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Con la luna e con la neve

Posted on Gennaio 31, 2013 by randagia

Classico ritrovo a bordo città per fuggire più in là, dove le valli danno il meglio di sè, dove i palazzi smettono di occupare l’orizzonte e lasciano spazio alle montagne. Più o meno bianche. Per gentile concessione dell’organizzatore, le donne sono esonerate dalla guida. Mai capito se sia semplice galanteria o assoluta, quanto fondata, sfiducia nella guida femminile su neve. Le partecipanti apprezzano, e non sembrano alla ricerca di disperate dimostrazioni di parità dei sessi, non oggi.
Non abbiamo certo fatto a meno del classico personaggio ritardatario, che preso da crisi isterica da smarrimento tra Borgaro e Venaria, note metropoli, ti urla al telefono “Voi andate, io non ce la farò mai!”. Sì, sì, il personaggio in causa non è maschile, perché, si sa, l’uomo in auto non deve chiedere mai e non si perde mai. E se anche si perdesse, direbbe che non viene perchè Belen l’ha invitato a cena. Ma la solidarietà femminile fa miracoli, ripeschiamo la malcapitata in una rotonda e via, siamo ancora in orario per l’appuntamento finale a Balme. Venti lumini si muovono nel buio e nel freddo, qualcuno si conosce già, qualcuno si conoscerà, qualcuno “Ma dai, ci sei anche tu?”. Baci e abbracci.
La luna piena, il cielo terso, le luci frontali accese ad accecare chiunque osi guardarti mentre smadonnando cerchi di chiuderti le ciaspole. A ciaspole indossate, spegniamo la frontale: la luna e la neve consumano meno. E saliamo, su una strada larga e battuta. Qualcuno parte a scheggia, e lo vedrai solo in cima. Qualcuno ha paura a muovere i primi passi: ammettiamo che iniziare la salita da un letamaio non è propriamente geniale. Ogni tanto ci si ferma a guardarsi attorno, non che questa valle sia la più bella del mondo, ma questa sera anche lei ha il suo fascino. Allungo il passo per chiacchierare con uno, lo accorcio per parlare con l’altra, tengo il mio e parlo con chi mi capita. Un’oretta di chiacchiere e visi sorridenti ed eccoci arrivati: Agriturismo la Masinà. Peccato per il lampione che proprio bene non sta. Proseguiamo ancora un pofrom_unixtime( della luce artificiale oggi non ne vogliamo proprio sapere. Il bosco, la neve, la luna. Due foto. Due “ooooooooo”. E poi il silenzio, il silenzio della montagna, il silenzio della natura, il silenzio del “Cazzo son entrati tutti, non ci lasceranno niente da mangiare!”. Un improvviso disinteresse per la luna piena, un esagerato desiderio di avere piena la panza: torniamo all’agriturismo a grandi falcate. In fondo ci hanno aspettati. Il vino è abbondante, le porzioni meno, ma per fortuna abbiamo chi non si fa troppi problemi e informa i camerieri che il cibo “non basta”, e viene ascoltato. Le donne sono un po’ distratte dalla sfilata PittiUomo che si sta accomodando al tavolo vicino, ma prontamente la compagnia riguadagna il loro interesse: “Avete notato che son tutti uomini? E che qualcuno ha anche l’orecchino?”. No, però abbiamo notato che noi stiamo ridendo di più. La cena va: affettati, vitello tonnato, polenta e suatisa, polenta e spezzatino, la concia, torte di mais o di cioccolato, il caffè, il pusa cafè. Venti euro. Non male.
Qualcuno si ferma a dormire lì, mentre gli altri scendono, tirando gran pacche sulle spalle a chi ha organizzato la serata, tenendo sempre alto il volume delle risate, alla faccia del silenzio della luna e della neve.

Randagia, che tra un mese la luna è piena di nuovo…

Prova su Pista

Posted on Gennaio 31, 2013 by randagia

E’ da un paio di mesi che aspetto. Gli amici a novembre già andavano a sciare e giravano foto da fare invidia. Ma io no, mica son capace, devo aspettare il corso. E finalmente arriva, il tanto osannato “corso di sci alpinismo”. Attrezzatura nuova, che quella da gagna non son riuscita a recuperarla. Ed è tutto diverso. Già stare sotto i dieci minuti per infilare gli attacchi mi sembra un record.

Prima uscita: prova su pista. In quaranta si sale sul bus. Quattro chiacchiere a conoscere sconosciuti, e via. Si parte dal cancelletto. Nessuna gara, solo per vedere se due curve le sai fare: “discesa controllata”. E bravi. Peccato che per me gli sci siano divertimento tanto, ma controllo zero. C’è chi si spara una serpentina da nuvola bianca, chi mostra il suo miglior spazzaneve, sorridendo a denti stretti. Chi presenta la tecnica sci unitissimi quasi sovrapposti, che il carving l’ha comprato ma non l’ha mai conosciuto. Quando arrivi in fondo, i commenti: “Randa, ti han mai detto che si scia anche con le caviglie e non solo spostando il culo?” E poi l’incitamento “Dai ragazzi, provate la fresca, scendiamo fuori pista”. E quaranta pseudo-incapaci si buttano in fresca. Un’immagine inquietante. Una mandria tra i pini. Ora, le piante sono dure. ma almeno stanno ferme, almeno provi ad evitarle. La mandria no, si muove, più come decide la neve che come decide lei. Ti fai coraggio e vai, in fondo sei un componente della mandria anche tu, e ti ci trovi bene.
Secondo giro: finito l’effetto mandria, si scende a gruppetti di due o tre, seguendo un istruttore, che ti da un minimo di nozioni. Prima fra tutte: le piante non sono morbide. Seconda, il peso: non contano le lamine, conta come distribuisci il peso del corpo sugli sci. Se ti sbilanci, cappotti. E quale miglior lezione che l’esempio? Mentre si scende, il santo cui son toccata, si contorce per rispondere alla radio in curva, e opplà, si cappotta magistralmente e ci dimostra che anche se le piante son dure, la neve rimane morbida.

Randagia, che sarà divertente questo corso!

Metti una sera con Degas

Posted on Dicembre 6, 2012 by randagia

Un’amica pubblica su Facebook l’immagine di due pennelli sulle punte, che si incrociano come gambe di una ballerina, e la commenta con il più sincero “Geniale!”. Geniale che per la pubblicità della mostra di un pittore non si usi un suo quadro, quanto piuttosto uno strumento, il pennello, e un soggetto, la danza. E così gli anni di danza classica dell’infanzia fanno capolino e nostalgia.
Un click sull’immagine e approdo al sito (http://mostradegas.it) che è quasi una visita virtuale. Ohila, c’è un’app. Allora è vero che per tutto c’è un’app. Ma non ho un i-phone, e neanche voglia di dargli 3 euro e rotti: già si pagherà l’ingresso, perché pagare anche l’app? E molti se lo devono essere chiesto dal momento che il riquadro predisposto su i-tunes per le statistiche di gradimento espone un triste “Non abbiamo ricevuto abbastanza valutazioni per visualizzare una media per la versione attuale di questo(a) applicazione.”.

