocToc. Bacheca piena. Le telefonate, solo da quel paio di amici veri. Tua madre, pensionata in perenne vacanza, è all’estero, e telefonare “a custa”.

randagia, al giro di ruota

Signor Enrico

Posted on Luglio 3, 2011 by randagia

Già quando sei all’ASL non ti stai propriamente divertendo, ma quando esci e vedi quel foglietto che sa di multa sotto il tergi, ti vengono le espressioni meno femminili. Cosa avrai sbagliato, stavolta? Prendi e leggi:
“Non ho potuto fare a meno di notare la sua luce, il suo viso sfiorato da pallidi raggi di sole che mi incanta con la sua fragile tenera serità di fanciulla in fiore.
Sig. Enrico 3921234567”

Ti guardi intorno, niente. Uno spasimante. Uno spasimante che ti dà del lei? Meglio una multa. Rileggi: ma dove li avrà visti i pallidi raggi di sole? Ci son quaranta gradi e si schiatta… fanciulla in fiore? Io che intravedo i quaranta? Un bocciolo proprio. Ma Signor Enrico, che stronzate scrive? Guardi che ha sbagliato macchina. Adesso lo chiami, e glielo dici, che si ride un po’. Intanto rileggi. Riguardi. Ma questo è fatto in serie: è un biglietto fotocopiato! Che fa, Signor Enrico? Piglia per il culo? Piano piano inizi a capire: questo è un poverello che sta qui al parcheggio, e appena una donna da sola parcheggia, sia una 18enne in fiore, o una vecchia megera, lui PLAP! molla giù il biglietto sotto il tergi. Per la legge dei grandi numeri, vuoi che qualcuna non ci caschi? Magari qualcuna con qualche diottria in meno che non coglie il trucco della fotocopia …

Arrivi a casa, leggi i messaggi sulla chat:
Fabio, 21 anni:“Buongiorno! Mi chiamo Fabio, spero di non disturbarla!
..Sicuramente si starà chiedendo: “Chissà che diavolo vuole questo gagnetto da me!?!”

Più che altro ti chiedi che diavolo è quest’epidemia del Lei, che avrebbe fatto tanto piacere a tua nonna, che non c’è più. Come il Lei, appunto.

