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Che fico!

Posted on Luglio 21, 2014 by randagia

Partenza pomeridiana, destinazione Bivacco Clermont. Autostrada Torino Aosta. Il solito salasso. Uscita Nus, direzione Lignan. Per strada aguzzo la vista: cerco una fontana per riempire la borraccia ed un gelato per riempire lo stomaco. Un’insegna vecchio stile “Gelateria Buzzi” mi fa dimenticare della fontana ed il motore si spegne nel parcheggio riservato ai clienti.
“Dai, dai uno piccolo che poi cammino di più!”.
Il socio sa che non è vero, ma per fortuna il gelato piace anche a lui.

Mentre penso a quale insolito gusto scegliere, non posso non sorridere alla scritta sulla parete:
A volte mi sdraio sul divano
e penso a tutti gli errori della mia vita
e mi domando: sarà avanzato del gelato in frigo?

Un vecchietto da cartolina, con i capelli bianchi, il viso rugoso e bello si alza da un tavolino della sala. La ragazza che serve i gelati lo saluta, chiamandolo per nome: “A domani, Ernesto!”.

Io provo due gusti: Bacio di Nus (un godurioso bacio di dama alle noci) e Fico. Il socio non resiste al Pinolo Croccante. 10 e lode al fico, ottimi voti agli altri.

La lavagnetta che recita “coppa di gelato con frutta fresca e panna” è l’invito a tornare domani, e magari scambiare due chiacchiere con Ernesto. E se arrivassimo troppo tardi? Ci consoleremmo con il distributore automatico dei Baci di Nus.

Proseguiamo verso Lignan, c’è una fontana dopo un paio di tornanti, adocchio una deviazione verso l’accattivante agriturismo genuiNUS che avrei visitato solo per la creatività del nome, ma due tappe per la stessa gita non si fanno. Poco male, il Monte Faroma dal bivacco Clearmont non è l’unica cima interessante da queste parti, capiterà di ritornare…

Randagia, mica pizza e fichi, noci!

Il sito della pasticceria/gelateria è http://www.pasticceriabuzzi.it/.

Lacci Rossi

Posted on Luglio 9, 2014 by randagia

I primi scarponi, di cuoio con i lacci rossi. Lo zaino è gonfio: dentro c’è solo il piumino, che fa volume senza pesare. Tutti i viveri e l’abbigliamento che veramente serve sono negli zaini di mamma e papà. Corri, inseguendo le farfalle, incuriosita da genziane e anemoni, fin quando il verde dei prati sfuma nel bruno della terra: solo terra, pietre e salita, tanta salita. A due tornanti dalla fine, un signore senza un braccio, ma con un enorme sorriso, ti regala una caramella e ti dice “Vai vai, che su ci son le giostre!”.
Le giostre non ci sono. Le avranno già smontate? Ma come avranno fatto a portarle via? Tua madre seduta sullo scalino della cappella di vetta, con i fogli di prosciutto sulle gambe, cerca di dare risposta alle tue domande e alla tua fame. Rifocillata, trotterelli su quella cima grande, arida e disseminata di buchi. Sarà così la luna? Tutti guardano il panorama, tu guardi tutto, e tutti. Chissà perchè di tante gite fatte da bambina, quella è l’unica che ricordi bene. Forse per la storia delle giostre.

Cresci. Le discoteche. I ragazzi. Addio Montagna.