“Degas, Capolavori dal Museo d’Orsay”. Già. Mica i disegni che faceva all’asilo. C-A-P-O-L-A-V-O-R-I che uno dei più grandi Musei d’Europa offre temporaneamente in prestito alla nostra città. Vogliamo mica perdercela?
Nelle ore non di punta (noi siamo andati un giovedì verso le 19, aprofittando della giornata in cui gran parte dei musei torinesi ha un orario di apertura più generoso, fino alle 22) vi è solo una ragazza alla biglietteria, che si deve preoccupare di smistare visitatori “prenotati” e non. Questo non senza le classiche polemiche “Dovrebbero avere una fila apposta per i prenotati!”, anche se poi è solo una persona ad essersi prenotata e la coda non è più lunga di quella che si fa, senza minimamente lamentarsi, in ufficio per la macchinetta del caffè.
Quasi subito mi imbatto in una delle opere principali, La famiglia Benelli, lui orso, lei incazzusa e due bambine che sembrano rognosette. Una è quella che si vede sui manifesti. Però, se la cavava bene con i ritratti Edgar! Le guide parlano talmente forte che anche se non ne hai richiesta, non la puoi evitare. Nel bene e nel male.
Circa a metà percorso una splendida sala sui nudi: ma non la Venere che esce dalle acque, la Salomè che balla o quella che ti fa il pic nic per colazione. No, è piuttosto la Giusi del mercato, mentre si asciuga il mignolino dopo il bagno, che quasi quasi si vedono anche i calli. La Molly che si pettina alla bell’e meglio. La Betty che esce dalla vasca, senza rompersi il femore. Ora, ditemi se vi viene in mente un altro artista che abbia inanellato una serie di nudi “ordinari” così? A me no, o almeno non prima di lui. Pare che Edgar pescasse nei bordelli le sue modelle, e le invitasse a venire a darsi una lavatina da lui. E quella in piedi, di schiena, con le mani appoggiate alle chiappe? Quella che nel video descrivono come “tozza e poco aggraziata”? Quella che sembra me tutte le mattine quando guardo l’armadio con quel punto interrogativo del “e oggi che mi metto?” . Mentre la guardo mi aspetto che si muova, che alzi un braccio e tiri una patela alla porta scorrevole del Pax Ikea. No, non si muove. No, non mi sembra tozza. E nemmeno poco aggraziata. Mi sembra naturale, e senza dubbio simpatica.
L’universo delle ballerine è lasciato alle ultime sale, e tanto per cambiare, ci spiegano che un corpo di ballo non era altro che un bordello con il tutù. E a guardar bene i dipinti, tra le ballerine c’è sempre una figura maschile, vestita di nero, con il cilindro, che sembra non c’entri nulla con il quadro, e invece… E dire che io alle ballerine ho sempre associato quell’innocente viso della Fracci…
Quasi in fondo al percorso, e poco visibile, è posizionata la sala audiovisivi. A ciclo continuo viene proiettato un video che propone analisi e osservazioni talmente interessanti da convincerci a tornare indietro a rivedere alcuni pezzi. Ma metticelo all’inizio un video così, che ci stimoli la curiosità, lo spirito d’osservazione, fai anche un po’ atmosfera! Non alla fine, che, con i piedi che fan male, vuoi che torni a rivedere I particolari? Ringrazio che la sede, la Palazzina della Promotrice delle Belle Arti, non è poi così grossa e torno indietro, ma se voi ci dovete ancora andare, entrate dall’uscita con la scusa di andare alle toilette e guardatevi prima il video.
La visita è finita, chiudiamo le giacche, alziamo il bavero, e saluti. Non abbiamo comprato nulla al negozietto, ma portiamo con noi le immagini di quelle ballerine “di malaffare”, di quei nudi insoliti. Riflettiamo sulle ballerine di allora che potevano essere le escort di adesso, sorridiamo a vedere Edgar che si riempie lo studio di vasche da bagno e asciugamani. Ironizziamo su come quest’artista passasse più tempo nelle case di piacere che nella propria.

Infine, puntiamo diretti una pizzeria: il chiosco del parco, unico punto ristoro “a vista” non offre nulla di simile ad una cena.

Randagia, che la cultura arrichisce, ma non sazia.

