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I feel CUD

Posted on Gennaio 24, 2012 by randagia

Scrittorincittà. Cuneo. Non posso non fare un salto. Prenoto due biglietti per Michela Murgia. Non ho mai letto nulla di suo, ma mi è simpatica a pelle. E la pelle non sbaglia. Teatro Toselli. Le letture vanno. Belle. Che fanno pensare. Fino al bis. Che fa tremare. Michela ti informa, che Santa Romana Chiesa, per riprendersi dalla decimazione degli 8×1000, a seguito dei ben noti episodi di pedofilia, ha bandito un concorso a premi per le parrocchie. In palio un volo a Madrid, per le giornate della gioventù, per le parrocchie migliori. Ma migliori in che? Migliori nella raccolta CUD. I feel CUD. Così l’hanno chiamato. «Cosa hanno in comune giovani, anziani, l’8xmille e Madrid? È ifeelCUD.it, il concorso al quale possono partecipare i ragazzi e le ragazze delle parrocchie di tutta Italia.” Il logo? Un CUD piegato ad aeroplanino. Avete capito bene, il concorso invita i ragazzi delle parrocchie a raccogliere i CUD di coloro che, avendo solo redditi da lavoro dipendente o assimilati, non sono tenuti a consegnarli. Tipicamente anziani pensionati. Ma se non sono tenuti a consegnarli per lo stato, perché dovrebbero esserlo per la Chiesa? Caro ragazzino della parrocchia, non è che stai aiutando un vecchietto in qualcosa che gli serve veramente. No, lo stai aiutando in una cosa che se non servisse a te per andare a Madrid, o meglio alla Chiesa per tirar su soldi, lui non dovrebbe neanche fare. C’è quella fantastica letterina che accompagna il CUD, quella in cui firmi per l’assegnazione del tuo otto per mille tra sette confessioni religiose (cattolica, valdese, ebraica,…). Vero, anche l’otto per mille di chi non firma viene comunque redistribuito tra sei dei sette enti contendenti, le assemblee di Dio disdegnano, secondo le percentuali calcolate in base a chi ha espresso una scelta. Ma se tu una scelta riesci a farla fare, vai a aumentare anche la tua percentuale del fettone di chi la scelta non esprime . E questo tu non lo sapevi, ma Santa Romana sì. E quindi vai, bel chierichetto, prendi il CUD del nonno, fagli firmare la letterina e portala a Babbo Ratzy, come faceva il nonno quando prendeva la tua e la portava a Babbo Natale. Solo che con le tue letterine, Babbo Natale non s’è fatto i soldi. Va che devi essere un genio a pensarla questa, va che devi aver avuto un’illuminazione dall’alto per esserci arrivato. Perché ad un comune mortale senza ganci lassù, questa sembrerebbe una truffa. Tanto quanto i finti esattori del gas che vanno a casa dei vecchietti e chiedono di pagare le bollette in contanti. Uguali. Solo che questi non chiedono soldi, chiedono solo fogli. E non rubano al vecchietto. Rubano allo stato, alle altre religioni, e va beh che tra di loro se la giocano, ma…
Se scoprissi che un ragazzino dall’aria innocente, va a chiedere il CUD di mia nonna e lo porta al suo Don Matteo con una firma sotto la voce “Chiesa Cattolica”, andrei dal suo Don Matteo e gli toglierei la gonnella in piazza. Prenderei la sua scatola delle offerte e la porterei ai valdesi. Raccoglierei l’elemosina durante l’eucarestia e la consegnerei al comune. E gli tirerei un cartone nello stomaco da fargli mancare il fiato. Altro che volo a Madrid.
Comunque ormai è tardi, il concorso è terminato. Sul sito sono elencate le parrocchie vincitrici. Tutte del sud. Probabilmente perché al nord, il CUD di tua nonna lo prendi tu, e le fai firmare nella casella dei valdesi un anno, alle assemblee di Dio un altro anno, allo Stato un altro anno ancora.

Questo l’articolo con cui, a Marzo, la Murgia denunciava il concorso su Il fatto.

