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Signor Enrico

Posted on Luglio 3, 2011 by randagia

Già quando sei all’ASL non ti stai propriamente divertendo, ma quando esci e vedi quel foglietto che sa di multa sotto il tergi, ti vengono le espressioni meno femminili. Cosa avrai sbagliato, stavolta? Prendi e leggi:
“Non ho potuto fare a meno di notare la sua luce, il suo viso sfiorato da pallidi raggi di sole che mi incanta con la sua fragile tenera serità di fanciulla in fiore.
Sig. Enrico 3921234567”

Ti guardi intorno, niente. Uno spasimante. Uno spasimante che ti dà del lei? Meglio una multa. Rileggi: ma dove li avrà visti i pallidi raggi di sole? Ci son quaranta gradi e si schiatta… fanciulla in fiore? Io che intravedo i quaranta? Un bocciolo proprio. Ma Signor Enrico, che stronzate scrive? Guardi che ha sbagliato macchina. Adesso lo chiami, e glielo dici, che si ride un po’. Intanto rileggi. Riguardi. Ma questo è fatto in serie: è un biglietto fotocopiato! Che fa, Signor Enrico? Piglia per il culo? Piano piano inizi a capire: questo è un poverello che sta qui al parcheggio, e appena una donna da sola parcheggia, sia una 18enne in fiore, o una vecchia megera, lui PLAP! molla giù il biglietto sotto il tergi. Per la legge dei grandi numeri, vuoi che qualcuna non ci caschi? Magari qualcuna con qualche diottria in meno che non coglie il trucco della fotocopia …

Arrivi a casa, leggi i messaggi sulla chat:
Fabio, 21 anni:“Buongiorno! Mi chiamo Fabio, spero di non disturbarla!
..Sicuramente si starà chiedendo: “Chissà che diavolo vuole questo gagnetto da me!?!”

Più che altro ti chiedi che diavolo è quest’epidemia del Lei, che avrebbe fatto tanto piacere a tua nonna, che non c’è più. Come il Lei, appunto.