Il battesimo del ghiaccio

Posted on Luglio 2, 2012 by randagia

Con tutto sto caldo, l’idea di pestar neve ti affascina. E la neve d’estate si chiama ghiacciaio. Nella cantina di famiglia recuperi ramponi d’epoca e piccozza arrugginita. I ramponi sono ancora di quelli con i cordini, da regolare con la chiave da 5 e il cacciavite. “Randa, io te li regolo, che aprire ste viti dopo che son state chiuse trent’anni non è facile. Ma quando te li devi mettere, stai vicino a qualcuno con i capelli bianchi, che dovrebbero conoscerli.” E ti iscrivi alla gita Cai Uget al Gonella. Il pezzo di ghiacciaio è breve, ottimo per capire se ce la fai, anche solo ad agganciarli quei ramponi.
Si parte. Destinazione Val Veny, sopra Courmayeur. Parcheggio. Zaino più pesante del solito con imbrago, corde e ambaradan vari. Lago Combal. Una cresta sulla morena, che mette alla prova gli esercizi di equilibrio delle lezioni di pilates. Vedi la terra scivolare lentamente sotto i tuoi piedi e le chiappe stringono di più che in palestra. Quando l’hai percorsa però, ti è pure piaciuta. Pochi metri dopo, un branco di stambecchi, piccoli, con la mamma, ti strappa un sorriso. Un sorriso che neanche la pietraia lunghissima che stai per attraversare ti toglierà. Non è una pietraia qualunque: sotto c’è il ghiaccio. Ogni tanto lo vedi emergere, ma soprattutto vedi quelle voragini che sembrano inghiottire le pietre. Cammini, cammini. E finalmente la neve: di fronte a te un lenzuolo bianco, il ghiacciaio del Miage. Imbrago, ramponi. Adocchia quel tizio con i capelli bianchi, che una mano te la da’ sicuro. Infatti, ramponi legati. E sembrano anche tenere. Basta non cadere in quei crepi lì. Quali? Minchia quelli? Se guardi dove metti i piedi, non li metti lì. Eh grazie. “E quei rumori come boati che si sentono cosa sono? “E’ il ghiacciaio che si rompe sotto, ma non questo, quello di là, il Dome” Ah, quello lì che è tutto un seracco, un taglio, una ruga altro che lenzuolo bianco. No, non chiedi perché quello là si rompe, mente il tuo sta magicamente intero. Ci sono domande nella vita che hai imparato a non fare. “Randa, li hai mai usati i ramponi? Allora pesta bene, e a monte,
segui le impronte”. E prega, aggiungi tu. Pesta e prega, prega e pesta, neanche te ne accorgi che è già finito. Che sollievo. Il sorriso resiste nonostante manchino ancora un bel po’ di metri di dislivello per il rifugio. Roccette e cavo di canapa: “Randa, una mano sulla roccia e una sul canapone!” Esegui, ma che fatica: il sentiero ripido tira su, e lo zaino pesantissimo tira giù. Vedi il Gonella, con la sua architettura ipermoderna sempre più vicina. E canapone e roccia, roccia e canapone si continua. Guardi il ghiacciaio tutto crepato a destra: bello. Soprattutto bello che non sia il tuo. Lassù lassù c’è il Monte Bianco. Intanto il rifugio si avvicina, o almeno ti sembra. Scultura tecnicamente modernissima, dedicata alla memoria di Francesco Gonella, un alpinista torinese che ha fondato sedici rifugi del CAI, tra cui Capanna Margherita sulla punta Gniffetti. L’arrivo è dall’ingresso di servizio: un odore di fogna che non ti aspettavi, beh almeno chi cerca il bagno lo trova subito. Non avete incontrato molta gente in salita, ma qualche ospite al rifugio c’è: abbigliamento tecnico e fisico invidiabile, di donne neanche l’ombra. Da segnalare alle amiche. Forse un po’ fuori mano. Una coca, due chiacchiere, una panoramica dalla terrazza che ti ripaga delle fatiche. O almeno ti sembra.
Si scende quasi subito, che il riposo è per la prossima vita. E ti chiedi perché uno dica “è tutta discesa” per dire che una cosa è facile, che il peggio è passato. Mica vale per tutto, qui scendere facile non è! “Allora Randa, picca a monte e becca indietro”. Puoi arrivarci a capire cosa è la picca, ma ti ci vuole un attimo a capire cos’è la becca. Alla seconda alzata di voce ci arrivi. Almeno la nomenclatura potevi studiarla. Ficca il tacco nelle impronte, la picca nella neve e scendi. Picca nella neve, tacco nelle impronte, picca, tacco e…. culo! Non era contemplato, ma viene perdonato. Ti levi prima di sentire le imprecazioni degli altri cui hai spianato le comode orme. Dopo un po’ ci prendi la mano, anzi il piede. Quei crepaccetti in fondo son lontani. Tra un pezzo di neve e uno di roccia, con un discreto brivido, ficchi la picca tra la schiena e lo zaino, e che sia a portata di mano, da sfoderare alla Lady Oscar quando serve. “Randa, non saltare sul ponte!”. Quale ponte? Non ci sono ponti. C’è solo un passaggio obbligato stretto tra i crepaccetti. Come un ponte, appunto. Anche qui, ci metti il tuo tempo a capire le istruzioni. Respira. Ficca la picca. Fai sto passo. Fatto. Respira. Minchia! Poi si fa più facile, ma perchè adesso corrono giù? Da sola non vuoi rimanere, quindi corri pure tu e fai i passi lunghi sui tagli, che tanto mica hai paura, no? Vedi dei cinquantenni tornare bambini, e tu con loro.
Il bianco finisce, il ritorno sulla pietraia sembra eterno, si inizia a sentire il relax del rientro e le boiate vengono sparate a raffica.
“Ma qui si suda in salita, e si suda in discesa!”
“sat pias nen, va al mar!” (se non ti piace, vai al mare!)

Ma se battesimo del ghiaccio deve essere, che lo sia a tutto tondo: una bella grandinatina sulle braccia nude rinfresca, quando ormai siete già al Combal. Il sorriso? rimane.

Randagia, tra ghiacci e sorrisi perenni

Tra la Sacra e la Luna

Posted on Giugno 8, 2012 by randagia

Un’idea buttata a caso in un parcheggio. E raccolta. Subito. Come tutte le peggio boiate. E come tutte le peggio boiate va realizzata. Una ferrata in notturna con la luna piena.
E allora si aspetta, si aspetta la luna piena. Ma non una luna piena qualunque, una di quelle che i Maya ti raccomandano. Tanti “Io ci sono!”, entusiasti. Qualche “Non ce la faccio, passo.”
Un paio di macchine. Si chiacchiera. Si ride. Destinazione Caprie, ferrata di Rocca Bianca. “Dobbiam portare su il diario di vetta nuovo”. Eh già, che non lo gestisce la forestale, o il comune. No, va su base volontaria. Lo gestisce Franco. E lo scopri sul momento. Franco, che a Rocca Bianca ci sarà salito seicento volte. Franco, che la fa ad occhi chiusi, altro che in notturna. Franco, che conosce tutte le pietre per nome. E inauguriamo il quaderno nuovo, che tanto il peso, lo porta Franco!
Avigliana ovest.  Ma è presto. Alle otto e mezza è ancora chiaro.  Gli uomini veri vogliono la notturna vera. Le donne no. Quindi si parte, con il chiaro. Che il buio verrà. Pila frontale sul casco. Qualcuno la accende: “Distisa, badola! (spegni, badola!) che poi quando ti serve le batterie non le hai più”. Dopo pochi minuti i primi reclami:  “Oh, se andate veloci così, abbiam tempo a farla due volte prima che venga il buio!” Ma chi è in testa, se ne frega. E anche chi è in coda. Ognuno sale con il suo beato passo. Ridendo e scherzando. Ma sta luna dov’è? Non si vede. Poco importa. La Val di Susa ai tuoi piedi ti piace. La Sacra di San Michele si illumina, e se accende la luce lei, le accendete anche voi. Una fila di otto lumini che sale seguendo un ritmo tutto suo. Ma la luna? Superi il tratto dove qualche mese fa, alla tua prima ferrata, ti eri schiantata contro la roccia, “propri da piciu” pensi. E forse dici, ma nessuno rincara la dose. Son amici.
Ponte Tibetano. Lo attraversi con il volto verso la valle, che è là in basso. Tanto in basso. Senso di vuoto, chiappe strette, un passo dopo l’altro sul cavo. Sotto di te luci bianche e rosse marcano il disegno dell’autostrada che taglia la valle. C’è chi vorrebbe non vederle. La TAV non si vedrà. Forse non passerà neanche di là. C’è chi vorrebbe non averla. Ma no, a questo non pensi mentre sei lì.  La Sacra continua a far luminosa mostra di sè a destra.  A sinistra, spunta la luna tra le nuvole. Sembra un gioco di luci. Son et Lumieres. Guarda la Sacra, guarda la Luna, ma minchia non guardare giù o finisce che le previsioni maya con te ci azzeccano. Un passo. Un altro. Fatta. Niente male sta bassa Valle di Susa. Passano anche gli ultimi della fila, mentre il panorama è sempre più spettacolare.
Un po’ il ridere, un po’ la stanchezza, non riesci più a salire, e sbagli. Sbagli a dire, ridendo, “Non riesco, datemi una mano” . Perchè la mano te la danno, anzi due. Sul culo però. E sali. In punta ormai c’è uno studio fotografico: cavalletto, flash, non flash. “E spegnete quelle frontali che la foto non viene”. Le spegnete. “E accendete ste frontali e guardatevi tra di voi, o la foto non viene!” Allora, ci si decide? Acceso o Spento?” Uno scatto dopo l’altro, una frase sul libro di vetta, che riponiamo nell’apposita casetta di legno, sempre tutto “powered by” Franco. E poi tocca scendere. Parti in prima fila, che scendere è facile. All’urlo di “Aspetta che ti faccio vedere lo gnomo!” Franco passa in testa. Ah, si dice così adesso? Lo gnomo? Una volta era il cobra, il serpente. Ora è lo gnomo? Si vede che gli anni passano per tutti. E mentre scendete eccolo lì lo gnomo: il cappello, il naso, gli occhi. Quando Franco diceva di conoscere ogni singola pietra di rocca bianca non stava scherzando.