Randagia, che non si sente CUD per niente…

RoccaSella e la Venere delle foglie

Posted on Dicembre 10, 2011 by randagia

E’ dicembre, ma la neve si vede ancora solo da lontano. Allora via, ancora scarponcini e racchette. Il tè lo porta Vicky, il caffè David, Randa ha ancora quel rhum nella fiaschetta di plastica da condividere. Qualcosa di basso, che di pestare la poca neve che c’è non se ne ha voglia. Rocca Sella, 1508 mt. Si parte da Celle, sopra a Rubiana, ben indicato. Un paio di fontane alla partenza consentono anche agli storditi dalla borraccia vuota di farsi le scorte. Il pezzo forte del sentiero è il panorama, per tutto il percorso, e con una giornata tersa così: che botta di culo! In un’oretta, vabbè un’oretta abbondante, siete su. Non da soli ovviamente. La cappella di Rocca Sella e le rocce del “sagrato” non le hai mai viste deserte, ma almeno adesso non è come a luglio, che sembrava una spiaggia ligure. Due chiacchiere, un panino, punti quello che sembra il più muntagnin di tutti e ti fai consigliare un sentiero diverso per il ritorno. “Ah sì, potete fare il sentiero delle foglie: andate a destra, passate da Fontana Barale, eh certo, foste venuti due settimane fa i colori delle foglie sarebbero stati uno spettacolo, un bel bosco di faggi..“. E quando ti dicono “due settimane fa era uno spettacolo di foglie” tu non ci arrivi a pensare che se due settimane fa quelle foglie erano colorate e sugli alberi, adesso sono secche e per terra, e si scivola da paura. Ecco perchè il “sentiero delle foglie”! Iniziate a sfottervi “Che, fai surf?” “Guarda la Vicky, come la Venere che esce dalle foglie!”. Già ma il Botticelli non l’ha disegnata con un bernoccolo in fronte, quindi occhio alle scivolate con cranio su roccia. Arrivate a Fontana Barale, dove una allegra coppia di pensionati con cane si sta godendo il sole. Si sente rumore di elicotteri. “Speriamo che non facciano male ai ragazzi… dicono che non ci sono soldi, ma poi per mandare tutto sto ambaradan di esercito qui su, li trovano!” Ah, oggi c’è una manifestazione No-Tav. “E’ l’anniversario: l’8 dicembre del 2005 c’era stata la presa di Venaus. Mi ieru.. capite il piemontese? “ Sì madama, vada tranquilla, che si vede che quando si infervora, l’italiano non le viene facile. E madama parte decisa e ‘nrabià: “Ero in prima fila, lì attaccata alle recinzioni, con il giubbetto giallo, e gliele abbiamo date a quelli, ma poi qualcuno ha detto basta, e non abbiam potuto fargli male: bisognava metterli in mutande e lasciarli lì al freddo, nel canalone…” La discussione si fa animata, la pensiamo tutti alla stessa maniera. In valle tutti la pensano alla stessa maniera. Lasciamo Fontana Barale, per scendere, tutti insieme: che è anche quello il bello della montagna della domenica, teste che ti accompagnano per un paio di tornanti, talvolta di più. Stavolta di più. E che passo madama! Alla faccia della pensionata, se ne frega del sentiero delle foglie, cade anche, ma va giù secca. E il marito non manca di precisare “Da giovane, ha vinto tutto quello che poteva vincere, faceva le maratone, nella squadra nazionale!” Lei prova a sviare il discorso, non ne vuole parlare, ma lui non la smette più. “L’è propi namurà” (è proprio innamorato). E quando hai finito di parlare di NoTav, tocca al prezzo della benzina, che la monovra Monti giusto ieri ha alzato di botto. “Ma mi ‘am catu an caval, vadu fe speisa cul caretin!” (Ma io mi compro un cavallo e vado a far spesa col carretto). Poi gli argomenti si alleggeriscono, “Ma come lo fai il tiramisù, con i savoiardi?” Eh sì, mica me lo farà con i pavesini? “Prova con i cantuccini, fantastico: i cantucci fan ‘na pippa ai savoiardi!”

Randagia, che complimenti madama, a lei le rogne fan ‘na pippa!

Non aprite quell’armadio

Posted on Novembre 13, 2011 by randagia

Si apre il sipario su una stanza che sa di vecchio, con un armadio di quelli che chiunque abbia più di vent’anni e sia andato almeno una volta a casa dei nonni ne ha visto uno. Orrendo.
Quella che sembra una moderna casalinga frustrata fa il suo ingresso in scena, fascetta in testa, calze colorate, pantaloni domyos, quelli di deca, gli stessi che hai anche tu.
Inizio un po’ scarso: lei e lui che discutono della suocera e del lavoro mentre lui dichiara di essere in “mostruoso ritardo”. Quest’espressione deve essere particolarmente piaciuta al registra, se nei primi cinque minuti la fa ripetere almeno tre volte in una discussione infinita poco credibile. Quando è mattino, sei in ritardo, sei incazzato, non stai a far discussioni infinite, dici “vaffanculo” e esci. Qui no, va beh, è finzione e la mimica facciale di lui merita attenzione.

Vari personaggi si aggiungono alla scena. Monica, femminista incallita. Maria, che degli uomini ha paura, e avessi io il balcone che ha lei, forse mi porrei lo stesso problema. Giovanni, un uomo in crisi matrimoniale e non solo, con delle movenze da tenersi la pancia. Il ritmo si fa più incalzante, i problemi di ogni personaggio si presentano, si alternano magistralmente guidati da Carla, che non è una casalinga frustrata, ma una psicanalista alla prime armi. Si ride e si sorride, e si dimentica l’inizio scarso. Un bell’idraulico dal forte accento tedesco, con gli occhi spiritati, sovrasta la cadenza torinese degli altri attori, che non sarà da professionisti, ma sentirla piace. Eccome se piace, siamo a Torino, mica a Canicattì.

E anche oggi il teatro amatoriale ha dato soddisfazioni. Lo spettacolo era “Non aprite quell’armadio!” in scena il 12/11/2011 al teatro esedra, per la rassegna la Primavera del Giglio.

Randagia, che vorrebbe il numero dell’idraulico, e non solo perché le si è intasata la doccia.