Randagia, che a volte ritornano

Eppure qualcuno nega

Posted on Giugno 18, 2011 by randagia

Un binario varca un arco e si insinua nel nulla. Termina in una stazione senza nome, una vasta banchina senza stazione. I passeggeri hanno regolarmente comprato il biglietto. Sulle loro valigie, riempite con una frettolosa ma accurata selezione di oggetti di valore, hanno scritto nome, cognome, e città di provenienza. Come i bambini che partono per la colonia, ma bambini non sono, non solo. Su quel treno non si contano le soste, non si contano le attese, non ci sono orari da rispettare, ma quel treno prima o poi arriva, come la morte. I vagoni di prima classe non sono né in testa, né in coda, neanche quelli di seconda. Esiste solo la terza, dolore e spavento. Capolinea. Tutti scendono su quella banchina senza stazione, dove non ci sono ragazze che aspettano trepidanti i fidanzati, non ci sono madri in appressione che aspettano i figli che tornano a casa, non ci sono amici in festa: ci sono sconosciuti mandati a rincuorare i nuovi arrivati “Non preoccupatevi, si deve lavorare ma si vive!”.
Fermi sulla banchina, donne a destra, uomini a sinistra. Gli abili al lavoro proseguono di qua, gli altri di là. Il lavoro rende liberi. Arbeit macht frei. Un padre di famiglia giovane e forte, di qua. La moglie magra e minuta, dai begli occhi tristi, di là, dove un vecchio silenzioso e solo con il bastone, un ragazzo storpio, e tanti altri, già attendono.
L’igiene è importante. Giusto. Prima di una doccia, ci si spoglia. Giusto. Prima di una doccia, ci si rasa i capelli. Non proprio giusto. Nella sala docce, non si vedono rubinetti. Due lucernai in alto. Da lì inizia a entrare il gas. Da lì iniziano a finire le vite di chi ha la colpa di essere ebreo, o magari zingaro, o solo di essere stato al posto sbagliato al momento sbagliato.
Tutto questo vedi quando entri a Auschwitz-Birkenau, mentri senti lo stomaco stringersi, che non sai bene cosa voglia dire, ma si stringe. Ti senti fuori luogo tu, con il tuo ridicolo zaino e la tua macchina foto. La ragazza spagnola invece sembra a suo agio mentre sorridente si fa scattare una foto su quel binario. Sullo sfondo le linee perfettamente ordinate dei resti di decine di baracche, quello che ancora rimane nostante il tentativo dei nazisti di cancellare tutto. Lei sorride e il fidanzato scatta la foto, per l’album del “io c’ero”. Tu ti chiedi quanta gente lì, proprio lì, dove lei sta poggiando il suo spavaldo sandalo Camper, abbia esalato l’ultimo respiro. Credi che un numero a tre cifre non basti. La guida te lo conferma. Circa un milione di vittime, inizialmente solo polacchi, poi da tutta Europa, anche italiani. Ma gli ebrei italiani qui erano pochi, perchè gli italiani “erano bravi e nascondevano gli ebrei”. Noi a fregare le leggi, siam sempre i primi, e non è detto poi che sia proprio sbagliato. La distesa è enorme, recintata da reti di filo spinato, ora senza corrente. E ti rifai la stessa domanda: chissà quanti hanno cercato e trovato la fine, buttandosi contro quei fili. A occhio adesso hai la risposta.
A Birkenau, delle baracche rimangono solo i camini, di cemento. In fila. Ad Auschwitz rimangono anche gli edifici, i block. Uffici dove tutto veniva meticolasemente registrato, dai biglietti del treno, ai nomi, alle date di morte.
Block 11, il blocco della morte: chi entrava qui, non usciva più. Non che gli altri edifici avessero statistica migliore. Il muro dell’esecuzione: una parete di legno e tessuto, per attutire il rumore dei colpi. Fiori e origami colorati a rendere memoria alle vittime. E il sessantenne con la pancetta si avvicina e si fa fare una foto dalla moglie, sorridendo. Un altro scatto che va a completare l’album del “io c’ero”. In un altro edificio hanno allestito una vetrina attorno a tutta una sala, dove fanno macabra esposizione di sé montagne di capelli. Molti scuri, pochi biondi. Tutti tagliati prima delle docce. Sono stati ordinatamente conservati, nei sacchi: servivano per fare tessuti. Sono molto resistenti, i capelli. Il tuo stomaco meno. Altre vetrine mostrano montagne di pettini, valanghe di scarpe, mucchi di occhiali. Tutto diviso, tutto ordinato, pettine con pettine, scarpe da donna con scarpe da donna, scarpe da uomo con scarpe da uomo: un gioco facile da insegnare ai bambini.
La visita guidata finisce e te ne esci, sai di non aver visto tutto, ma hai visto abbastanza.

Randagia, che c’è ancora chi nega.

Saluti

Posted on Maggio 28, 2011 by randagia

Entra, accende la luce e chiude la porta con due giri di chiave. Spalle alla porta, si sofferma con un lungo rilassato respiro. Nessun rumore. Toglie i mocassini, allenta la cintura mentre si dirige verso la camera. Via i jeans. Buttati sulla poltrona KIVIK in fondo al letto. A passi lenti e nudi raggiunge il bagno, dove su un ordinato GODMORGON si lava i denti, con cura, per i tre canonici minuti, chiudendo il rubinetto quando l’acqua non serve. Risciacqua lo spazzolino e lo ripone nel suo cappuccio ripara-polvere. Butta acqua fredda sul viso, per svegliarsi. Peccato che sia già passata mezzanotte. Non importa, c’è ancora tempo. Due occhi vispi e sereni lo guardano dallo specchio. Sorride. Gli sembra di sentire la voce di Barbara “Sotto questa barba non si vede quando sorridi!”. Si vede, si vede. Son vent’anni che si vede. Si guarda ancora, si sorride di più, si vuole bene. Si vuole bene un botto.