Randagia, che la luna piena è solo una volta al mese

Non si accettano caramelle dagli sconosciuti, ma gli zuccherini …

Posted on Maggio 13, 2012 by randagia

Cielo promette pioggia, destinazione vicina e salita breve: Monte San Giorgio, da Piossasco. Lasciate la macchina alla sbarra. Controllate gli avvisi esposti, mica che vi sfugga una banalità come “Divieto di accesso al parco causa battuta di caccia al cinghiale”. L’esperienza insegna. Oggi il cartello parla di una salita in notturna pianificata per la sera stessa, luna piena. Quindi tutto tranquillo. E allora su, per la strada sterrata nel bosco, perché il sentiero, mica sei mai riuscita a trovarlo. Solo qualche scorciatoia. Due caprioli che vi tagliano la strada e si fermano a guardarvi vi fanno quasi sentire importanti. Il tempo che ancora regge mette di buon umore. In un’oretta siete su.
Quando la strada esce dal bosco, si affaccia su un bel prato inclinato, da cui si lanciano con il parapendio. Ora non c’è nessuno. Sorridi al cartello “Vietato Volare”. Ti fermi a guardare il panorama e senti un “Oh ma anlura a ie cheidun!”(Oh ma allora c’è qualcuno!). Ed ecco due simpatici pensionati, stupiti che sia salito qualcuno anche oggi che il sole non c’è. Dimentiche delle raccomandazioni della mamma, accettate uno zuccherino da uno sconosciuto, ma a questa età nessuno più pensa di fregarvi con uno zuccherino: o ha la Z4 o niente. I due si stuzzicano su chi è più vecchio e acciaccato, loro che vengono qui tre volte a settimana, perché le mogli li mandano fuori casa. E quando tornano a casa si sentono dire “Oh, ma sei già qui?!”. Un po’ di chiacchiere, poi iniziano a scendere, avvisandoci “C’è la chiesa più in là, bisogna andar a dire la preghierina, non che serva eh..” E con questo ottimismo, proseguite poco oltre verso la chiesa, che la preghierina non servirà, ma il panorama merita. Anche stavolta, valeva la pena di salire: Monviso, e tutte le altre intorno, che il nome non lo ricordi. Non ci fosse foschia, vedresti anche il Musinè, che sa di casa. Lasciate l’immancabile rima sul libro di vetta, scattate un paio di foto, e poi giù, si scende. Presto si raggiungono i due degli zuccherini, che allungano il passo e non vi mollano più. E la socia che doveva far pipì, e se la tiene. Uno è più spavaldo, chiacchiera a manetta e lascia indietro l’amico controllandolo ogni tanto “Luigin, anduma trop fort?(andiamo troppoo forte?) perché sapete, lui è vecchio” . Ti fa impelagare sul bordo strada per annusare il rododendro nano. Ti spiega che quella puntarella lì si chiama Rubatabo, perché una volta i buoi ci rubatavano, cadevano, tanto era ripida. “E poi ci siete mai andate alla Sacra di San Michele? E poi…”
E poi mai che un paio di bei quarantenni ci attacchino un bottone così? Eh ma questi son più motivati, han la moglie che li aspetta a casa da trent’anni, ritardano il rientro il più possibile…
“Ma poi Randa, non credi che saremo così anche noi da vecchie: tu davanti che parli anche con i muri e importuni i ragazzini, io che arranco paziente dietro? ” Che belle prospettive.
All’arrivo alla sbarra chiediamo se andranno a far la salita notturna citata nel cartello. “Mi? A m’antrapu già parei, figurte se a sa sciaira nen” (Io? Mi inciampo già così, figurati senza luce”)

Randagia, che si inciampa già così, e non ha ancora la pensione

Dritta come un’aquila!