Zio Teofilo, che Appennino!

Posted on Novembre 6, 2011 by randagia

Cena di Halloween

Posted on Novembre 1, 2011 by randagia

Halloween. Streghe, come ci si organizza per la cena? Partono gli incroci di e-mail. Ognuna porta qualcosa. No, meglio di no. L’anno scorso tutte che han fatto le taccagne e han portato una minestra, e manco del vino o un dolce a tavola c’erano. Quest’anno non si deve ripetere:
“Care streghe,
la filosofia dell’ognuno porta qualcosa funziona solo tra gente di buon senso, e voi di buon senso non siete, quindi questi i compiti:
Circe: culatello affettato o vitello tonnato, valuta tu in base al carattere dell’uomo che hai a tiro.
Amelia: sì sì, se riesci anche stavolta a sfilare la torta di zucca a Nonna Papera, non ci lamentiamo. Sennò va bene, la zuppa di zucca, che fa molto Halloween, o molto schifo, dipende dai gusti, ma quella sai fare e quella porti.
Medea: lo spezzatino, ti viene bene da sempre. Eviterei la carne umana a questo giro, con le nuove regole della comunità europea è un casino.
Morgana: a te inutile dare compiti, ci cucini solo illusioni e la fame resta. Quest’anno metti la casa tu, e libera il balcone che ci parcheggiamo le scope, sotto è tutta zona blu.
Tabata: ormai sei grande, tu porti il vino, sì rosso. No, non la damigiana. Tre bottiglie bastano. Tua madre c’è? Non legge mai la mail e non mi ha risposto su witchbook.

Allora, alle 22 da Morgana, ce la fate?
Grimilde, che porta il peso dell’organizzazione e le mele. “

Ce la fanno. Alle 22, parcheggiate le scope. Tutte dentro. L’ultima inserisce la 220 al citofono, un inconfondibile ghigno si stampa sul viso di tutte, in attesa che qualche bambino suoni per «dolcetto o scherzetto?» .

“Allora Grimy, come va con quel Mago, il rasta?”
“Oh raga, stavolta proprio credevo di perdere i miei poteri….”
“ma?”
“se mi lasciate finire… care mie, le meglio notti degli ultimi cent’anni, e non che nelle altre mi sia annoiata, ma… sì, beh aveva il vizio degli incantesimi alla marijuana”
“e da quando questo è un problema?”
“Tabata, vai un attimo a controllare se ho spento le saggine di posizione?”
“E no zia Grimy, non mi freghi, resto qui. Vai avanti, qual è la magagna?”
“Beh incantesimi a parte, questo aveva ancora Medusa in testa. Sai che palle, l’ho retto un po’, poi ho dato un colpo d’accetta, o meglio di rasoio. Mentre dormiva. Certe cose danno più soddisfazione senza incantesimo. Adesso è un Bruce Willis dei poveri, che torni pure dalla sua Medusa.”
“Ma non potevi lasciarlo e basta?”
“Sono una strega, non sono una fata!”
ZZzzzzzzzzzzzz. Scossa. Tutte corrono alla finestra. Tre fantasmini guardano un piccolo boia steso a terra. Dalla finestra parte il coro “Scherzetto!”. Ridono soddisfatte. C’è sempre qualche bambino nuovo nel quartiere, per fortuna. Fortuna loro, non certo del piccolo boia.
“Amelia, tu novità?”
“Oh, non del genere che piace a voi. Al contrario di Grimy, io so fare i conti con l’età…”
Ridono, senza scossa.
“Tabata, ma tua madre?”
“Sai com’è, ha preferito fare cena con papà.”
“Quel nasino alla francese ha fatto di lei un’altra.”
“Tutta quella felicità le toglierà i poteri… ma sai, certe cose succedono solo nei film.”
“Oh, ma sapete più niente del Mago do Nascimento? Non era male…”
“Stava con Viviana… questo un secolo fa. Ora?”
Morgana si fa rossa. Le rughe fremono. Vuoi vedere che questa l’aveva contattato per quella roba dell’eterna giovinezza e poi c’è caduta come una adolescente?
“Tabata, le mie saggine…”
“Zia… fammi sentire o te le spacco le tue saggine!”
“Sì tesoro, stai proprio crescendo bene, nonostante gli sforzi di tua madre.”
“Morgana?”
“Ehm, si ci sentiamo su witchbook. Dice che è al caldo… che quando si libera, viene da me e mi porta un fondoschiena come quelli che ha lì in Brasile..”
“Come no… Sveglia, quello non torna!”
“Torna!! Ve lo giuro che torna.. voi siete delle streghe, credete che le storie a distanza funzionino solo nei film, e invece no, prendete Montalbano e Livia!”
“Morg, Montalbano, per tua informazione, è un film!”
“Ehm, ancora vino, dolci fanciulle? “
ZZzzzzzzzzz. Scossa. “Scherzetto! Scherzetto!” Urlano tutte, affacciandosi alla finestra. Morgana non ride più. Quello steso a terra non è un bambino.