Randagia, che a volte ritornano

Eppure qualcuno nega

Posted on Giugno 18, 2011 by randagia

Un binario varca un arco e si insinua nel nulla. Termina in una stazione senza nome, una vasta banchina senza stazione. I passeggeri hanno regolarmente comprato il biglietto. Sulle loro valigie, riempite con una frettolosa ma accurata selezione di oggetti di valore, hanno scritto nome, cognome, e città di provenienza. Come i bambini che partono per la colonia, ma bambini non sono, non solo. Su quel treno non si contano le soste, non si contano le attese, non ci sono orari da rispettare, ma quel treno prima o poi arriva, come la morte. I vagoni di prima classe non sono né in testa, né in coda, neanche quelli di seconda. Esiste solo la terza, dolore e spavento. Capolinea. Tutti scendono su quella banchina senza stazione, dove non ci sono ragazze che aspettano trepidanti i fidanzati, non ci sono madri in appressione che aspettano i figli che tornano a casa, non ci sono amici in festa: ci sono sconosciuti mandati a rincuorare i nuovi arrivati “Non preoccupatevi, si deve lavorare ma si vive!”.
Fermi sulla banchina, donne a destra, uomini a sinistra. Gli abili al lavoro proseguono di qua, gli altri di là. Il lavoro rende liberi. Arbeit macht frei. Un padre di famiglia giovane e forte, di qua. La moglie magra e minuta, dai begli occhi tristi, di là, dove un vecchio silenzioso e solo con il bastone, un ragazzo storpio, e tanti altri, già attendono.
L’igiene è importante. Giusto. Prima di una doccia, ci si spoglia. Giusto. Prima di una doccia, ci si rasa i capelli. Non proprio giusto. Nella sala docce, non si vedono rubinetti. Due lucernai in alto. Da lì inizia a entrare il gas. Da lì iniziano a finire le vite di chi ha la colpa di essere ebreo, o magari zingaro, o solo di essere stato al posto sbagliato al momento sbagliato.
Tutto questo vedi quando entri a Auschwitz-Birkenau, mentri senti lo stomaco stringersi, che non sai bene cosa voglia dire, ma si stringe. Ti senti fuori luogo tu, con il tuo ridicolo zaino e la tua macchina foto. La ragazza spagnola invece sembra a suo agio mentre sorridente si fa scattare una foto su quel binario. Sullo sfondo le linee perfettamente ordinate dei resti di decine di baracche, quello che ancora rimane nostante il tentativo dei nazisti di cancellare tutto. Lei sorride e il fidanzato scatta la foto, per l’album del “io c’ero”. Tu ti chiedi quanta gente lì, proprio lì, dove lei sta poggiando il suo spavaldo sandalo Camper, abbia esalato l’ultimo respiro. Credi che un numero a tre cifre non basti. La guida te lo conferma. Circa un milione di vittime, inizialmente solo polacchi, poi da tutta Europa, anche italiani. Ma gli ebrei italiani qui erano pochi, perchè gli italiani “erano bravi e nascondevano gli ebrei”. Noi a fregare le leggi, siam sempre i primi, e non è detto poi che sia proprio sbagliato. La distesa è enorme, recintata da reti di filo spinato, ora senza corrente. E ti rifai la stessa domanda: chissà quanti hanno cercato e trovato la fine, buttandosi contro quei fili. A occhio adesso hai la risposta.
A Birkenau, delle baracche rimangono solo i camini, di cemento. In fila. Ad Auschwitz rimangono anche gli edifici, i block. Uffici dove tutto veniva meticolasemente registrato, dai biglietti del treno, ai nomi, alle date di morte.
Block 11, il blocco della morte: chi entrava qui, non usciva più. Non che gli altri edifici avessero statistica migliore. Il muro dell’esecuzione: una parete di legno e tessuto, per attutire il rumore dei colpi. Fiori e origami colorati a rendere memoria alle vittime. E il sessantenne con la pancetta si avvicina e si fa fare una foto dalla moglie, sorridendo. Un altro scatto che va a completare l’album del “io c’ero”. In un altro edificio hanno allestito una vetrina attorno a tutta una sala, dove fanno macabra esposizione di sé montagne di capelli. Molti scuri, pochi biondi. Tutti tagliati prima delle docce. Sono stati ordinatamente conservati, nei sacchi: servivano per fare tessuti. Sono molto resistenti, i capelli. Il tuo stomaco meno. Altre vetrine mostrano montagne di pettini, valanghe di scarpe, mucchi di occhiali. Tutto diviso, tutto ordinato, pettine con pettine, scarpe da donna con scarpe da donna, scarpe da uomo con scarpe da uomo: un gioco facile da insegnare ai bambini.
La visita guidata finisce e te ne esci, sai di non aver visto tutto, ma hai visto abbastanza.

Randagia, che c’è ancora chi nega.

Saluti

Posted on Maggio 28, 2011 by randagia

Entra, accende la luce e chiude la porta con due giri di chiave. Spalle alla porta, si sofferma con un lungo rilassato respiro. Nessun rumore. Toglie i mocassini, allenta la cintura mentre si dirige verso la camera. Via i jeans. Buttati sulla poltrona KIVIK in fondo al letto. A passi lenti e nudi raggiunge il bagno, dove su un ordinato GODMORGON si lava i denti, con cura, per i tre canonici minuti, chiudendo il rubinetto quando l’acqua non serve. Risciacqua lo spazzolino e lo ripone nel suo cappuccio ripara-polvere. Butta acqua fredda sul viso, per svegliarsi. Peccato che sia già passata mezzanotte. Non importa, c’è ancora tempo. Due occhi vispi e sereni lo guardano dallo specchio. Sorride. Gli sembra di sentire la voce di Barbara “Sotto questa barba non si vede quando sorridi!”. Si vede, si vede. Son vent’anni che si vede. Si guarda ancora, si sorride di più, si vuole bene. Si vuole bene un botto.