Posted on Maggio 13, 2012 by randagia

SMS del venerdì “8:30 da Vicky, andiamo all’Aquila”. E andiamo. Passate Giaveno, proseguendo per Pontepietra, dove riconosci un’auto dagli inconfondibili adesivi: “Fermi!”, urli manco avessi riconosciuto l’auto di Brad Pitt. E sbucano a destra e manca facce CAI UGET. Qui? Sì, è l’uscita di esercitazione prima di imbarcarsi, nel vero senso dela parola, in Selvaggio Blu Integrale: un nome che è tutto un programma per una settimana in Sardegna, imbrago e corde, mica secchiello e paletta. Un paio di volti nuovi, che per te nuovi non sono, li hai già visti in tutt’altro contesto. A forza le socie ti strappano dalle chiacchiere e si riprende la strada. Parcheggi all’Alpe Colombino, dove una volta partiva la seggiovia. Segui uno stradone ex pista che non è che sia tutta sta figata, anzi brutto proprio. All’intermedio di quella che era una seggiovia, sembra di essere nelle scene di un film di zombi: skilift rotti, piloni coricati, casupole distrutte. Dopo scoprirai che stanno ripulendo tutto, ma quella sensazione di desolazione ti rimane, nonostante il panorama susciti tutt’altra emozione. Dopo va meglio, un quasi sentiero c’è. All’orizzonte un’altra faccia nota, Mario di Verticale ma non troppo, lui che mette sempre su Facebook la gita del giorno dopo. Tu che per una volta non apri Facebook, e proprio una bella figura non fai. “Randa, ma come fai a conoscere sempre tutti?” E’ un caso, un piacevole caso.
Arrivate alla chiesetta, ti viene un dubbio “Ma la punta sarà qui o sarà quella la’?” “Ma va Randa, è qui! Siediti e mangia!”. Fai ancora due passi per guardare dall’altra valle, bello il panorama, misto sole nuvole… “C’è il libro di vetta!” ti urlano le socie. Colpo basso. Subisci il fascino dei libri di vetta. E inizi a leggere. Monica si scusa di aver bruciato i libri degli altri anni, ma aveva freddo quella notte che è rimasta bloccata qui. E assumi sia poi tornata a scrivere giorni dopo, altrimenti avrebbe bruciato anche quello. Qualcuno si firma CAI Lingotto. Ah, c’è pure il CAI Lingotto? Se sfogli ancora un po’ trovi il CAI Gru Village? Mister qualcosa chiede “Ma qua niente figa?” Alice e Laura si presentano. Chissà se hanno concluso. C’è poi Andrea che sale qui quasi tutti i giorni, in corsa solitaria. Roba che qualcuno chiede se questo una casa ce l’ha. Una giovane alpinista, con calligrafia spiccatamente maschile, gli chiede il numero di cellulare. Ale e Maura erano qui in una notte di luna piena. Mauro era qui a festeggiare il compleanno scrivendo “Chissà se anche il prossimo anno avrò le forze di salire” e quando vedi l’età, capisci che il dubbio è legittimo.
Mentre leggi arriva una madama che vi chiede “Ma non siete andate in punta?” Punta? Ah, sì certo alla croce. Sì certo l’avevate vista che era più in alto, ma ci volevate andare dopo il caffè. Ti senti un’idiota, “drita cume n’aquila”, ma non stai a scriverlo sul libro di vetta. In piedi, e si continua.

Randagia, che “drita cume n’aquila” glielo diceva sempre la nonna, e non si sbagliava.

PS: l’itinerario.

Trenta metri fan la differenza?

Posted on Maggio 6, 2012 by randagia

Le vie ferrate ti piacciono, non c’è dubbio. Hai una scalata stile bradipo, i tuoi cambi di moschettone sembrano sponsorizzati da SlowFood, ma ti piace. Neve bassa ma sole caldo: è stagione di ferrate. Come quando piove è stagione di funghi. Già, ma sempre lì attaccata al cavo, quel poco di fiato che ti eri fatta camminando è andato via. E osi dirlo. Osi dirlo a chi ti ha appena proposto la ferrata per il giorno dopo, che tra lo stupito e lo sdegnato ti chiede “E non puoi andare a correre?” E certo, tutti possono. Servono solo un paio di scarpe da ginnastica. E la voglia. Hai solo le prime, ma ti rassegni: vai a correre alla Pellerina. Sei solo tu, qualche lampione e qualche spacciatore. Forse hai sbagliato orario: aspetta un po’ e gli spacciatori saranno di più.
Viene mattina, ritrovo 7:30. “Randa, se per te è troppo presto, possiamo fare 7:35.” E anche qui, non sta scherzando. Un uomo dalla camicia a quadri, non scherza su queste cose. Destinazione Ferrata di Rocca Candelera, sopra Usseglio. I commenti di chi già l’ha fatta lasciano intuire che non sarà facile trovare l’attacco: la ferrata non è ancora omologata, ed il sentiero non è ben segnalato, anzi non è segnalato proprio, fatta eccezione per una bacheca e due cartelli. Beh ma, volevi fare fiato? Eccoti accontentata: questa prima oretta di scarpinata su bosco in forte pendenza fa al caso tuo. Peccato che poi, parti già “scioppa”. Durante la vostra ricerca incrociate una coppia di pensionati con le stesse intenzioni, ma con tante energie da impiegare in imprecazioni e classiche discussioni moglie-marito. Tra una imprecazione loro e un sorriso vostro, l’attacco vero e proprio non lo trovate: salite all’intermedio come fosse una seggiovia. La pensionata parte come una fusetta, lui non ti sembra starle dietro. Intanto vanno più di te, sicuro. La ferrata sale, e sale bene, tanti scalini dove servono, ma anche tanta pietra, che fa più piacere. Passi corti, per non stancarti. “Occhio Randa, qui è un pelino strapiombante!”. Un pelino. Un pelino di Jeti!
In cima si scambiano due parole con la ritrovata coppia, che ci stava dando giù di vino:
“Vuiaiute steve si?” chiediamo (“Voi state qui?”).
“No, ades caluma giù” ci rispondono (“No, adesso scendiamo”).
Il vino doveva essere buono, visto che noi intendevamo solo chiedere se erano di queste parti…
Si scende insieme seguendo i bollini rossi da caccia al tesoro, mentre si cerca di mantenere l’equilibrio sull’erba viscida del pendio. Tu che i bastoncini non li hai portati perché nonostante la recensione lo consigliasse, hai pensato “meglio una culata in discesa che due stecche negli occhi in salita”. Ecco ogni tanto pensare non conviene.
Si finisce alla Furnasa, ad Usseglio, a mangiar carne cruda generosa di aglio, gnocchi che finalmente san di patata con toma che sa di toma, tracannando un buon dolcetto e chiacchierando. Gli occhi del pensionato prendono vita solo se si parla di montagna, qualunque deviazione di argomento lo vede assente. E anche la montagna, mica tutta.
“L’Eiger in Svizzera? Da giovane dicevo che l’avrei fatto da vecchio, e adesso son troppo vecchio per farlo.. Perché non l’ho mai fatto? Dai, non era neanche un 4000 non valeva la pena.” Ah già, come dargli torto era solo 3970 metri, pensa se han sbagliato a misurarlo. E poi scopri che questo “pensionato” è quel Franco Bianco che ha fondato il Club dei 4000, scalando 80 delle 82 vette censite. Brau, Franco! Tu che mai avresti detto. E ti vien da sorridere quando racconta che adesso che fa solo più cose facili, che si trova bene con il cordino corto, che voi non sapete la brutta sensazione di quando le braccia non ce la fanno più, che si cadrebbe giù “mol cume na merda”. Tu delle 82 ne hai fatte 0, ma quella brutta sensazione di quando le braccia non ce la fanno più la conosci benissimo. Non glielo dici però, o distoglierebbe lo sguardo.