SMÖGEN, il divano, sembra chiamarlo. Accetta l’invito lasciandosi accogliere, in slip e T-shirt, dai morbidi cuscini, morbidi quanto morbido può essere un cuscino svedese. Ripensa alla serata appena trascorsa. Due amici storici davanti ad una pizza ed una birra. A parlare di lavoro e di vita. Più di vita che di lavoro. Due occhi vispi e sereni ascoltano i racconti degli altri occhi, quelli vispi ma provati, quelli che raccontano del tumore con cui stanno combattendo da un paio d’anni, della voglia di combatterlo, per vedere la figlia crescere, adesso ha solo 3 anni. “E io non crepo finché non s’è sposata… almeno tre volte!”. Luca dice sempre così, per sdrammatizzare la sua malattia. E giù due sorsate di birra su una gorgo e pere. Gli occhi sereni parlano invece dell’ultimo cliente conquistato, e di quell’altro perso. Di Barbara, che lo capisce al volo, da anni. Di Diana. La nuova vicina. Hanno cenato un paio di volte insieme. Da lei, da lui. Una tipa in gamba, non una maga in cucina, ma con delle buone bottiglie. Una di quelle con cui gli argomenti vengono. “E non solo gli argomenti” pensa Luca più incuriosito che stupito, senza interrompere. Ha una cucina ABSTRAKT rossa. I vini li tiene nel pensile in alto. Ieri hanno aperto un Morellino. Diana non è altissima, e per arrivarci si deve proprio allungare, si vede che fatica. Lui non l’aiuta, è troppo bello vederla da dietro. Con la maglietta che si alza sulla vita e il filo del tanga che si lascia vedere. Chissà se lei lo fa per provocare. “Matematico” pensa Luca, sempre senza interrompere. Di provocare non ha bisogno. E’ entrata nelle sue fantasie erotiche dalla seconda chiacchierata.

Un condominio interessante, si può dire. “E per quanto credi che rimanga solo nelle fantasie?”, chiede Luca, quando l’esposizione dell’argomento è terminata. Non ne ha idea, per ora gli va bene così. Una voce fuori dal coro con cui confrontarsi. Un desiderio, anche solo fisico, si sta facendo strada. E’ una bella sensazione, perché mettersi fretta? Già, perché? E giù due sorsate di birra sull’ultima fetta di una quattro stagioni. Luca ride. “Non mi far cazzate eh, Barbara è in gamba, non mi far casini per un tanga che si intravede! O almeno non farti beccare. Che poi, invece di chiuderla nell’armadio basta farle attraversare il pianerottolo ed è a casa sua… Certo che però, una trovata in chat, lontana centinaia di chilometri, no?” No, non sarebbe lo stesso. Non potrebbe scambiare il segnale per fare due chiacchiere, a notte fonda. Almeno non quel segnale. “Quale segnale? Guarda che gli SMS non sono a corto raggio!” Due giri nella toppa quando rientri, se hai voglia di chiacchierare. Se di là rispondono con due giri, viene l’altro e porta il vino. Se i giri sono quattro, buona notte. “E se non senti giri, vai a dormire? “ O aspetti. Potrebbe non essere in casa. “Sei forte tu… S’è fatta una certa, andiamo? E salutami Barbara. E pure Diana.” Ultimi sorsi di birra, due caffè, il conto. Oggi ha offerto Luca.

Rumore di tacchi sulle scale, è sicuramente Diana. Apre la porta e la richiude. Un giro. Due. Tre. Quattro. Game over. Stasera niente chiacchiere. Sorride. Prende il telefono e scrive: “Ti saluta Luca, sta alla grande. Ti bacio, buona notte!”. Il saluto a Diana lo porterà un’altra volta.

Basta

Posted on Aprile 13, 2011 by randagia

Meno dieci. Meno quindici. Vento. Buio. Neve. Triangoli di luce alle finestre, che si vedono solo là, là dove si festeggia Santa Lucia. Triangoli di luce che fanno sembrare tutte le case uguali, ma solo da fuori.