Cresci ancora. No, no, mica invecchi. Saluti il tacco dodici, riprendi gli scarponi, di goretex con i lacci rossi. Le passeggiate in collina diventano presto salite in montagna: la fatica è tanta, ma l’ambiente attorno ti ripaga sempre, o quasi. Ti lasci conquistare dai ghiacciai e con i ramponi d’epoca rubati a papà, di alluminio con i lacci rossi, conquisti i tuoi primi quattromila. E su tutto, torna la voglia di salire al Thabor, a vedere se le giostre nel frattempo le hanno messe. Parti da Bardonecchia, verso Nevache, Valle Stretta. L’abbondante colazione al Rifugio dei Re Magi ti dà l’energia giusta per la salita, su una mulattiera ben larga, fino alla Maison des Chamois. Una chitarra fa sentire le sue note, accompagnate da voci di bambini. E’ una colonia estiva, non di camosci: gente allegra, il ciel l’aiuta. Vada per il cielo, ma se il sole non desse una mano, forse non suderesti così tanto. Sì, sì, la fatica premia, ormai lo sai. Il percorso si addentra in una valle verdeggiante per poi trasformarsi in roccette e terra brunastra. Eccolo, quell’ambiente lunare che ricordavi! Sali, un tornante dopo l’altro, a zig-zag. Qualcuno sta già tornando indietro. Qualcuno ti supera, con la bici in spalla. Eccola, la chiesetta! Non c’è nessuno seduto sull’uscio a prepararti un panino: tua madre questi dislivelli mica li fa più. E allora un morso alla barretta energetica, che tanto va di moda ma ti lascia rimpiangere il panino, e prosegui su quell’altopiano sempre più lunare. La vera cima è poco dopo, dove lo sguardo spazia a destra e sinistra, gonfiando il cuore con uno splendido panorama. Una croce modesta ma significativa resiste ai venti da qualche decennio. Nel suo basamento è nascosto il diario di vetta su cui lasci un piccolo segno del tuo passaggio.

Le giostre? Le trovi in discesa, buttandoti come una bambina sui nastri di neve che ad inizio stagione sono ancora lì. E corri, e scivoli, cadi e ti rialzi. E sorridi, di quel sorriso che ti rimane stampato in volto, anche quando sei ormai tornata a casa. Fino alla prossima gita.

E fu sera. E fu mattina.

Posted on Aprile 8, 2014 by randagia

E una gita ti fermi al colle, e l’altra arranchi talmente che non hai neanche realizzato dove sei passata. O cambi sport, o cambi gruppo. La seconda che hai detto. “Vieni con noi che siamo più tranquilli” ti dice chi li conosce. E tu vai. Sci ai piedi il venerdì sera, alle 19. Si stimano due ore per arrivare al rifugio Pontese, parola della rifugista. Un continuo gava e buta salendo da Locana alla Diga di Teleccio, ad un ritmo che ti chiedi “Ma questi non erano quelli tranquilli?”.
E fu sera. Si preparano le luci frontali, che quelle naturali stanno finendo. In lontananza la luce del rifugio. Si sale ancora, poi la neve finisce. Ed una traccia con la frontale la segui, ma quando la neve finisce? Cerchi i bollini rossi, qualche orma, e dopo un po’ di ravanate su erba, rivedi una traccia. Sei felice di aver cambiato le pile alla frontale. Ormai son le nove passate, hai fame, hai sonno. E sto rifugio non si vede. Però che bello salire di notte. Arrivi sul dosso, e da lì si vedrà, no? Niente. Però si sente: il romantico rumore di un generatore. Lo segui, ancora un dosso, ed eccolo lì il rifugio: ragazzi ci siamo! Mara, la rifugista, ci serve cena anche se sono le dieci passate, e non stiamo a precisarle che forse è stata un po’ approssimativa con i tempi di salita, lo sa. Qualcuno che aveva già fatto cena, per compagnia, ripete.
E fu mattina. Dopo l’esperienza dell’avvicinamento al rifugio, qualche anima non si alza dalla branda. Chi ha ripreso l’uso delle gambe riparte all’alba, con la neve che sembra cambiar colore ad ogni passo, nel silenzio più totale, verso il Blanc Giuir. La valle è tutta vostra. Eccerto, pochi altri pirla si sparano quelle tre ore di salita su neve-asfalto-erba, gli altri aspettano che la strada sia aperta. Scopri che se sotto un filo di neve c’è la roccia, e ci poggi le lamine, un microsecondo dopo su quella stessa roccia ci poggerai anche il culo. E non è bello. Ma il panorama, al solito, merita la fatica. Quasi emozionante tornare tornare al rifugio con la luce del sole. Qualcuno deve tornare a valle, qualcuno avrebbe dovuto ma avvisa casa, e si ferma per la domenica, per la Punta di Ondezana. Birra, chiacchiere e pennichelle. E fu sera.