SMÖGEN, il divano, sembra chiamarlo. Accetta l’invito lasciandosi accogliere, in slip e T-shirt, dai morbidi cuscini, morbidi quanto morbido può essere un cuscino svedese. Ripensa alla serata appena trascorsa. Due amici storici davanti ad una pizza ed una birra. A parlare di lavoro e di vita. Più di vita che di lavoro. Due occhi vispi e sereni ascoltano i racconti degli altri occhi, quelli vispi ma provati, quelli che raccontano del tumore con cui stanno combattendo da un paio d’anni, della voglia di combatterlo, per vedere la figlia crescere, adesso ha solo 3 anni. “E io non crepo finché non s’è sposata… almeno tre volte!”. Luca dice sempre così, per sdrammatizzare la sua malattia. E giù due sorsate di birra su una gorgo e pere. Gli occhi sereni parlano invece dell’ultimo cliente conquistato, e di quell’altro perso. Di Barbara, che lo capisce al volo, da anni. Di Diana. La nuova vicina. Hanno cenato un paio di volte insieme. Da lei, da lui. Una tipa in gamba, non una maga in cucina, ma con delle buone bottiglie. Una di quelle con cui gli argomenti vengono. “E non solo gli argomenti” pensa Luca più incuriosito che stupito, senza interrompere. Ha una cucina ABSTRAKT rossa. I vini li tiene nel pensile in alto. Ieri hanno aperto un Morellino. Diana non è altissima, e per arrivarci si deve proprio allungare, si vede che fatica. Lui non l’aiuta, è troppo bello vederla da dietro. Con la maglietta che si alza sulla vita e il filo del tanga che si lascia vedere. Chissà se lei lo fa per provocare. “Matematico” pensa Luca, sempre senza interrompere. Di provocare non ha bisogno. E’ entrata nelle sue fantasie erotiche dalla seconda chiacchierata.

Un condominio interessante, si può dire. “E per quanto credi che rimanga solo nelle fantasie?”, chiede Luca, quando l’esposizione dell’argomento è terminata. Non ne ha idea, per ora gli va bene così. Una voce fuori dal coro con cui confrontarsi. Un desiderio, anche solo fisico, si sta facendo strada. E’ una bella sensazione, perché mettersi fretta? Già, perché? E giù due sorsate di birra sull’ultima fetta di una quattro stagioni. Luca ride. “Non mi far cazzate eh, Barbara è in gamba, non mi far casini per un tanga che si intravede! O almeno non farti beccare. Che poi, invece di chiuderla nell’armadio basta farle attraversare il pianerottolo ed è a casa sua… Certo che però, una trovata in chat, lontana centinaia di chilometri, no?” No, non sarebbe lo stesso. Non potrebbe scambiare il segnale per fare due chiacchiere, a notte fonda. Almeno non quel segnale. “Quale segnale? Guarda che gli SMS non sono a corto raggio!” Due giri nella toppa quando rientri, se hai voglia di chiacchierare. Se di là rispondono con due giri, viene l’altro e porta il vino. Se i giri sono quattro, buona notte. “E se non senti giri, vai a dormire? “ O aspetti. Potrebbe non essere in casa. “Sei forte tu… S’è fatta una certa, andiamo? E salutami Barbara. E pure Diana.” Ultimi sorsi di birra, due caffè, il conto. Oggi ha offerto Luca.

Rumore di tacchi sulle scale, è sicuramente Diana. Apre la porta e la richiude. Un giro. Due. Tre. Quattro. Game over. Stasera niente chiacchiere. Sorride. Prende il telefono e scrive: “Ti saluta Luca, sta alla grande. Ti bacio, buona notte!”. Il saluto a Diana lo porterà un’altra volta.

Alla ricerca della Pera Cunca

Posted on Maggio 22, 2011 by randagia

Alla ricerca della Pera Cunca

15 Maggio 2011. Giornata delle mongolfiere al castello di Masino. Palloni colorati che si muovono lentamente nel cielo, e chi se li perde! Troviamoci una camminata da fare in zona, tanto le mongolfiere vanno in alto, si vedono comunque, mica sei obbligato a vederle dal castello. Allora facciamo un collage dei consigli di google: non parcheggiamo proprio di fronte al Castello, ma nel paesino prima, per arrivarci a piedi, che ha sempre più fascino. E dopo il castello, preseguiamo per la “Pera Cunca”, un masso erratico che si pensa sia stato usato dai celti per riti religiosi. Facile, no?

A5 uscita Scarmagno. Seguiamo le indicazioni per Castello di Masino/Vestignè. A Vestignè, parcheggiamo nei pressi della chiesa e del campanile, e imbocchiamo il sentiero acciottolato che inizia dietro le costruzioni, costeggia alcune vigne e con percorso poco faticoso, a parte il superamento di molti alberi caduti che costringono a qualche acrobazia, raggiunge le mura del castello e la rampa d’ingresso. (Fonte: http://www.gulliver.it/index.phpmodulo=itinerari&template=dettaglio&id_gita=7082). Gli alberi caduti lasciano qualche graffio sulla gambe, a chi adora i suoi think pink fucsia, che tanto resistenti non sono, forse perchè son tarocchi.