Grimilde, che a volte tornano…

Langhe d’autunno: una tavolozza di colori caldi

Posted on Ottobre 26, 2011 by randagia

Autostrada deserta, ci siete solo voi. Voi e l’inquietante tutor. Tieni d’occhio il tachimetro, tra una battuta e l’altra. Torino-Savona, uscita marene Marene, poi fino a Cherasco, su quel tratto di autostrada che i cuneesi aspettano da anni, un po’ come la metro per i Torinesi: ce n’è un pezzo, ma non è chiaro fin dove porti. Ti infili i paesi sempre più piccoli: prima Monforte, poi Sinio. E con i paesi si rimpiccioliscono anche le strade. Guidi serena, ma in due mica sai se si passa. Un SUV ti sfreccia a fianco, i tuoi specchietti superano indenni un incontro ravvicinato con i suoi. Ora lo sai, in due si passa.
Sinio, un posto mai sentito, ma con un sacco di itinerari. Ne hai scelto uno a piedi, tra i vigneti di Serralunga. Parte dal B&B “Sole delle rive”, ben indicato appena arrivi in paese. Maurizio, il gestore, stupito che abbiate trovato su internet l’itinerario che propio lui aveva scritto, vi procura una cartina e si prodiga in indicazioni, che puntualmente non saprete seguire alla lettera. “Ma tranquilli, seguite LANGA BAROLO in direzione SERRALUNGA: è ben segnalato!” Certo, ben segnalato. Ogni tanto. Ogni tanto no. Pare non si sia voluto insistere con i cartelli per non dare fastidio ai proprietari dei vitigni. Ah però, socievoli!
Il panorama è splendido. Le colline sono una tavolozza di colori caldi. Filari rossi e gialli si alternano ordinati sulle colline, in sfumature da far invidia a Missoni. E dire che la settimana migliore dovrebbe essere la prossima.

Camminando tra i noccioleti, vien la voglia di raccoglierle. Qualcuno dubita.
– “Ma le nocciole sono commestibili anche non tostate?”
– “Non fosse che sei veneta, penserei che sei meridionale. Assaggia!”
Tostate piacciono di più, non c’è dubbio, ma schifo non fanno. E un sacco si riempie, tanto ormai la raccolta è finita, quel che trovate è vostro.
seguendo il percorso arrivate nel centro storico di Serralunga, dove non sono rare insegne di trattorie, cantine e produttori vari. “Giudice Marco Viticoltore”. E guarda questo, giudice, viticoltore, che fa tutto lui in questo paese? Ma a pensarci bene, Giudice deve essere il cognome. Visita al castello? Sì, ma prima i panini. A ciascuno il suo, coppa, prosciutto. No, oggi la frittata per tutti non l’hai fatta, ma in centro tavola, o meglio in centro piazza, condividiamo un mignon di rum direttamente da Cuba, il fondente con le nocciole per stare in tema, il fondente e basta perché vi piace. Un gruppo di ciclisti ha lo stesso programma, la birra al posto del rum, ma il concetto è lo stesso. Alla faccia dei veri sportivi.

“Raga, ho lasciato a casa la tessera musei, se si paga, io vi lascio andare e faccio la pennica!” Niente pennica, Massimiliano, un giovane volontario, vi guida nella visita. Il castello è nel suo periodo di prova: appena ristrutturato, aperto al pubblico tutti i giorni fono al 20 Novembre, poi si vedrà. Hanno fatto il bando per il custode, ma chi era stato selezionato ha rinunciato. “E come si fa a far domanda?” chiede l’amica disoccupata che già pregusta la dimora nobiliare. Un po’ isolato magari, ma non c’è isolamento che non si risolva con un buon libro e un vasetto di nutella, o almeno così sostiene l’aspirante custode. Niente, la cosa non va in porto.
Al pian terreno, la sala dei ricevimenti. Il bagno non c’è, è al primo piano e solo per i residenti. Sulla porta un cartello “Non utilizzabile”. E se qualcuno ha messo il cartello, vuol dire che qualcuno l’ha utilizzato. Complimenti.
Ultimo piano. Terrazza coperta. Da ogni finestra, un diverso scorcio di langa. Se hai la fortuna di capitare in una giornata tersa, si vede il Monviso. Oggi no.

Chissà se rimarrà aperto, o se sarà un’altra delle bellezze del Piemonte, tenuta chiusa per assenza di fondi. Con questo dubbio lasciate la vostra offerta nella cassetta, il vostro commento sul libro degli ospiti. Qualcuna è anche tentata di lasciare il numero a Massimiliano.

Dopo la pillola culturale, riprendete la falcata e non senza esitazioni e incroci sbagliati, tornate al B&B, dove Maurizio e Maria, vi offrono un caffè nella bella sala del loro rustico. Quattro chiacchiere, e quel raro gran senso dell’ospitalità, che riempe il cuore. Che fa pubblicità.

Sul sito www.coloridilanga.it sono disponibili tanti itinerari, a piedi, in bici e in auto.