E fu mattina. Il passo è meno clemente di quello di ieri, e quando qualcuno dalla coda del gruppo, via radio, chiede “ragazzi, facciamo una sosta per compattare?”, spavaldi dalla testa rispondono “Noi siamo troppo avanti, non compattiamo più!”. Ah si? E allora vi raggiungiamo noi. O almeno ci proviamo. La salita piace, chi fa foto, chi fa sorrisi, chi fa fatica. “Randa, te la senti di andare in cima, o preferisci il colle?” Non sai come dire che di fermarti ai colli ne hai piene le scatole, ti limiti ad un serio “me la sento”, cui forse hanno fatto finta di credere. Grazie. Una serie di gucie, l’ennesimo tratto sci in spalla ed è fatta: sorriso a trentasei denti, sguardo a trecentosessanta gradi. E meno male che c’è il Cervino, che almeno una cima la riconosci anche tu!

Randagia, che adora i weekend “tranquilli”

Zitella da frigo

Posted on Marzo 4, 2014 by randagia

“Ho bisogno dei miei spazi”.
“Mi devi lasciare i miei spazi”.
Son frasi che prima o poi in una coppia si dicono. O almeno così mi riferiscono le amiche. Quelle “single dentro”? No, non credo. Quelle neanche sanno cosa sono i loro spazi. Perchè tutti gli spazi sono loro. Anche quelli in frigo.

Molly – Figurati che questo mi ha chiesto di tenere sempre una bottiglia di acqua naturale in frigo, che quella del sindaco è imbevibile. Ma che se la porti da casa, io bevo la frizzante!
Randa – Ma è quello che quando viene da te cucina lui?
Molly – Sì.
Randa – Quello carino, alto, con i capelli lunghi?
Molly – Sì sì lui
Randa – Quello senza figli a carico nè ex mogli?
Molly – Massì lui
Randa – Ecco allora digli che anche io bevo frizzante, ma il mio frigo può contenere fino a 12 bottiglie di acqua naturale, una per ogni marca, anche quelle che non sono mai in offerta.

Ciccia, se a quarant’anni arrivi a pensare che tenere in frigo una bottiglia di acqua non destinata a dissetare te sia una lesione dei tuoi spazi, allora sei stata single troppo a lungo. Ed un motivo ci sarà.

Randagia, con il frigo vuoto, potenzialmente.

Zerbion, è vitamina C

Posted on Gennaio 13, 2014 by randagia

Gli amici ci sono andati durante le vacanze di Natale, ma tu quel giorno non potevi. Peccato, quella cima era da un pezzo nella tua lista dei desideri. Fortuna, ogni tanto i desideri si avverano. L’elenco gite GSA ci presenta una variazione: Domenica 12 Gennaio, Zerbion da Promiod! E sei felice, stavolta non ci sono scuse, ci andrai. Non sai perchè lo Zerbion ti attira tanto: sarà per il panorama a 360 gradi su tutte le catene della Val D’Aosta, sarà per la Madonna della vetta, o sarà perchè hai già pronto il banale titolo per l’articolo. Non lo sai, ma ci vai.

Per partire in forma, riposata, rifiuti qualunque gita di scialpinismo al sabato. Non resisti però al sabato in pista: Via Lattea, poca gente, neve bellissima ed una compagnia che non concede soste se non una unica pausa pipì (non senza aver verificato “Randa, ma non la puoi fare qui all’arrivo della seggiovia, proprio dentro ad un bar devi andare?”). Ecco, proprio proprio riposata non parti, ma parti.

Sci ai piedi alle 9, una cinquantina di allegre persone si incammina, nel chiacchiericcio generale. L’inizio presenta più terra che neve, ma non ci si spaventa. Si sale nel bosco. Un po’ di strada, poi traccia. Il fiato non ti consente gran discorsi, quindi ti limiti ad ascoltare i discorsi degli altri. C’è Guido che racconta le sue arrampicate in settimana, e viva la pensione! Un altro racconta della sua festa di compleanno e delle troppe donne che lo assillano: non fosse che rischi l’equilibro, quasi quasi daresti uno sguardino dietro a vedere se è davvero George Clooney in versione scialpinistica ad incalzarti il passo. Quando dal bosco si esce, alzi la testa ed eccolo, il panorama che ti aspettavi. Sullo sfondo azzurro, tutte pennellate di bianco, si presentano le montagne della Val d’Aosta. E i bambini fanno “oooooooohhh”. E non solo i bambini. Con continue botte di panorama, si sale fino alla cresta. E lì sbagli, smetti di guardare le vette e guardi giù: se scivoli qui, ti trovi seduto alla roulette di Saint Vincent. “Randa, sei tranquilla? Vuoi mettere i rampant?” No, tranquilla per niente, vorrei mettere le ali. Ma stringi le chiappe, e vai avanti. La cima merita la fatica, ed i momenti di tranquillità. Peccato che nel calcolo dei pesi, per portare i ramponi, hai lasciato a casa la macchina foto.