Randagia, che trenta metri fan la differenza…

Porgi l’altra guancia

Posted on Aprile 22, 2012 by randagia

“Opposizione. E’ fisica. Metti un piede a sinistra, una mano a destra, una a sinistra. Gambe larghe. E spingi. Opposizione. Vedi che stai su? E adesso muovi un piede e vieni avanti”. E questo te lo dice con la tranquillità e la sicurezza della nonna che ti insegna a fare la maionese, sicura che non impazzirà, anche se sei tu e non lei a sbattere le uova. Tu ti fidi, segui quelle che credi siano le regole base per non sfracellarti qualche metro sotto. Perché lì, sotto le tue gambe, tra la roccia di destra e quella di sinistra, è vuoto. Non altissimo, ma vuoto. Sotto, la rossa sabbia giordana. Non deve essere morbida. Un passo. Una botta di adrenalina o quello che è. Un “Minchia!”. Due passi. Un altro “Minchia!”. Un passo. E’ fatta. “Minchia!”. Bello. Sorridi, ringrazi Mister Tranquillità per la ricetta della maionese, e a sera pensi: “Perdo dieci chili, e a primavera mi iscrivo al corso di arrampicata. Salire è bello, ma portare a spasso tutta questa roba, è uno sbattimento!”. La vacanza finisce, l’inverno pure. Ma quei dieci chili sono ancora tutti lì, o quasi. Rinunci? Sfogli il calendario gite del CAI. Ferrate. Che sia la giusta via di mezzo? Ma le saprai fare? Poco male, c’è l’uscita di prova. Attrezzatura in affitto, e un paio di persone di esperienza e buon cuore si offrono di portare i nuovi arrivati su una ferrata prima di portarli nelle gite sociali con il branco. Un pomeriggio in settimana. Caprie. Hai l’agitasiun già da un’ora prima, quello stomaco che si chiude e si chiede se ce la fai o no. Sole che spacca. Imbrago, set e cordino corto, quello che quando sei stanca, ti agganci penzoloni e riposi. Passi corti, per non stancarti. Riposati se sei stanca. “Si si, si si”. Si sale, bello, facile. Che caldo. Oh, qui è dritta proprio. Passi corti, per non stancarti. Riposati se sei stanca. Oppure, casca come una pera cotta. E pera cotta sia. Le braccia ti lasciano. E’ tutto un attimo. Mica come i testacoda con la macchina, che hai tempo a riviverti tutta la vita prima del botto. Qui il botto è subito. E nessuna carrozzeria a proteggerti. E’ la faccia quel pezzo di te che sbatte contro la roccia. E capisci perché dicono “duro come la roccia”. Male? No, la paura anestetizza. Non hai male. Due occhi seri si sbarrano dentro i tuoi, due mani ti fanno il contorno della faccia, solo dopo parlano: “Cosa hai picchiato?” Eh, vallo a sapere. Guarda dov’e il sangue, avrai battuto lì. Sangue in bocca, si attaccherà mica al lavoro del tuo dentista? No, sembra di no. Ed è già un sollievo da 1000 euro almeno. La diagnosi è banalmente un labbro tagliato. Avrai picchiato la guancia, ma ti è andata di culo. I danni dentro sono altri e non fan testo qui. Ci bevi su quel mezzo litro d’acqua, mentre ti chiedi come hai fatto, e qualche risposta viene. Ora te lo ricorderai a cosa serve il “cordino corto”. Dai, sono cose che prima o poi capitano. Dicono. Già, avresti preferito poi. Si riparte. “Randa, ti leghiamo per salire?” No dai, proviamo. Respiri. E avanti. Non tremi, ma proprio sicura non sei. Qualche mano amica cambia i moschettoni al posto tuo quando ti vede in difficoltà, che per oggi importa solo uscirne. E capisci perché le chiamano “vie di fuga”.

Randagia, che porge l’altra guancia…

Mont Ros, Champorcher: cuscini blu su lenzuola bianche

Posted on Marzo 18, 2012 by randagia

Quest’anno hai detto “Basta”. Basta. Basta a quelle gite in montagna che fai 700 metri di dislivello a inizio stagione, dicendo “alla prossima ne facciamo di più”, e ti ritrovi a fine stagione che sempre 700 ne fai. Crescita zero, come l’Italia. Ma quest’anno lo fai, ti iscrivi al C.A.I. (Club Alpino Italiano), almeno si cambia.
Scarichi da internet il Programma Gite, con discreto anticipo. Tanto discreto, che invece delle gite primaverili ci trovi le gite con le racchette da neve. Perché no?
Iscrizioni il giovedì in sede. “Ah, non hai mai messo le ciaspole? Sì, è una gita facile. E’ praticamente pianura.” Se praticamente è pianura, perché sul volantino c’è scritto dislivello 600 metri? La matematica non è un’opinione, ma la pianura sì?
Ritrovo la domenica, all’incrocio tra Corso Giulio Cesare e Corso Vercelli. Ah perchè, si incrociano? Pare di sì, si incrociano su un bel parcheggio ghiacciato, punto di ritrovo di escursionisti e immigrati rumeni. Dietro corso Romania, appunto. Vedi di azzeccare il gruppo giusto, o tu e le tue ciaspole vi ritrovate a Timisoara, e lì non sai se c’è neve.