Randagia, innamorata dei colori di langa

International a Torino

Posted on Ottobre 17, 2011 by randagia

Si esce per una birra e due chiacchiere.‭ ‬Dopo un ciao e un come va,‭ ‬Luca si butta in gola un Daygum.‭ ‬E offrire,‭ n‬o‭? ‬No,‭ ‬bel casino offrire quando si portano i Daygum sparsi nella tasca dei jeans. Rinunci, solo che così ti rimane la voglia.

Dopo la birra,‭ alla cassa, ‬cerchi con lo sguardo l’espositore di caramelle e chewing-gum.‭ ‬Niente.‭ ‬Chiedi alla barista‭ “‬Scusi,‭ ‬avete delle gomme‭?” ‬Ti indica un distributore automatico,‭ ‬all’interno del locale.‭ “‬Non intendevo i preservativi‭” ‬pensi,‭ ‬mentre guardando meglio ti accorgi che effettivamente quel coso distribuisce chupa-chups e gomme,‭ ‬con una bella luce‭ ‬rossa lampeggiante che significa‭ “‬prodotto esaurito‭”‬.‭ ‬Ah,‭ ‬ma non si tengono più alla cassa‭? Altrimenti li rubano?
Di nuovo rinunci,‭ ‬mentre Luca ti chiede‭ “‬Perché le chiami gomme‭? ‬Sei a Torino,‭ ‬sono cicles‭!” ‬Già,‭ ‬ma tu vuoi essere international e le chiami gomme.‭ ‬Magari la barista viene da Canicattì e non lo sa.‭
Poco importa,‭ ‬li comprerai al primo bar che incontri.‭ ‬Il primo bar è ovviamente un bar-pizzeria-ristorante-cinese-chi-più-ne-ha-più-ne-metta.‭ ‬Entri con la solita domanda‭ “‬Gomme‭?”‬. Due occhi a mandorla ti sorridono e si scusano “No, spiace signora”, senza nascondere la ben nota erre cinese.‭ ‬ Stai per uscirtene,‭ ma ‬vedi l’oggetto del tuo desiderio che fa bella mostra di sé in una vetrinetta sul bancone.‭ ‬E ti chiedi se quel paio di occhi a mandorla te li voleva negare per farti prendere due nuvolette di drago,‭ ‬o se forse‭ “‬gomme‭” ‬non è abbastanza international e avresti‭ ‬dovuto dire‭ “‬chewing-gum‭”‬,‭ ‬magari lavorando anche un po‭’ ‬sulla pronuncia all’americana.‭ ‬Ti chiedi tante altre cose mentre banalmente dici,‭ ‬indicandoli‭ “‬Quelli voglio‭!”‬.‭ ‬Con espressione sorpresa e sorridente gli occhi a mandorla ti precisano:‭ “‬Ah,‭ ‬i cicles‭!” ‬Eh.‭ ‬Già.‭

Randagia,‭ ‬che cicles è international,‭ ‬a Torino.

Voglia di tramonto

Posted on Settembre 28, 2011 by randagia

23 Settembre 2011. Voglia di tramonto. Come al solito decido in un attimo: si va! E poi quale sera meglio di questa? Da ieri sera tutto è cambiato, anche la teoria della relatività di Einstein sembra essere superata: dicono ci siano particelle maleducate che osino viaggiare più veloci della luce. E poi stasera sul Piemonte, forse, cadranno pezzi sparsi di satellite impazzito in rientro in atmosfera, non posso perdermi lo spettacolo delle eventuali scie luminose dei residui in frantumi al contatto con lʼatmosfera! Quindi, davvero, quale notte meglio di questa? Non controllo nemmeno in macchina, gli scarponi sono già lì, sicuro! Prendo zainetto, maglia di ricambio e luce frontale per la discesa. Si parte, direzione solita e conosciuta, Monte San Giorgio. Mentre guido, chisssà perché controllo negli specchietti: no, tutto a posto, dietro la piana e davanti Musinè e San Giorgio, direzione giusta. Parcheggio la macchina, infilo gli scarponcini, bacchette? No stanno bene lì dove sono, salita agile! Lascio lʻasfalto ed infilo lo sterrato che porta in cima, neanche duecento metri ed incrocio il solito simpaticone dai valenti consigli: “Varda che a ven nòit prima nè adess!”. Rispondo? No? Si! “Ti tʼlas mai vistlu ʻn tramunt a mesdì?”. Accelero il passo, se tramonto deve essere, devo arrivarci in tempo. Il sole in caduta lancia ombre lunghe tra i castagni e le querce, la salita mi par più agevole, aria frizzante e profumi conosciuti. Dalle narici escono sbuffi da animale in affanno e sugli occhi colano stille di sudore, fattori noti: mountain is my therapy!

Giungo alla piega di sentiero abbandonata la quale si volta a destra in ripida salita verso la radura, vado, cinque minuti e ci sono, il sole cʼè ancora, aspetta me prima di tuffarsi oltre i monti. Radura. Poso tutto e cambio maglia. Certo che se parti di fretta la macchina fotografica la lasci a casa! Io lo zaino di Mary Poppins non ce lʼho! Cellulare? Cʼè! Almeno quello.