Randagia, con un desiderio realizzato nel 2014, e siamo solo a Gennaio!

Mary Poppins era una scialpinista

Posted on Dicembre 17, 2013 by randagia

Un passo dopo l’altro. Destro, sinistro. Gucia. Destro, sinistro. Destro. E basta. Lo sci sta giù, lo scarpone viene su. L’attacco non attacca, non allo sci, non più. Ti fermi come un’ebete, ti giri indietro e guardi i compagni che salgono dietro di te, con lo stesso sguardo di un bambino che si è fatto la pipì addosso. I compagni per fortuna sono meno ebeti di te. Uno prende lo sci, e come un chirurgo ordina “Cacciavite!” Stella o taglio? Se è tork, non c’è speranza. In pochi secondi compaiono cacciavite a taglio, a stella, pinze e bisturi. Scotch americano e fascette di plastica. La borsa di Mary Poppins è vuota in confronto allo zaino di uno scialpinista. Intanto gli altri passano, e se hanno qualcosa di utile lo lasciano al gruppo dei McGiver. Lo scotch americano fa spessore nei buchi, e le viti, con il dovuto sforzo, forse tengono di nuovo. Un giro di fil di ferro attorno, due buone fascette ben strette, un giro di scotch americano per decorare. Come nuovo. Provi a minimizzare, invitando gli altri rimasti a salire comunque in cima, tu li avresti aspettati lì. Ma non funziona così, ti ricordano che il giro è ad anello, di lì non ci ripasseranno. Vorresti sprofondare, e sprofondi, perchè la neve lì è ancora tanta, e senza sci non stai su. Gli artigiani del rattoppo ripartono all’inseguimento del gruppo, mentre, come da regolamento, uno dei capigita si ferma e scende con te. “Ora devi scendere leggera, lo zaino te lo porto io”. Eh già, ma il culo te lo devi portare tu, che di leggera hai forse la coscienza, di certo non la sciata. Neanche ti conosce, tanto tranquillo non sarà. “Senti, facciamo un bel traverso, e magari giri a papera, da ferma. Lo sai fare, vero?” Nei suoi occhi il terrore che la tua risposta sia “no”. Sì sì, almeno quello lo sai fare. Gli hai dimezzato la gita, ora vedi almeno di minimizzargli i problemi. Traverso, inversione. Traverso, inversione. Ma se l’attacco tiene, magari una curva la proviamo? Tiene. Tiene bene!

Arrivate alle macchine, senza le chiavi, ma poco importa: nessuno si è fatto male. Aspettate un po’ che anche gli altri scendano, e poi acciughe al verde, torte natalizie e allegria, come nella migliore tradizione GSA.

Randagia, che anche oggi ha portato a casa la pelle e le pelli

Gucia dopo gucia

Posted on Novembre 17, 2013 by randagia

Non si usa più far la danza della pioggia, ma un sacco di sciatori fanno quella della neve. I risultati però sono modesti, quindi per ora si può solo tentare di risalire le piste ed evitare le multe: Cervinia o Mongi? Cervinia, che si sale di più, dicono quelli che ne sanno. Ti fai coraggio e vai, poi sto corso l’anno scorso sarà pure servito a qualcosa no? Chissà quanta roba dimenticherai, o non saprai più usare, sei già pronta alle prese in giro. Ma in fondo tutti hanno un po’ paura di dimenticare qualcosa alla prima uscita. Tu hai dimenticato i calzettoni, ma un paio di calze del tuo numero sbucano da un altro zaino: la figura l’hai fatta, ma i piedi sono salvi. Chi ben inizia…
Mervagliosamente bianco, meravigliosamente sole. Dopo pochi passi: “Randa, ma le gucie al corso non te le hanno insegnate proprio o sei tu non le hai imparate? Vienimi dietro e fai uguale”. (La “gucia” è quello che sui manuali di scialpinismo è definito come “tecnica di inversione di marcia”, per noi è gucia). E quest’anima pia inizia a ricamare una gucia dopo l’altra, a destra e a sinistra, che neanche tua nonna a punto croce era precisa così. E tu segui, o almeno ci provi. C’è chi ammira le tracce in discesa, chi col fiatone guarda la gucie in salita. Ripasso fatto, ora vedi di ricordartelo, e di pagargli da bere.