E quando arrivi al castello, sorpresa! Le mongolfiere son già andate e tornate. Ma come? Non dovevano andare in cielo? E non le abbiamo viste? Si sono alzate di poco, e per poco. Alle 10. Ora si teme il brutto tempo, fino al pomeriggio non si alzano più. Vabbè. Indicazioni per la PeraCunca zero. Chiediamo alle guide del castello: sanno che esiste, ma nessuno l’ha mai vista. E che è, il mostro di Lochness? Ci consigliano di chiedere in paese. Paese: una via e quattro case. Chiediamo al primo che ci sembra locale “La pera cunca? Ohi ohi ohi… da soli? Senza guida? Impossibile, vi perdete! Non ci sono indicazioni…” Siamo un po’ perplessi, ma prosegue prontamente “Andiamo a suonare a Manuela, lei fa la guida vi può portare lei!”. Per un attimo mi balza alla mente la pagina della Lonely del Messico o dell’India che ti dice “Ovunque tu voglia andare, non chiedere informazioni perchè i locali ti diranno che non puoi farcela da solo, e ti consiglieranno di prendere una guida, tipicamente un loro amico con cui divideranno i proventi”. Solo che la lonely di Masino non l’avevamo letta. Per fortuna Manuela non c’è, e si limitano a darci due utili indicazioni: continuate verso Campore, la strada passa di fianco alla Cascina di Campore e poi, auguri, chiedete. E che sarà mai. Ma sapete cosa succede dopo Campore, anzi anche prima? Succede che compaiono dei fantastici cartelli, magari non ufficiali, ma su cui qualcuno ha meticolosamente scritto con un pennarello “PERA CUNCA”. Ai suma! Cammini un’oretta buona, sempre in piano, nei boschi. E’ un itinerario ideale per le biciclette, un po’ lunghetto a piedi, ma tanto, noi si chiacchiera. Si passa vicino ad una cappella votiva e si svolta a sinistra, sempre ben indicato. E poi si arriva al cartello finale. Sul cartello due indicazioni apparentemente contrastanti: quello che punta a destra dice “PERA CUNCA: prendere sentiero davanti al cartello”, quello inciso sul palo dice “PERA CUNCA: primo sentiero a destra”. Insomma, la pera è proprio nel raggio di 10 metri da quel cartello, ma non si vede!!!! Se ci vai, prosegui 10 metri sulla strada che stavi facendo, e poi prendi il sentierino piccolo sulla destra, e il pietrone è proprio lì. Beh, diciamo che noi l’abbiamo presa più larga, ma alla fine, siamo arrivati. Questo dettaglio non l’abbiamo riferito ai personaggi del paese che ci aspettavano al ritorno. Sosta d’obbligo, a comprare il miele, di fianco al Pozzo Valentino, dove Valentino ci fa prendere il miele con un dito dai nidi d’ape: miele misto cera, sarà anche naturale, ma la cera non è proprio proprio buona. Il miele invece… Due chiacchiere, una bevuta di Erbaluce, e con lo zaino appensatito dai barattoli di miele, si torna a valle.

Delle centinaia di mongolfiere, nessuna traccia. Tempo brutto, non si sono alzate. E anche si fossero alzate, sarebbero poi state solo cinque.

I pensieri di Torquato

Posted on Aprile 22, 2011 by randagia

Un appartamento non signorile, ma luminoso, ben arieggiato. Stavamo lì da un pofrom_unixtime( si stava bene. Mi volevano bene, più lei di lui. Anzi, lei mi voleva bene, mi coccolava. Lui mi tollerava. Ultimamente litigavano un sacco, sentivo le vibrazioni delle loro parole, dei loro sentimenti. Del loro servizio da dodici che andava in frantumi.
Quel giorno l’ho vista preparare le valigie, piangeva. Non si piange quando si va in vacanza. Non piegava meticolosamente i vestiti, li buttava dentro. Tanti. Troppi. Non faceva le valigie così quando andava in vacanza. Non capivo. Dove andrà? Perché? Mi si è avvicinata, mi ha coccolato come solo lei sa fare, e mi ha sussurrato “non posso più tenerti con me, perdonami”. Io non capivo niente. Cos’era cambiato? Che fastidio le davo? Perché? Perché?