Lʼattesa. Scende il sole ad ampie falcate, che silenzio! Qualche cane in lontananza e nulla più. Scende, scende, sorpassa la linea immaginarie delle montagne e, giù, se ne va! Lascia un cielo porpora meraviglioso, forse più bello perché ci sono salito apposta, e mica vorrai trovarlo così così! Attendo ed assaporo lʼaria, mi guardo intorno ed anche Torino in lontananza sembra essere piccola e da quassù persino simpatica.
Scatto una foto col telefono, lʼultima volta che ci ho provato stavo guidando: lasciamo perdere! Fisso negli occhi quel cielo, me lo devo ricordare! Ora si è fatto scuro, prime stelle ad est, ma di satellite impazzito nessuna traccia. La protezione civile recitava 21.25 – 22.15, aspetto ancora 5 minuti. Niente, solo aerei curvi verso Caselle in discesa.

Dai, è ora di andare. Infilo la frontale e la accendo. Quando le avrai cambiate le pile lʼultima volta? Vedrai che regge, in unʼora sei giù! Ultimo sguardo verso il Monviso e poi decido di andare. Lascio la radura, venti trenti passi poi mi fermo. Torno indietro, mi manca qualcosa. Eppure mi manca… radura, radura, lo dico senza pizzicare la “erre”. Già, ecco cosʼera quel senso di vuoto di prima: lei che avrei voluto fosse qui, ed invece è al mare con MaVco.

Comincio a scendere, con quella strana voglia di merenda sinoira.
W.

Il tempo della moda

Posted on Settembre 21, 2011 by randagia

“Chiama mamma, che c’è la moda!”. E la bimbetta corre obbediente in cucina. Con un canovaccio e le mani ancora umide dei piatti, la signora Adelaide accorre in salotto a guardare ragazze anoressiche che sfilano indossando abiti dalle forme improbabili. Ma quella è moda, pensa, fantasticando su quali colori si celano davvero dietro quello schermo in bianco e nero. La figlia è troppo piccola per condividere, il marito troppo “uomo” per capire che non sono le curve assenti delle modelle, ma il taglio degli abiti a dover essere commentato. Adelaide si gode lo spettacolo in silenzio, per poi tornare con un sorriso ai suoi lavori.

“Mamma, c’è la moda!”. E la ragazzina, tutt’altro che anoressica, rimane imbambolata davanti allo schermo mentre Adelaide accorre in salotto. “Ma è trasparente quello, si vedono le mutande! Che coraggio!”. Abiti dai colori sgargianti e dalle abbondanti trasperenze si avvicendano sullo schermo, mentre l’entusiasmo della figlia sovrasta le iniziali note polemiche della madre: “Ma no mamma è moda, è stile. Non sono mica più i tuoi tempi. Quanto lo vorrei! Ma quanto costerà?” Una voce paterna conclude il sogno ad occhi aperti: “Tu studia, poi lavora, poi se ti va te lo compri!”. Adelaide risponde scuotendo silenziosamente la testa, cede il canovaccio alla figlia e si siede sul divano con il marito, constatando che pur non avendo abiti firmati, ha tutto quello che le serve per essere felice. E non sta pensando alla tv a colori.

“Donne, c’è la moda!”. Rumore di rubinetto che si chiude, e madre e figlia accorrono in salotto, asciugandosi le mani nello stesso canovaccio. Ad ogni passo delle modelle un commento.
“Quel colore è troppo. Questo è Cavalli, non ci è mai piaciuto.”
“Beh no mamma, a te non sarà mai piaciuto, a me piacerebbe anche, sono i prezzi che me lo rendono antipatico.” Passano le modelle di Versace, e Adelaide si fa propositiva “Bambin, se questo modello esce su Burda te lo faccio. E’ svasato, ti starebbe bene.” Un sorriso esagerato si dipinge sul volto della figlia, che ha studiato abbastanza per permettersi un abito fatto a mano dalla madre, con gli speciali poteri di Burda. E ben più di uno. Adelaide glieli avrebbe confezionati a prescindere, anche fosse stata l’ultima della classe, ma questo la figlia non lo sa. Vedere la propria bambina indossare capi creati da lei, le riempie il cuore. Un po’ come quando il marito chiede il bis dell’ultimo manicaretto servito. Certo ai fornelli si fa più in fretta che alla macchina da cucire, ma ad ognuno le proprie passioni, ad ognuno le proprie gratificazioni: le dimostrazioni d’affetto sono su misura.

“Bambini silenzio! C’è la moda!”. Con un deciso colpo di fianchi chiude la lavastoviglie e accorre in salotto. Si siede sul divano, accanto a nonna Adelaide, che sta faticosamente cercando il silenzio dei nipotini che le siedono sulle ginocchia. La voce paterna interviene, quasi provvidenziale: “Dai bambini, venite di là con me. Noi giochiamo alla uiiiiiiiii, la tv è delle donne per altri dieci minuti.” Nonostante le modelle sfilino con la collezione autunno inverno dell’anno appena iniziato su uno schermo piatto, tutto sembra un deja vu. Forse perché anche quest’anno, nonostante il grande impegno dei media, le curve delle modelle continuano ad essere assenti. Sfila Versace, sempre notevole, ma si nota che Gianni non c’è più. Custo invece porta una ventata di novità che entusiasma l’una, ma lascia perplessa l’altra: “Bambin, devi perdere venti chili prima di mettere quella roba da extraterrestre.” La figlia sospira e sogna. La voce paterna tuona dalla cucina “Custo costa! Hai un mutuo e due figli, pensaci quando sarai in pensione!”. “Quello viola, sembra quel vestito che ti ho fatto dieci anni fa, ce l’hai ancora?” Certo che ce l’ha. Lo indossava ieri, ma Adelaide non lo ricorda più.