Mentre salite, le “tutine” vi sorpassano, e non solo quelle. Si incrociano amici vari, i personaggi conosciuti tramite guilliver.it e poi, voilà, una selezione della scuola sci, con il Diretur in testa. Tutti alla prima gita, tutti a dire “sto faticando”, “son salito da bradipo”, sì sì, intanto sei salito. Quando arrivi a Plateau, il Diretur è già pronto per la discesa:”Randa, mi scrivi una relazione?” Eccerto, le relazioni ti son sempre venute meglio delle gucie.

E poi arriva la discesa anche per te, con le gambe che urlano alle prime curve, e la faccia che sorride a quelle dopo. C’è un sole che spacca le pietre, e ci sono le pietre che se non fai attenzione ti spaccano gli sci.
Qui si scende insieme, scialpinisti e pistaioli, c’è spazio per tutti. Ma tranquilli pistaioli, tra poco togliamo il disturbo, o almeno si spera 😉

Randagia, che ogni inizio è un’emozione

Il questionario di fine estate

Posted on Settembre 1, 2013 by randagia

Tutti gli anni va così, a fine estate si cercano le amiche perse di vista per un po’. Succedeva così a 15 anni con tutte le compagne di scuola, a 25 con le amiche scelte, a 30 con le poche rimaste, a 40 con le poche rimaste zitelle.
E le domande son sempre quelle, in rigorosa sequenza:
“Divertita? Dove sei stata? Conosciuto qualcuno di interessante? Quagliato?”
E quando una risponde sì all’ultima domanda, parte la seconda puntata del questionario di fine estate.
A 15 anni, ingenue, si chiedeva “Carino? Ma tu le senti le farfalle nello stomaco?”, senza che poi si sia mai veramente capito cosa significassero queste farfalle.
A 25 anni, sognatrici, si chiedeva “Carino? Ma tu sei innamorata?”. E sulla fiducia si rispondeva sì, anche se qualcuna non ha mai veramente capito cosa significasse.
A 30 anni, con l’orologio biologico che tuona tic tac, la domanda diventava “Carino? Ma tu ci faresti dei figli?”. E se proprio una era cotta, rispondeva anche affermativamente, assolutamente inconsapevole di cosa avrebbe potuto significare.
Con la maturità dei 40 anni, la domanda si trasforma in “Carino? Ma tu ti ci legheresti in cordata?” E se rispondi di sì, sai esattamente cosa significa.

Randagia, che non compila i questionari di fine estate.