Mi ha dato ad un’altra donna, che mi ha accolto con amore: non mi ha fatto mai mancare niente, mi ha cresciuto con cura. Ma mica è la stessa cosa. Non può essere la stessa cosa. Ogni tanto tornava, mi salutava sì, ma con distacco. Ed io intanto son cresciuto, eccome se son cresciuto. Sto diventando grande. Questo vaso non basta più. L’altra donna non può mettermi in uno più grande e le dice che mi porta in un vivaio. Un vivaio dove qualcuno si prende cura di me, finchè qualcun altro non mi adottata di nuovo. Ma no, lei dice che no, di non farlo, che le mette tristezza, che le sembra di abbandonarmi così. Le sembra? Adesso? E cosa crede di aver fatto anni fa, quando piccolo piccolo mi ha parcheggiato dall’altra? Cosa cambia, adesso? Ha pensato a quello che è meglio per me? Magari troverei una sistemazione migliore, una casa in collina con un parco grande grande dove mettere radici.

Invece no, adesso lei mi rivuole, solo che non può tenermi con lei. Io continuo a non capire. Tempo per me non ne ha, dice, e mi porterà dai nonni, mi lascerà nel loro cortile, che non è un parco in collina. Ma chissà, magari mi verrà a trovare ogni tanto…

Torquato, il tasso

Basta

Posted on Aprile 13, 2011 by randagia

Meno dieci. Meno quindici. Vento. Buio. Neve. Triangoli di luce alle finestre, che si vedono solo là, là dove si festeggia Santa Lucia. Triangoli di luce che fanno sembrare tutte le case uguali, ma solo da fuori.

“E se non ti va bene, lasciami in pace!” Sonia sbatte la porta della camera. Le luci alla finestra tremano. Uno scatto d’ira solleva Giovanni dal divano e gli fa aprire violentemente la porta: “Nessuno mi ha mai sbattuto una porta in faccia!”. C’è sempre una prima volta. La porta gli si richiude in faccia. E la scena velocemente si ripete, ma stavolta senza parole: uno schiaffo violento lascia il segno sul viso di Sonia. Parte il cazzotto. Azione e reazione. Che quella storia del porgere l’altra guancia, Sonia non l’ha mai capita. La porta si richiude. Due maglioni, una gonna, un paio di jeans, un po’ di biancheria entrano in fretta in una valigia. Dormirà da un’amica. Esce senza ancora sapere quale amica, sceglie di fretta, sceglie Giorgia. E sceglie male. “Chissà cosa gli hai detto per provocarlo così, e come ti è venuto di fargli un occhio nero?”. Nessuna risposta. Come le è venuto? Legittima difesa? Debolezza di nervi? Non lo sa, sa che si è presa una sberla, ed è colpa sua che ha provocato. Sonia ha dato un pugno, ed è colpa sua che l’ha dato. Brutto sentire sulla propria persona la versione riadattata di “L’han violentata? Chissà che minigonna aveva!?”.

Le cinque dita sono svanite della guancia di Sonia, ma la tristezza di quel momento rimane, a distanza di anni. La tristezza rimane e si rinnova, ogni volta che Sonia condivide questo episodio e qualcuno commenta con il solito “Chissà quanto l’avrai provocato…”. E succede, spesso. Anche qui, anche adesso. Qui dove i triangoli di luce da mettere alle finestre non si trovano neanche all’Ikea e dove la valigia si riempie solo più con l’emozione di un lungo viaggio. Ma adesso le fa meno male. Adesso non lo racconta più.