Le due donne si guardano, si sorridono, e vanno a salvare il nonno da umilianti imprese con i videogiochi. Lo stile di un abito firmato scalda il cuore, l’armonia di una famiglia di più.

Un tranquillo weekend in altura

Posted on Settembre 17, 2011 by randagia

Voglia di rifugio. Prenoti con 15 giorni di anticipo, nell’unica valle in cui le previsioni del tempo daranno temporali per tutto il weekend. Cambi valle. Rifugio Alpetto, alle falde del Monviso. O meglio alle falde basse, perché alle falde falde c’è solo il Quintino Sella che con i suoi 90 posti letto non sai se è un albergo o un porto di mare in alta quota. L’Alpetto suona molto meglio. Soprattutto per chi poi così alpinista non è. Obbligatorio il sacco lenzuolo, null’altro. Certo, ma ti porti anche le scarpe di ricambio, che se ti fan male gli scarponi? La tuta e il pile, che se hai freddo coi pantaloncini? Quel bell’asciugamano in microfibra che fa anche da accappatoio, che se ti vuoi fare la doccia poi con cosa giri nel corridoio? E non lasci a casa “Passaggio in India” con le sue 355 pagine, che metti che ti annoi? Hai uno zaino che per l’interrail l’avevi fatto più piccolo, complimenti. Due indicazioni du google maps, e la cartina che un amico di buon cuore ti ha regalato per il compleanno, sperando che, prima o poi, tu la smetta di perderti. Si parte. Carichi la socia che il sole è già alto. “Randa, io ho fatto i panini ma li porti tu”. Eh beh, quelli erano i patti. Un, due, tre, eccoti in tangenziale. Guardi il retrovisore e ti prende un attacco di romanticismo “Vah che belle le montagne nello specchietto, il cielo è limpidissimo”. Ma se le montagne sono nello specchietto, significa che tra un po’ fai un frontale con gli ombrelloni: hai di nuovo preso la tangenziale al contrario, stai andando a Savona invece che a Pinerolo! Ma possibile che le uscite che hanno aggiunto dopo che hai preso la patente ancora non le hai imparate? E dire che non l’hai presa ieri! Vabbè, classica inversione e ringrazia che la tangenziale non si paga. Pinerolo, San Secondo di Pinerolo, Bricherasio, Barge, Paesana. A sinistra per Oncino. Ancora 10 km, l’ora e mezza di google maps è già diventata un due ore, e solo dopo due ore e mezza, la godereccia strada di montagna si trasforma in sterrato, con tanto di cartello “Parcheggio Alpetto”. Una casetta in pietre si intravede alla tua destra. Assomiglia molto alla foto del rifugio che avevi visto su internet. “Randa, vuoi mica che siamo arrivate al rifugio in macchina? Noooo, peggio dei milanesi!? No no, io mi vergogno, non entro, torno a casa”. Ma è un falso allarme. Parcheggiate e dovete ancora fare 700 metri di dislivello per il rifugio. Menomale. Menomale un corno, è l’una e fa un caldo becco. Ti carichi lo zaino di Mary Poppins, e dopo dieci metri, quando hai già più volte perso l’equilibro grazie al geniale carico che ti sei organizzata, ti chiedi se tutto fosse poi così necessario. Il sole picchia, dribbli le mucche e i segni del loro passaggio, mandando avanti la socia, che si sa, tu delle mucche hai paura. Fatichi per due ore e mezza, su una salita stimata da un’ora e tre quarti, e approdi ad un bel pianoro, attraversato dal fiume. All’orizzonte vedi la bandiera del rifugio. Bene, siesta! Dai si mangia, con i piedi a mollo. Tanto, dallo zaino di Mary escono le ciabatte per la doccia, che sono ottime per passeggiare nei fiumi. Verso le cinque decidi che, essendo in montagna e non a Laigueglia, sarebbe meglio rimettere gli scarponi e presentarsi al rifugio, mica che ti perdi il rancio. E canticchiando “Si vince e si perde, si pestano merde..” superi il pianoro e arrivi al rifugio. Via gli scarponi, sugli scaffali ciabatte per tutti: le crocs tarocche, e tu che te le sei portate da casa, garula! La camera, uno spettacolo: camera da 9, con letti a castello e romantico sottotetto. Senti la gente parlare in tedesco o con quell’accento forte che hai quasi dimenticato fosse il tuo. Neanche un meridionale, fa quasi impressione. E infatti l’accoglienza non è quella calorosa meridionale, ma quella tipica del muntagnin “Buona sera, ha la tessera CAI? Le faccio vedere la camera, si cena alle 19:30” e non sprechiamoci in convenevoli. Il minimo indispensabile della comunicazione. Poi se chiedi, il gestore, Sandro, gentilmente ti consiglia i meglio giri della zona. Ma devi chiedere, è ovvio. Vai a dormire alle nove, che chissà il libro cosa l’hai portato a fare. Domani si sale al passo del Gallarino (500 m di dislivello, ce la puoi fare) da dove si vede tutto l’arco alpino. In una giornata limpida poi, ti vedi il Cervino, il gruppo del Rosa e le rondini, che così in alto, non te le aspetti proprio. Le marmotte non le conti, e ti conquistano sempre: ciccie e agili come sono. O per lo meno così ti sembrano. Una lunga traversata su un ignobile sentiero piano e di pietre ti porta al Quintino Sella, pieno di gente, da cui scappi subito senza neanche prendere il caffè. Il ritorno è ancora lungo, il sentiero infinito . Scendi, lasciando un po’ di cuore per il panorama, e un po’ di madonne per quel ginocchio gigio che dopo due ore di discesa inizia a farsi sentire. Alle 17 togli finalmente gli scarponi, conti le bolle e sorridi, mentre piazzi tutto nel baule della tua fidata auto e ti rimetti in strada verso la città, con quella strana voglia di merenda sinoira.