Trovi il tuo gruppo, si compattano le macchine, una camicia a quadri carica te e altri. Non sa a cosa si è condannato: oltre al passaggio ti serve anche qualcuno che ti insegni come si cammina con le ciaspole, e una camicia a quadri è tipicamente più disponibile di chi ha il culo TheNorthFace e i pettorali Montura. Destinazione Champorcher. Durante il viaggio, racconti epici vedono protagonisti i vari personaggi del gruppo, in abiti fantozziani. E ridi. “Sta stra a fa ‘vni lurd” ti senti dire, quando di fronte a te si presenta la serpentina d’asfalto che da Bard porta a Champorcher, con tante di quelle curve da diventar scemi (n.d.r. traduzione non letterale).
Parcheggio. Arva. Racchette. Il tuo gentilissimo autista, si prodiga nella lezione numero uno: “Allora Randa, le racchette si mettono così… Ecco, sgancia dietro. Cammina davanti a me che vediamo come sali.” E non lo dice per guardarti il culo, o almeno credi.
Un’immensa distesa di bianco ai tuoi piedi, anni che non ne vedevi una così. In quel momento ti chiedi perchè poi hai scelto lo sci di pista perdendoti tutto questo. Qualcuno ha già lasciato impronte prima di voi, e le seguite, mentre lo sguardo, quando hai il fiato per sollevarlo, spazia su distese bianche schiantate contro il blu limpido del cielo. Lenzuola bianche e cuscini blu: immagini che la levataccia di questa mattina ti porta ad evocare. Fatichi come un mulo, e improvvisamente ricordi: era la fatica della salita che ti aveva fatto scegliere lo sci di pista! Troppo tardi per i rimpianti, grondando sudore, rimani affezionata al passo dell’apripista, che lento e inesorabile, costa dopo costa, ignorando il concetto di sosta, ti frega e ti porta fino in punta.
Respira: ce l’hai fatta! Guardati attorno: un panorama di quelli che visti in cartolina son belli, ma visti mentre ti asciughi il sudore sulla fronte, lo sono di più. No, non sai riconoscere le montagne, gli altri sì, e te le indicano per nome: ancora non sanno che è tutto inutile, perchè tu e la memoria avete un pessimo rapporto. E che dire del bacio di vetta? Quando si arriva su e, con tutto il sudore di cui si è intrisi, si baciano gli altri? Meglio non dire. Volano i complimenti per quelli che “Noi è la prima volta!”. Un bicchiere di the, un panino, due chiacchiere, quattro risate. Chi sbuccia frutta, chi gusta la trippa condita preparata dalla moglie, chi beve solo “sennò non digerisce”. Tu vorresti dormire, ma non sai come dirlo, e allora non lo dici.
In discesa, il tuo involontario mentore, è diventato volontario: “Allora a scendere, talloni verso il basso e lasciati scivolare… Guarda come faccio io, e fai uguale!” E tu lo fai, scendi. Dopo i primi passi incerti, inizia il divertimento: un passo dopo l’altro, correndo sul manto bianco, nel manto bianco. Ti ricordano le dune del deserto, ma bianche, farinose, fresche. Se cadi, chissene! E ridi. C’è chi dice che la montagna dovrebbe essere silenzio, ma non sei convinta. E ridi. Quando ti volti indietro vedi i segni dei vostri passi su quelle lenzuola bianche, confusi e disordinati come fossero di bambini. E sorridi.

Randagia, che bisogna mantenersi un po’ bambini. E ride.

Giordania Settentrionale: Panorami biblici!

Posted on Febbraio 5, 2012 by randagia

Le inquietanti inferriate alle finestre al quinto piano di grigi palazzi non ti stimolano a rimanere ad Amman più del necessario: notte di riposo, giornata di assaggio della Giordania settentrionale, prima del desiderato spostamento a sud. Si visita velocemente Umm Quais, un sito di rovine romane non particolarmente notevole, dove, come quasi ovunque in Giordania, vale più l’atmosfera del posto che il posto in sé. Da qui si gode una bella vista sul Lago di Tiberiade. Sì, sì, proprio quello del catechismo. Sai quando Gesù dice a Pietro «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini», e tutti mollan le barche, mollan le reti e gli van dietro? Ecco, erano proprio su quel lago, a pescare. Ora quel lago è nel territorio di Israele, ed i palestinesi vengono qui a guardare questo fantastico panorama che era la loro patria: vedi il lago, i villaggi, le campagne di Galilea. E ti fa più effetto questo, che pensare che sia un lago di acqua dolce sotto il livello del mare. Le guide ti sconsigliano di andare a Umm Quaiss nei venerdì di sole, in quanto meta dei merenderos locali: sarà, ma non ti credi ti sarebbe dispiaciuto.

Non puoi mancare Jerash, sito archeologico ben più vasto e ricco del precedente. Cioè tu lo potresti anche mancare, ma la rossa modenese, potrebbe uccidere se l’itinerario dovesse escludere questa meraviglia. E tutti i torti non avrebbe. Jerash (Gerada) insieme ad Amman, Umm Quais e altre 7 città faceva parte della decapoli, cioè della decina di città collocate sul confine orientale dell’Impero Romano, tra le attuali Giordania, Siria e Cisgiordania. Ci capiti con la luce del tramonto, fai finta di non sapere che si sta disputando una ridicola corsa delle bighe, ti guardi intorno e respiri fascino. Tra un colonnato e un pavimento mosaicato, i ragazzi del posto si danno appuntamento al muretto, sparando la musica a palla e fumando narghilè: la versione giordana del muretto di Alassio. Un mini souk ti attende all’uscita: chefie di tutti gli stili e i colori. Se hai intenzione di comprarne una, prendila qui: nel deserto ti servirà, e a Petra la pagheresti il doppio. Certo, non sono le chefie ricamate a mano, che vedi indossate dai locali: altrimenti invece di 5 dinari te ne chiedono 50. Almeno evita di prendere quelle con stampato “Made in China”.

Un lungo spostamento vi porta verso Madaba, dove, peccato averlo scoperto dopo, c’è il miglior ristorante di tutta la Giordania a prezzi non proibitivi, l’Haret Jdoudna. Non puoi non provare le baklava in una delle tante pasticcerie che fanno mostra di questi dolcetti al miele in enormi vassoi rotondi, che ti viene l’acquolina solo a parlarne.

Nel gruppo non ci sono ragazzini, ma allora com’è che la guardia deve venirvi a dire “Vi ricordo che questa è una chiesa, meno casino!” ? Sì, per lo meno lo dice in inglese e non in italiano, ma è una magra consolazione. Il mosaico della mappa della Terra Promessa, incastonato sul pavimento di una chiesa, voleva indirizzare i pellegrini, verso i luoghi di culto, e quindi questi vi erano principalmente raffigurati. Risale al VI secolo, ed è talmente particolareggiato da essere stato base per la cartografia della zona. Se lo visitate al mattino, la luce che filtra dalla finestra può infastidire il fotografo appassionato, a tal punto che i suoi amici potrebbero incasinarsi nelle peggio pose per realizzare ombre opportune, magari senza mantenere il silenzio, quindi: ricordatevi che siete in una chiesa!
In questa zona son fanatici del mosaico, c’è anche una scuola, la migliore al mondo. Una bella collezione è presente sul Monte Nebo, ma in questo periodo (gennaio 2012) è chiusa per restauri, quindi non la vedete. Farci una puntatina merita comunque, perchè il Monte Nebo non è solo mosaici, no. Tu vai, mettiti lì, sul terrazzo panoramico, guarda davanti a te: si vede Gerico, la valle del Giordano e se il cielo è terso, anche Gerusalemme. Sentiti arrivato, come Mosè qualche migliaio di anni fa. Già era proprio il buon Mosè che, dopo aver condotto il suo popolo per anni di marcia, arriva qui e finalmente vede la Terra Promessa. Peccato non riesca ad andare oltre e schiatti qui, per volere di Dio o per sfiga, che spesso coincidono. Si dice che Dio stesso l’abbia sepolto su questo monte, lasciando al figlio Giosuè il compito di tagliare il traguardo.