La tartaruga e lo Scimmione

Posted on Aprile 12, 2011 by randagia

E arriva la sera. La aspetti da un paio d’anni. Sei nella lista. Documento in mano. Niente cellulare, niente macchina foto. E ricordati di lasciare a casa il serramanico.
Ti presenti in orario. Con te un altro centinaio di persone. Aspettate per oltre un’ora davanti ai cancelli chiusi. Ognuno con i propri problemi, con i propri pensieri. Consegni il documento, ti danno un numero, varchi un piccolo passaggio aperto. I cancelli, quelli veri, sono ancora chiusi.
A piccoli gruppi potete entrare. Clack. Si apre un cancello. Prima nel cortile. Solo asfalto e palazzoni tristi. Case popolari, ma senza il colore dei panni stesi. Cammini in silenzio, guardandoti attorno. Entrate in una stanza. Un corridoio, ampio come le corsie di un ospedale, ti aspetta dopo l’ennesimo cancello chiuso. Clack. Il corridoio è di un verde accesso che ti ricorda un po’ l’asilo. Le finestre spalancate lasciano vedere un altro cortile di asfalto e cemento. Hanno le inferriate, quelle tipiche dei piani rialzati, ma qui sembrano al contrario. Sembra pulito, nuovo. Sta a vedere che non è poi così male sto posto. Clack. Il verde acceso lascia posto all’azzurro sporco. Le porte metalliche di quell’azzurro arruginito, tutte uguali, tutte alla stessa distanza. Un groppo sale in gola. Sta a vedere che è proprio così male questo posto. Forse il film l’han girato solo nel corridoio verde. Clack. Si prosegue con lo stesso panorama per una distanza che non sapresti quantificare. Né t’importa farlo. Clack. Una sala. Sedie di plastica, un centinaio. Un palco, che ricorda quello delle recite scolastiche. Un profumo di caffè inebriante. Te lo offrono con il sorriso. Prendi il tuo, e quello dell’amica che “Dopo le venti, solo dec”. Qui il dec non c’è, ma la torrefazione è di casa. Se di casa possiamo parlare.
Una simpatica presentazione precede lo spettacolo. Ti spiegano che gli attori non sono professionisti, alcuni di loro hanno partecipato dall’inizio a questa impresa, altri sono nel gruppo da poco, altri, le ragazze, sono arrivate da fuori. Si scusano che alcune parti “maschili” verranno recitate da donne, ma proprio nessuno degli attori ha accettato la parte del carabiniere. Una risata nasce spontanea. Questo è uno spettacolo in cui lo spettatore non si può alzare: vi chiedono di stare seduti, da adesso fino a dopo lo spettacolo, quando gli attori avranno lasciato la sala. Due ragazzi dalla faccia poco raccomandabile percorrono il passaggio centrale tra le sedie, puntati dagli occhi di tutti. Eccoli gli attori, chissà che crimine avranno commesso. Si siedono in prima fila e parlano del più e del meno. Beh, forse sono di quelli che non hanno ancora beccato. Solo dopo arrivano loro, i protagonisti della serata. Dal fondo della sala, entrano in fila, con lo sguardo di un bambino che cerca i genitori nel pubblico prima della recita scolastica. Ma bambini non sono.
Scenografia simpatica, personaggi particolari. Ad ogni battuta ti chiedi “Chissà cosa avrà fatto quello per essere qui. Chissà se ha ucciso qualcuno. No, con quella faccia avrà solo rubato le caramelle al supermercato”. E lo spettacolo continua, la musica, i tuoi pensieri, le loro battute.
Ah le tapas, Michele, ma non eri tu che volevi andare in Spagna?
Eh sì, ma mi hanno trattenuto qui a Torino…
Applausi, sorrisi. Qualche occhio lucido, di là e di qua del palco.
Poi tutto finisce, e sul palco salgono gli attori per i meritati applausi, gli organizzatori e i registi, che con poche parole ti ringraziano di esserci. Poi sale lui, l’uomo in divisa. Il Catarella delle Vallette, che ringrazia tutto lo “staffe”. Applaudi più forte, sperando che smetta di parlare.
Quando gli attori scendono dal palco e, in fila, escono dalla sala, sai che stanno tornando nelle loro celle, e li accompagni con il più caloroso dei tuoi applausi.
Ripercorri tutti quei corridoi, l’ansia ancora nello stomaco. Poi il cortile, i cancelli. Riprendi il tuo documento, e sei fuori, tu.

11 Aprile 2011
La tartaruga e lo Scimmione
casa Circondariale Lorusso Cutugno

Quaranta anni e sentirli tutti

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

“Un caffè normale e un dec, grazie!”

“Il dec non ce l’abbiamo, se vuole glielo faccio un po’ lunghetto”

Anche se lo allunghi, o la socia se ne beve solo metà o la caffeina sempre quella è. Ma non te lo diciamo.

“Ok, uno normale e uno lunghetto, grazie”.