Quando la fatica premia

Posted on Luglio 15, 2013 by randagia

Questa settimana avevi deciso di riposarti, le gite alpinistiche dei weekend precedenti avevano provato te e il tuo stomaco, quasi a dirti “rassegnati che patisci la quota: tu ami la montagna, ma a lei stai un po’ sull’anima”. Ma. Ma. Chi al Dome de Niege des Ecrins è già stato, ti dice che è una meraviglia in terra, in un parco, senza tralicci e uova di vetro a portare in quota qualunque pirla. “E’ un ambiente unico, che devi vedere almeno una volta. Si vede il Pelvoux, si attraversa il Glacier Blanc, si passa sotto la Barre. Un ambiente unico e vario. Ghiacciai spettacolari, e nessuna funivia a consegnarti al rifugio, solo le tue gambe ed il tuo fiato. “Randa, non vieni? Se una funivia non ti porta il culo a 3800 tu non sei buona di farlo arrivare a 4000?”. E vuoi non andare?
Si parte il sabato mattina da Torino, carovana di quattro macchine. Secondo appuntamento a Monginevro, ad aggregare la quinta. Ma come pensiamo di arrivare a 4000 metri, se già dopo 100 km abbiamo un’auto in panne? Ridistribuiamo i partecipanti sulle macchine e abbandoniamo la sfortunata in un parcheggio fino a domenica. In fondo molti dei partecipanti, poche ore prima, hanno fatto lo stesso con la moglie. Tra caffè, benzinai, meccanici, arriviamo a Ailefroide che è mezzogiorno, e di froide non c’è proprio niente. Solite domande di rito “Avete tutti moschettoni, imbrago, ghette?”. C’è sempre chi porta qualcosa di scorta, e c’è sempre chi dimentica qualcosa. “Nooooo, i pantaloni!”. Non è un articolo su cui siamo preparati. Colletta di calzamaglie e pantaloni stile ThinkPink, di cotone leggerissimo: un’esperienza refrigerante portarli su ghiacciaio. Si parte. Il sole cuoce, ma il fiume rinfresca. Il verde del parco fa riflettere: davvero vuoi salire su nei freddi ghiacci? Vuoi. Dopo due ore di salita, inizia la neve. Una foto, due chiacchiere. Lo sguardo che spazia a riempirti il cuore. Il Pelvoux fa subito mostra di sè, quella lama di roccia inclinata lassù è la famosa Barre, e giù in fondo, il nostro Dome, la meta di domani. Sotto i piedi, si apre qualche fessura, dapprima sottili, poi un po’ più ampie. Stringi le chiappe e salta. Qualcuno si chiede perchè le donne hanno sempre tutta sta paura a saltare. Forse perchè sono più intelligenti, suggerisce qualcun altro, ma non è detto. Ancora due ore, e sei al rifugio. Un affollamento che neanche ai concerti di Vasco ai tempi d’oro. Pochi italiani, tanti francesi. Il Refuge des Ecrins è abbarbicato su una roccia, sopra un mare di neve. Un mare calmo. Dall’alto le fessure che tanto facevano paura, sembrano banali graffi di gatto. Sembrano. Qualche nuvola in cielo, il tramonto, qualche stella.

La colazione la servono alle 3, si parte in piena notte, che è già un’emozione in sè. Le luce delle frontali dipinge un sentiero di stelle che parte dal rifugio ed attraversa il mare di neve. Un sentiero di cui fai parte anche tu. Alla prima impennata del percorso, si confermano i sospetti che tu non sia la scheggia della cordata, ma la capa adatta il suo passo al tuo ritmo come l’acqua si adatta al bicchiere, i due uomini del gruppo fanno lo stesso, decantando quanto sia bello salire una volta ogni tanto senza ammazzarsi di fatica. Loro, perchè tu stai dando tutto quello che hai. Solo quando i “mufloni” che stanno salendo alla Barre tirano giù pietre da farvi secchi, i tuoi compagni di cordata, mentre smadonnano “Se tses nen bun a muntè sensa tirè giù i roc, sta a ca’!” osano chiederti “Ce la faresti mica ad andare più veloce in questo tratto, che magari ci salviamo la vita?” E come dirgli no. Il ghiacciaio è meno crepacciato di come ce lo si aspettava, ma per chi di ghiacciai ne ha visti pochi, lo è già abbastanza. Chi hai davanti, ti mostra come passare in sicurezza. Chi hai dietro, sta facendo foto. Foto? “Via quella macchina e corda tesa!” e dimostri che calma e gentilezza non sono le tue doti migliori. Concentratissima, picca nella neve con una forza che ti stupisci di avere, e via è fatta. Uno sguardo al compagno, che ha messo via la macchina foto, e sta scavalcando il crepaccio come fosse un tombino in via Roma. Al prossimo passaggio, che è complicato solo per te, la corda è tesa, e tu passi serena in men che non si dica. Basta poco a farti star tranquilla. Una bella cordata per esempio.

E si arriva tutti in punta, chi prima chi dopo, chi non conta più le decine di ghiacciai fatti nella vita, chi è al suo primo primo rampone, con un sorriso a 4015 denti. Defezioni zero: evento più unico che raro. Abbracci, foto, battute. E poi tutti giù. La discesa, potrebbe sembrare lunghina. La fatica si fa sentire. “Ma non è che ci siamo persi e stiamo girando in tondo? Non è possibile che non finisca mai…” Non si vede ancora la fine del ghiacciaio, ma si vede una farfalla, e quelle si sa, sui ghiacci mica salgono tanto. “No Randa, non è una farfalla, è un’allucinazione. Ma prima non abbiamo incrociato San Pietro che saliva?”