Randagia, che per questo viaggio ha ripassato le lezioni di catechismo

Giordania Trekking: pronti, partenza, via!

Posted on Gennaio 24, 2012 by randagia

Dicembre.‭ ‬Voglia di deserto.‭ ‬Voglia di cambiare aria.‭ ‬Subito.‭ ‬Chissenefrega del Natale‭? ‬Parti subito che sfrutti meglio le ferie.‭ ‬Peccato che il resto d’Italia non la pensi come te,‭ ‬e fin a dopo Natale non c’è il numero di partecipanti sufficiente affinché un viaggio parta.‭ ‬E aspetti.‭ ‬Aspetti che passi Santo Stefano,‭ ‬e parti con il viaggio‭ Giordania Trekking‭ ‬di‭ Avventure nel Mondo‭.

Camminare ti piace,‭ ‬in montagna ci vai spesso,‭ ‬secondo la scheda del viaggio,‭ ‬si tratta di trekking di categoria‭ “facile”,‭ ‬vuoi non farcela‭? ‬Arrivano le prime mail del gruppo che si sta formando.‭ ‬Il viaggio è stato assegnato alla guida di un tizio di nome Donato ma di mail Renato,‭ ‬giusto per aver confusione già dall’inizio.‭ ‬La confusione però si limita al nome,‭ ‬perché le istruzioni di viaggio che vi propina sono nette:‭
1‎) ‏leggetevi la relazione che vi mando,‭ ‬scritta da chi prima di noi ha fatto lo stesso viaggio‭ (‬e vedete di non fare domande che lì hanno già una risposta‭).
2‎) ‏mettete l’indispensabile nel bagaglio a mano,‭ ‬che quello in stiva è probabile che ce lo perdano.
3‎) ‏portate qualcosa di tipico della vostra regione,‭ ‬meglio se alcolico.

Ecco diciamo che il decalogo del perfetto viaggiatore non serve,‭ ‬basta il trittico.

Iniziamo a leggere la relazione.‭ ‬Bello,‭ ‬ti dicono cosa ti devi portare.‭
Scarpe da trekking.‭ ‬Sì.‭
Vestiti comodi.‭ ‬Sì.‭
Una corda da‭ ‬20‭ ‬metri.‭ ‬Una corda da‭ ‬20‭ ‬metri‭? ‬Ma non era un viaggio di categoria‭ “‬facile‭”? ‬E scusa,‭ ‬fosse stato di categoria‭ “difficile” ‬serviva anche la corona del rosario da‭ ‬5‭? ‬No,‭ ‬la corda no.‭ ‬Tanto se la porti,‭ ‬mica la sai usare.‭ ‬La porteranno altri,‭ ‬ovvio.‭ ‬Altri sì,‭ ‬se solo non ragionassero come te.‭ ‬Però prendi il moschettone viola,‭ ‬che un moschettone serve sempre,‭ ‬dice tuo padre,‭ ‬ma mica è vero.
Di tipico cosa porti‭? ‬La bagna cauda‭? ‬E no,‭ ‬senza tapinambur no.‭ ‬I gianduiotti‭? ‬Si squagliano.‭ ‬Torrone,‭ ‬vai di torrone.‭ ‬E qualcuno ci provi a dire che non è tipico piemontese.
Sul bagaglio,‭ ‬già sai,‭ ‬non ti preoccupi:‭ ‬scarponi ai piedi,‭ ‬sacco a pelo nello zainetto,‭ ‬di tutto il resto,‭ ‬se va di sfiga,‭ ‬si può fare a meno,‭ ‬o quasi.

Il gruppo è di‭ dodici persone.‭ ‬Da Torino,‭ ‬siete in due a partire.‭ ‬I grandi accordi preliminari,‭ ‬presi circa tre ore prima della partenza,‭ ‬sono‭ “‬Ci si aspetta al check-in‭”‬.‭ ‬Beh,‭ ‬o siete entrambe immuni alla sindrome del‭ “‬ma tu cosa ti porti‭?” ‬o siete prese da altro,‭ ‬o non ve ne può fregare nulla di avere un’idea di con chi vi toccherà passare i prossimi giorni,‭ ‬l’importante è posare i piedi e l’anima in quel deserto.‭ ‬Probabilmente un mix delle tre.
Ci si riconosce facile,‭ ‬al check-in per Istanbul tante valigie,‭ ‬ed un solo zaino.‭ ‬Sarà lei,‭ ‬ma falle uno squillo che eviti figuracce.‭ ‬L’ultimo buon caffè prima del metal detector,‭ ‬con chi in aeroporto ti ci ha accompagnata e qualche amico che tra un check-in e un landed capita di lì.

L’incontro con tutto il gruppo è al gate del volo Istanbul-Amman.‭ ‬Scalo a tempi stretti,‭ ‬ma meglio i tuoi tempi stretti che le‭ ‬10‭ ‬ore di attesa di altri.‭ ‬Tra pochi metri incontri il‭ “‬gruppo‭”‬,‭ ‬e che Allah te la mandi buona. Anche qui riconoscerli è facile.‭ ‬Un cofanetto di Ferrero Rocher gira tra un gruppo eterogeneo di persone:‭ ‬matematico,‭ ‬sono loro.‭ ‬Un Terence Hill che non ha abusato di botulino si avvicina sorridente,‭ ‬con l’accento di Troisi:‭ ‬ecco è Renato/Donato‭! ‬Lui viaggia leggero,‭ ‬solo bagaglio a mano.‭ “‬Certo,‭ ‬perché la tenda te la sto portando io‭!” ‬dichiara sorridendo una voce con lo stesso accento,‭ ‬la sorella.‭ ‬I Ferrero Rocher hanno uno sponsor Emiliano,‭ ‬Tiziana e Franco,‭ ‬la coppia del gruppo.‭ ‬Il ruolo di cassiere,‭ ‬tanto odiato quanto indispensabile nei viaggi in cui è prevista una cassa comune‭ (‬sempre con Avventure nel Mondo‭)‬,‭ ‬è già stato assegnato in tua assenza a Ol,‭ ‬povera lei che si prende la rogna,‭ ‬ma contenta tu che l’hai scampata.‭ ‬Un Piero Pelù più in carne e con i capelli corti è arrivato da Milano per voi,‭ ‬sotto il falso nome di Ale.‭ ‬Il veneto è ben rappresentato dagli aitanti Wil e Henry.‭ ‬Ma belin,‭ ‬dove sono i genovesi‭?

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