“E se non ti va bene, lasciami in pace!” Sonia sbatte la porta della camera. Le luci alla finestra tremano. Uno scatto d’ira solleva Giovanni dal divano e gli fa aprire violentemente la porta: “Nessuno mi ha mai sbattuto una porta in faccia!”. C’è sempre una prima volta. La porta gli si richiude in faccia. E la scena velocemente si ripete, ma stavolta senza parole: uno schiaffo violento lascia il segno sul viso di Sonia. Parte il cazzotto. Azione e reazione. Che quella storia del porgere l’altra guancia, Sonia non l’ha mai capita. La porta si richiude. Due maglioni, una gonna, un paio di jeans, un po’ di biancheria entrano in fretta in una valigia. Dormirà da un’amica. Esce senza ancora sapere quale amica, sceglie di fretta, sceglie Giorgia. E sceglie male. “Chissà cosa gli hai detto per provocarlo così, e come ti è venuto di fargli un occhio nero?”. Nessuna risposta. Come le è venuto? Legittima difesa? Debolezza di nervi? Non lo sa, sa che si è presa una sberla, ed è colpa sua che ha provocato. Sonia ha dato un pugno, ed è colpa sua che l’ha dato. Brutto sentire sulla propria persona la versione riadattata di “L’han violentata? Chissà che minigonna aveva!?”.

Le cinque dita sono svanite della guancia di Sonia, ma la tristezza di quel momento rimane, a distanza di anni. La tristezza rimane e si rinnova, ogni volta che Sonia condivide questo episodio e qualcuno commenta con il solito “Chissà quanto l’avrai provocato…”. E succede, spesso. Anche qui, anche adesso. Qui dove i triangoli di luce da mettere alle finestre non si trovano neanche all’Ikea e dove la valigia si riempie solo più con l’emozione di un lungo viaggio. Ma adesso le fa meno male. Adesso non lo racconta più.

Notte Tricolore

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

Diluvia. I tergicristalli non riescono a sintonizzarsi con la frequenze delle gocce, ma poco importa. Nel grigio della pioggia spiccano macchie di colore ai lati della strada. Sui balconi le tante bandiere bianconere e le poche granata si sono ritirate e al loro posto, proprio lì dove a Natale si arrampicavano i babbi, ecco sventolare il nostro tricolore. A pensarci bene, erano più i babbi a dicembre che le bandiere a marzo, ma Santa Claus è internazionale, Garibaldi no: anche se lo chiamavano l’eroe dei due mondi, ai rumeni della mia zona sembra fregargliene poco. Chissà se nel 2056, verso la fine di dicembre, inizieranno a pullulare sui nostri balconi bandiere blu con le stelline: no, non per la nuova campagna pubblicitaria dell’EuroSpin, ma per il cinquatesimo anniversario dell’ingresso della Romania nella comunità europea.
Nel 2056 forse non avrò voglia di scaricarmi il programma della notte blu, starò lì davanti alla tv, a fare la calza, o, più probabilmente, a perdere tempo su internet. Invece a sto giro, il programma della notte tricolore, me lo scarico, e non mi sembra niente male.
Mercoledì 16 Marzo, il Fibonacci di luce rossa non si sentirà più solo sulla mole, altre luci gli terranno compagnia, o lo offuscheranno. Qualche luce d’artista verrà rispolverata fuori stagione: eccerto a Torino il reciclo va alla grande, mica solo con i rifiuti!
Dalle 21 in poi, in piazza Vittorio, musica da tutta l’Italia : Roberto Vecchioni che ha vinto Sanremo, e quindi ci sta. Davide Van De Sfroos che tutto diresti tranne che sia italiano, ma ci sta. I Tazenda per la sardegna, Peppe Voltarelli per la il regno dell’anduja, Irene Fornaciari per il tortellino, Syria che dove sia finita negli ultimi anni non si sa, ma ci sta. Luigi Maieron
per il Friuli Venezia Giulia. I Buio Pesto, non è il caso di dire da che regione, casomai saltassero le luci d’artista. I Lou Dalfin e i Mau Mau, che giocano in casa e poi, i Tinturia e Nidi d’Arac: alla faccia dell’unità d’Italia, chi li hai mai sentiti questi? Dalla Sicilia e dalla Puglia, rispettivamente, ma alle mie orecchie non sono arrivati mai, come la mettiamo? Per fortuna non c’è solo San Remo con il tormentone di “uniti uniti”, ma anche youtube con i suoi “search”, e al concerto ci arrivo preparata.