Randagia, che non è più la merenda sinoria di una volta, né per il prezzo, né per il menu.

Lago di Monastero

Posted on Settembre 17, 2011 by randagia

Oh sì, cambiamo valle. Un’oretta di macchina, tutta statale, cosa vuoi che sia. Puntiamo su Chiaves, sopra a Lanzo. Fino a Lanzo ci sappiamo arrivare, più o meno visto che già al primo bivio “Lanzo o Ceres?” non siamo così pronti, ma la socia occhio di lince, scannerizza il cartello stradale che sembra una pagina di dizionario e individua Chiaves sotto la direzione Lanzo. Peccato che poi I cartelli non pullulino, quindi le proviamo tutte, per scoprire che, come spesso nella vita, la strada più semplice è quella giusta: non entrare a Lanzo centro, stanne fuori e persevera, anche se ti sembra di allontanarti troppo i cartelli per Chiaves ci sono, aspettali. Superi la piazza parcheggio del paese e prendi a sinistra in “Passo della Croce”, prosegui ancora, tenace, e arrivi al Colle della Croce (1125 slm), dove finalmente puoi lasciare la macchina e mettere gli scarponi. Ben segnalato inizia il SENTIERO DEI 3 RIFUGI, con segni rosso gialli e cartelli ogni tanto: sentiero 332, 3 ore e 30 minuti. Seeeeeeeeee, sti tempi è sempre Messner a scriverli, mai una volta che ci mettano i miei. Però chissene, ben segnalato. Vai nel boschetto di betulle! E inizi a cantare:

O pescator dell’onda mi peschi l’anellin?
Se io te lo percherò, tu cosa mi darai?
Ti darò una borsa d’oro con dentro dei milion…
Non voglio solo quello ma un bacin d’amor!
Andiamo in quel boschetto nessuno ci vedrà

Sembri conoscerla solo tu, ma è un ottimo spunto per far partire riflessioni sull’induzione alla prostituzione contenute nelle canzoni per bambini, insieme all’istigazione alla droga già perpretata da Pollon e la sua polverina. Se ne parli, vuol dire che hai ancora fiato.
Al primo bivio, i cartelli confermano che hai già percorso un’ora, stessa sensazione del tuo orologio, e delle tue gambe. Epperò, o sei in forma, o stavolta non era Messner a dare i tempi. L’altro cartello ti informa che mancano ancora due ore. Si ma, non erano 3,30? Dove è finita l’altra mezz’ora? Forse la gente si ferma qui a chiedersi dove è persa la mezz’ora, e intanto perde la mezz’ora. Si sale, il percorso è dato per panoramicissimo. Peccato che ci sia una foschia che non vedi a due metri. Scopri questa è anche chiamata la Valle degli Infelici, che il sole non lo vedono mai. Ah, beh. Saperlo prima. Arriviamo al lago, confermando di avere il passo del CAI di Lanzo, che si è sbattuto a mettere i cartelli. Si incrociano tre alpeggi, o rifugi, che sono alpeggi secolari, rimessi a nuovo di fresco. Ci sono alcune fontane strada facendo, ma sono nei cortili delle case con tanto di cartello “Proprietà privata”, quindi senza chiedere, non si beve. Il tempo non promette troppo bene, quindi mangiato il classico panino, si torna indietro, e ci si mette tanto quando a salire. Quasi sul finale, ci si può concedere una deviazione verso la chiesa di S. Giacomo, che non sarà tanto speciale in sé ma offre un panorama della valle che assumi, nei giorni non di nebbia, sia molto bello. Oggi era grigio. Grigio impeccabile, intellettuale e pessimo umore, come i grigi della Punto, ma tutti insieme.
Considera un totale di 6 ore di camminata tra andata e ritorno, per 800 metri di dislivello.

Randagia, che pessimo umore in montagna mai….

Gli italiani credono solo alla TV

Posted on Agosto 10, 2011 by randagia

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