Passo dopo passo, si torna a valle. Qualcuno corre alle macchine per essere a casa in tempo record, qualcuno butta i piedi in una fontana per riprendersi, qualcuno si appoggia ad un tronco e si addormenta lì.

Randagia, che un ghiacciaio senza funivia è la meglio gita che ci sia.

Le donne forti danzano scalze

Posted on Giugno 14, 2013 by randagia

Li hai apprezzati con entusiasmo quando nei giardini di Oulx hanno messo in scena, con solo un baule ed una coperta, l’emozionante spettacolo “Ho visto la neve”. Li hai seguiti nelle piazze della Valle di Susa sulle mosse di “Barbarià”. E oggi hai pianto con le loro donne forti, che danzano scalze, sul palcoscenico della vita. A Torino, alla Cavallerizza sì, ma “manica corta”, che non è il dress-code, ma il nome della sala piccola, concessa gratuitamente dal Comune di Torino, agli attori di Artemuda, in collaborazione con Amnesty International. Allora meglio rimboccarsi le maniche e ripetere lo spettacolo due volte la stessa sera, che con una sola sala, si offre il doppio. E mettere in scena uno spettacolo due volte nella stessa sera, facile non è: sbalzi di adrenalina, di concentrazione, stanchezza non sono amici degli attori.

Le storie di cinque donne, ognuna con un nome e cognome. Ognuna con una violenza diversa con cui convivere. Qualcuna consapevole, qualcuna meno. Qualcuna ne esce, qualcuna no.
Il nero, il rosso ed il bianco si scambiano di proporzioni sul palco, e non sono colori scelti a caso.
Entri in sala curioso. Ne esci non solo informato, sensibilizzato, come in tante campagne progresso, ne esci commosso, magonato, arrabbiato. Arrabbiato perchè troppo poco si ricorda che violenza non sono solo le botte di un marito, le cinghiate di un padre. Violenza sono anche i silenzi colpevoli di una madre, le parole di un compagno che continuamente accusano e minacciano. A fine spettacolo, ci sarà una pulce in un orecchio a ricordarti come la tua denuncia potrebbe andare ad un commissario che tenderà, sbagliando, a minimizzarla, un seconda pulce si insinuerà nell’altro orecchio a farti dubitare che le due avemarie suggerite da un uomo in tonaca nera possano non essere la vera soluzione. Un’idea ti sarà chiara nella mente: se ritieni di subire violenza, non ci sono avemarie, non ci sono giustificazioni. Se pensi di subirla, la stai subendo, e allora denunciala, e se non ti ascolta la polizia, se non ti comprende il prete, cerca un centro di aiuto, un centro di ascolto, tu cerca, finché qualcuno ti darà attenzione: hai tutto il diritto di dire basta.

E se i fondi raccolti da questo spettacolo serviranno ad aiutare anche solo una donna, ad alzare la testa, farsi aiutare e dire quel liberatorio “basta”, allora sì, sarà un successo. Per ora, è stato un successo di pubblico.

Le donne forti danzano scalze, di ArTeMuDa con Amnesty International, con il patrocinio del Comune di Torino è andato in scena il 25 Maggio 2013 alla Cavallerizza Reale di Torino. Si ripeterà a Aosta, sabato 12 ottobre 2013 alle ore 21 alla Cittadella dei Giovani.

Randagia, che danzate scalze!