Il programma completo.

Randagia, picchì pì ad ogni riccio ti caccia nu capriccio

Trilogia di un bancomat – capitolo 2

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

Voglio uno sportello bancomat anti-privacy


Carta bloccata, clonazione accertata. Serve denuncia per ottenere rimborso. Serve denuncia per denunciare la cosa. Già, ma avevo già denunciato. Pazienza, rifacciamo.
Atteggiamento impressionante. “Tranquilla signorina le ridanno tutto. Tranquilla signorina, tanto sono assicurati. Succede spessissimo, prima di più, proprio lì dove dice di aver prelevato lei”. Riporto i miei sospetti sul benedetto sportello e lui ti precisa che non serve a niente inserirli nella denuncia, tanto le banche sono assicurate. Ma caro omino in divisa, sei consapevole che qui i problemi sono due? Non è solo che io non ho più i miei soldi, è anche che là in giro c’è un truffatore e tu caro omino non ti stai sbattendo neanche un po’ a cercare di beccarlo “Tanto le assicurazioni pagano, tranquilla! “. Ah si? Tanto pagano? Allora perchè non fai che castrarti? Tanto tua moglie un figlio lo fa con un altro, tranquillo! Insisti, non su sua moglie, e anche i tuoi sospetti sono registrati nella denuncia. Aggiungendo tanto la segnalazione al numero verde della banca quanto al 113. E lo scrive, in un italiano tutto suo, ma te lo scrive. Penso alla faccia della mia prof di lettere, mentre firmi una lista di strafalcioni che inizia con “Io sottoscritta”.
Un amico che lavora in banca ti spiega un po’ di cose. Quegli sportelli bancomat che tanto ti danno sicurezza perché sono nelle loro belle stanzine, sono meno sicuri di quelli per strada. Anzi, sono i peggio. Hai sempre pensato che ci fossero le telecamere lì, invece no. Per motivi di privacy. Ma la privacy di chi? Quella del truffatore? Che così agisce bello tranquillo. Forse tu non ho una vita spericolata, una vita bruciata, una vita da urlo, una vita: ma io della privacy, che tanto sta a cuore a molti, me ne fotto. A sto giro questa privacy mi è costata 500 euro. Ma tranquilla, sono assicurati! Voglio uno sportello bancomat anti-privacy, per quelli che, come me, della privacy se ne fottono: filmatemi, prendetemi le impronte digitali come voleva fare Bossi con gli immigrati, leggetemi la retina mentre mi spremo sul monitor a pensare all’importo da scegliere. Prendetemi tutto, ma non i miei soldi. Sì uno sportello cosifrom_unixtime( con le telecamere sempre attive, che se entra il truffatore a metter la sua tesserina, sbooom 5 minuti e lo mettiamo su youtube. Alla faccia delle privacy.
L’unica telecamera che c’è agli sportelli, è quella messa dal truffatore per riprenderti mentre “digiti il pin avendo cura di non essere vista da nessuno”, solo ripresa da lui. Chissà se mi ha davvero ripresa mentre, con il mio faccione perplesso cercavo di scardinare la fessura di inserimento tessera, senza perlatro riuscirci. O quando, da vera fessa, ho digitato il pin senza coprirlo con le mano, o con il portafoglio come ti diceva la mamma? Non è che ci finisco io su youtube? Gli avrò strappato anche una risata, mentre loro ti hanno strappato 500 euro.

Vai al capitolo 3.