Al momento di pagare la butti lì “Allora pago solo quello normale, perché l’altro era omaggio, no?” E questo invece risponderti con il meritato “Mi spiace, qui non si fanno conti alle facce da culo”, o ancora peggio con il sorriso indifferente del barista che avrebbe dovuto scegliere un altro mestiere, ti stupisce con “Certo, eravamo rimasti d’accordo così, no?”. Bravo, sto posto è un monolocale, dove una versione ingrandita, ma di poco, del tavolino Lack funge da palcoscenico, ma con una risposta così io ci torno. O almeno è molto probabile che io ci torni. L’espressione scazzata del “Ho dovuto sganciare i 10 euro della tessera Arci per vedermi un cabaret in questo monolocale” inizia a svanire, complice l’aria rilassata e allegra dei suoi frequentatori, che sembrano conoscersi tutti, come una grande famiglia. E infatti sono una grande famiglia, quella di Cristiana Maffucci, la comica che stasera sale sul Lack. Un accompagnamento musicale demenziale e simpatico accoglie l’ingresso di questo donnino calabro che ha trovato felice adozione in terra sabauda. E ti racconta i suoi 40 anni, che poi quaranta non sono, ma lo spettacolo fa crifra tonda: 40 anni e sentirli tutti. Le battute sono ironiche e intelligenti, capaci di coinvolgere il pubblico, anche se piemontese. La mimica e le movenze di Cristiana decisamente notevoli, che ti chiedi se tutti quelli che pesano 20 chili bagnati si muovano così, o se questa ci metta del suo. Quando esci, manco più ti ricordi che questa è stata una settimana massacrante…

Randagia, che fare la tessera Arci a Gennaio e non a Novembre è già una mossa furba

Notte Tricolore

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

Diluvia. I tergicristalli non riescono a sintonizzarsi con la frequenze delle gocce, ma poco importa. Nel grigio della pioggia spiccano macchie di colore ai lati della strada. Sui balconi le tante bandiere bianconere e le poche granata si sono ritirate e al loro posto, proprio lì dove a Natale si arrampicavano i babbi, ecco sventolare il nostro tricolore. A pensarci bene, erano più i babbi a dicembre che le bandiere a marzo, ma Santa Claus è internazionale, Garibaldi no: anche se lo chiamavano l’eroe dei due mondi, ai rumeni della mia zona sembra fregargliene poco. Chissà se nel 2056, verso la fine di dicembre, inizieranno a pullulare sui nostri balconi bandiere blu con le stelline: no, non per la nuova campagna pubblicitaria dell’EuroSpin, ma per il cinquatesimo anniversario dell’ingresso della Romania nella comunità europea.
Nel 2056 forse non avrò voglia di scaricarmi il programma della notte blu, starò lì davanti alla tv, a fare la calza, o, più probabilmente, a perdere tempo su internet. Invece a sto giro, il programma della notte tricolore, me lo scarico, e non mi sembra niente male.
Mercoledì 16 Marzo, il Fibonacci di luce rossa non si sentirà più solo sulla mole, altre luci gli terranno compagnia, o lo offuscheranno. Qualche luce d’artista verrà rispolverata fuori stagione: eccerto a Torino il reciclo va alla grande, mica solo con i rifiuti!
Dalle 21 in poi, in piazza Vittorio, musica da tutta l’Italia : Roberto Vecchioni che ha vinto Sanremo, e quindi ci sta. Davide Van De Sfroos che tutto diresti tranne che sia italiano, ma ci sta. I Tazenda per la sardegna, Peppe Voltarelli per la il regno dell’anduja, Irene Fornaciari per il tortellino, Syria che dove sia finita negli ultimi anni non si sa, ma ci sta. Luigi Maieron
per il Friuli Venezia Giulia. I Buio Pesto, non è il caso di dire da che regione, casomai saltassero le luci d’artista. I Lou Dalfin e i Mau Mau, che giocano in casa e poi, i Tinturia e Nidi d’Arac: alla faccia dell’unità d’Italia, chi li hai mai sentiti questi? Dalla Sicilia e dalla Puglia, rispettivamente, ma alle mie orecchie non sono arrivati mai, come la mettiamo? Per fortuna non c’è solo San Remo con il tormentone di “uniti uniti”, ma anche youtube con i suoi “search”, e al concerto ci arrivo preparata.

Il programma completo.

Randagia, picchì pì ad ogni riccio ti caccia nu capriccio

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