Corsica: gambe in spalla e scarponi al collo

Posted on Giugno 9, 2013 by randagia

Sei uomini. Sei donne. Tre auto. Un traghetto. Che parte in ritardo, e attracca in orario. Destinazione Bastia, il porto dove si attracca e da cui si va subito via. In vicina lontananza, il Cinto innevato, la Paglia Orba bianca, il Capo Tafunato che, buco escluso, è bianco anche lui. E siamo a Giugno. Strappiamo qualche baguette al furgone del pane, zaini in spalla e via, si sale. Una bel sole, un bel bosco, un bel fiume. Un bel ponte? No, quello non c’è. E i fiumi sono in piena. I guadi si fanno più impegnativi, non basta più saltellare di pietra in pietra, passando veloci con gli scarponi in acqua, bisogna passarli scarponi al collo. Ma non basta. Adesso l’acqua è più alta, la corrente più forte. La voce del saggio dice “Torniamo indietro, e cerchiamo un’altra strada”. Il saggio è già finito in acqua altre volte, evidentemente. Ma uno è già in mutande a valutare il miglior passaggio, un’altra ha già l’acqua alla bigioia e detta le regole del buon guado “tieni i piedi bassi, e l’equilibrio con i bastoncini”. E mentre i più rimaniamo titubanti e attenti a riva, un gruppo di francesi dalle chiome bianche ci raggiunge, e attraversa con una leggerezza che sembra eccessiva per la forza della corrente. Talmente leggeri che la corrente ne rivolta una come una tartaruga sul dorso: acchiappata prontamente dai nostri, è salva. Farla smettere di ringraziare risulterà più difficile che toglierla alla corrente. La nostra sporca dozzina si dimezza: sei guadano cauti seguendo i consigli, sei scendono a cercare un ponte più sicuro. Siamo al primo giorno di trek, e le nostre strade già si separano, fuor di metafora. Ci ritroviamo la sera all’ostello di Castel de Vergiu: si scambiano le impressioni, le emozioni, qualcuno vispo, qualcuno stanco, qualcuno preoccupato, qualcuno più morto che vivo. Si valutano i percorsi del giorno successivo, e si inizia a temere per i fiumi da attraversare: con questa primavera invernale, tutti i fiumi sono in piena, ed in Corsica non sembrano proprio aver il vizio di costruire ponti, infatti i pochi ponti che ci sono, li chiamano “genovesi”. Lasciamo il sentiero “Mare Mare Nord” per percorrere un tratto del famoso “GR20”. Partiamo presto, vogliamo guadare il guadabile prima di pranzo. Ad ogni rumore di fiume, una stretta al cuore, e anche più giù. Ne passiamo uno, due, tanti. Oggi tutta la dozzina è compatta, la strada è la stessa, la nostra. E infatti tutti compatti stiamo, sulla riva di un fiume immenso, sotto la pioggia, tutti a pensare “Porca miseria, qua vince lui!”. I più tenaci salgono e scendono la riva alla ricerca del passaggio giusto. Inutilmente. Poi un urlo, con un entusiasmo degno dello sbarco in Normandia: “Sono di là! Hanno attraversato!”. Qualche metro più su, un enorme pino laricio adagiato sul fiume ci aspetta. Uno dei capogita lo sta provando, avanti e indietro, prima di dare il via libera al resto della dozzina. Non è scivoloso, passi lenti e ben guidati, mani ancorate ai nodi dei rami, e siamo tutti di là. E nessuna delle sei donne ha fatto storie quando la mano del capogita si è appoggia alla chiappa per aiutarla: meglio una manata sul culo, che una culata in acqua. E quando pensi che i pericoli siano finiti, ti imbatti nella famigerata gentilezza corsa: un cavaliere corso non ha mancato di attacarci con il suo prode destriero, perchè non ci siamo allontanati abbastanza in fretta dal sentiero per dar spazio a loro. Quando si dice accoglienza turistica. Scampati anche alle ire del buttero corso, torniamo alla civiltà, e recuperate le auto, e imbatterci nelle ire degli automobilisti corsi, ma, come dicono a bastia, “lasuma perdi”.
Ci spostiamo verso il mare, verso le Calanques di Piana, con le loro pareti di granito rosso a strapiombo sul mare. Con una assolata escursione alla Torre di Capo Rosso, genovese come i ponti, diamo fondo alle nostre scorte di acqua, e ai nostri giorni di vacanza.
Un meritato riposo sul sundeck della Corsica Ferries, ci riporta, completamente ricaricati di energie, verso il continente.

Randagia, che no, non abbiamo foto dei guadi: i momenti più belli sono quelli in cui alle foto non si riesce a pensare.

Quando sai tutte le domande…

Posted on Giugno 6, 2013 by randagia

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