Trilogia di un bancomat – capitolo 1

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

Il dono dell’ubiquità? Il mio bancomat ce l’ha


Prelevo al bancomat, “Buongiorno NOME COGMONE!”, mi scrive lo sportello. Cosa che già di suo mi irrita: lo so come mi chiamo, che bisogno c’è di spararlo a lettere cubitali sul monitor? Per presentarmi al tizio dietro di me in coda?

“Digiti il codice avendo cura di non essere vista da nessuno”. Che tanto glielo leggono in altro modo, potrebbero aggiungere. Codice, importo, soldi, ricevuta. Ritiro tessera. E’ stranino questo sportello: appiccica di colla… vuoi vedere che? Ma ormai è fatta. C’è una tizia in coda, condivido con lei le mie perplessità, e lei giustamente non preleva più. E’ venerdì, sono le 19 passate, la banca è chiusa. Vorrei chiamare e segnalare la cosa. Ma l’unico numero verde che c’è è quello per il blocco carte. Chiamo loro. Spiego a situazione, e mi dicono “Ok, ma lei vuole bloccare la carta?” No, non la voglio bloccare voglio solo sapere se sono paranoica tu, come stai pensando tu, caro omino del numero verde, o se veramente lo sportello è stato manomesso. Tanto a me ormai, se dovevano ciularmi mi han ciulata, ma magari altri se lo evitano, eh? “Signora, la sua generosità è encomiabile, ma noi… ” La mia generosità forse non è encomiabile, ma la vostra coglionaggine è da premio nobel. Torno a casa, internet, numero verde Sanpaolo. Chiudevano alle 18, e non sbattiamoci a dare un’alternativa. Fanculo, 113. Segnalo. Controllano. Va bene. Mi abbiocco e non richiamo per sapere se hanno trovato qualcosa. Pirla io, lo so.
Il giorno dopo uso il bancomat per fare il pieno, o per lo meno ci provo. Transazione negata. E la ragazza alla cassa “Anche a me succede di spendere più di quello che credo”. Già a te, ma a me no, e quando anche tu avrai un mutuo, forse non ti succederà più. Chiamo la banca, recito codici fiscali e numeri di conto passando da un semaforo all’altro. Fermarsi mai. “No signorina tutto a posto, l’ultimo movimento è quello che le risulta, sarà stato un problema del benzinaio” . Chiamo, scusandomi, il 113 che verifica: la mia segnalazione dell’altro giorno si è rivelata un falso allarme. Coincidenze. Vabbe’ stai serena.

Pizzeria. 18 euro, per sfizio paghi col bancomat. Transazione negata. Minchia. Alle coincidenze ci credo una volta, non due. Non può essere un caso. Casa. Internet. Conto online. Due prelievi in Francia, il 5 e il 6 marzo, ieri e l’altro ieri. Fanculo il 113 e la banca. Blocco la carta. Poi chiamo il SanPaolo:
Io: “Buongiorno, ho già bloccato il bancomat al numero verde 800. Vorrei segnalarvi un problema con un vostro sportello bancomat da cui ho prelevato: mi hanno clonato la carta”
Bella signorina della banca: “Si può recare in filiale lunedì con la denuncia e compilare i moduli per riavere i soldi, perchè se li può riavere, perché rinunciarci ? ”
Io: “Guardi, rinunciarci non mi era neanche passato per l’anticamera del cervello. Il punto è che da qui a lunedì gli altri poveri che hanno prelevato a quello sportello e magari non hanno controllato… magari non l’hanno bloccata…”
Bella signorina della banca: “Lunedì, lei portì la denuncia..”
Io: “Signorina, ho il massimo rispetto per lei, e capisco che non le compete: posso parlare con un suo responsabile per cortesia ?” (Il tutto in tono gentile e calmo, che tanta fatica m’è costato.)
Bella signorina della banca: “No, non ci sono i responsabili adesso, siamo solo noi operatori.”
Io: “Ekkekazzo al sabato sera i responsabili se la spassano tutti ?” (mmh, forse sei stata meno calma qui..)
Bella signorina della banca: “Le cerco subito il mio responsabile…”
Responsabile: “Buongiorno. Vuole segnalarci un problema?”
E segnaliamo. A caratteri cubitali. Un’altra volta. Riracconto la solfa, chiedo che informino, come peraltro mi era già successo in un’altra occasione, tutti i clienti che hanno prelevato a quello sportello nel periodo incriminato. E dio solo sa se lo faranno. E ti chiedi perchè l’altra volta ti avevano chiamata subito, e adesso niente.
Ma dico, è possibile che son qui, in un benedetto sportello fuori orario banca e non ci sia nessun benedetto modo di segnalare all’ordine preposto, organo preposto, o insomma a chiunque ci possa fare qualcosa, che c’è qualcosa che non va? Non esiste il numero verde della banca? Forse esisteva un citofono che non ho visto? Forse il numero c’era su un adesivo che è sbiadito? Forse mentre mettevano lo sportello falso hanno tolto l’adesivo vero? E poi che denuncia faccio? Vai dai carabinieri a dire “Ho fatto segnalazione alla polizia ma loro mi hanno detto falso allarme?” Vado dalla polizia a dire “Falso allarmega: falso allarme una sega”? O vado semplicemente dichiarando che ci sono stati dei prelievi all’estero con il mio bancomat mentre come si può ben vedere io sono a Torino, accompagnata dal mio bancomat?
Mi fa rabbia. Primo, mi fa rabbia non aver saputo che numero chiamare, che cosa fare per capire se il bancomat fosse stato manomesso oppure no. Subito, non a distanza di giorni. Secondo, mi fa rabbia perché mi chiedo che razza di verifiche faccia la polizia per dirmi “falso allarme”? Siamo sicuri che considerino le nostre segnalazioni e non si limitino a fare un click sul pc, senza verificare mai niente, senza avvisare nessuno? Terzo, mi fa rabbia che potrebbe davvero essere stata una coincidenza, il bancomat potrebbe essere stato clonato in altro modo, ma non mi è dato sapere fino a lunedì, se va bene.

Vai al capitolo 2.

Trilogia di un bancomat – Errata Corrige

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

Errata Corrige

Fine settimana, accendo il cellulare personale che ormai non uso quasi più: non so andare in giro con due cellulari, ed ha vinto quello aziendale. Un messaggio in segreteria. Mi viene un dubbio. Il dubbio di essere pirla. Ascolto. Infatti. Non è più un dubbio, è una certezza. Quella voce calma che non si agita mai, che, odio ammetterlo, in fondo mi rassicura sempre, mi ha lasciato un messaggio: “Signorina, se ne sarà già accorta ma per precauzione la banca le ha bloccato il bancomat in quanto ha riscontrato movimenti anomali sul suo conto. Il rilascio di un nuovo bancomat avviene in automatico, mi chiami senza problemi se le serve aiuto.” Messaggio registrato il 07 Marzo. Il PraivatBencher! Chiamiamolo. Anche solo per aggiornare il numero di telefono. Allora ci siamo: l’informatica non è un’opinione: il bancomat l’hanno bloccato automaticamente dal momento che, mi confermano, il teletrasporto non è contemplato tra i servizi offerti. Il bancomat l’hanno bloccato con tanto di telefonata il giorno dopo al mio cellulare genialmente perennemente spento. Ma questi son dettagli. Questo rilevamento automatico però non è ancora ben integrato con numeri verdi e operatori da sportello, sui cui sistemi l’accaduto risulta con qualche giorni di ritardo. Intanto il bancomat nuovo è stato riemesso. Solo un dubbio: mica mo me ne escono 2 di bancomat Chiediamoglielo.
Io: “Adorato praivatBencher, io ho già fatto denuncia, richiesto disconoscimento operazione e richiesto nuovo bancomat allo sportello, probabilmente in quei giorni in cui allo sportello non risultava nulla, ora non è che mi arrivano 2 bancomat?”
Adorato PraivaBencher: “E certo che siì.. gliene arrivano due, sì. Ci penso io comunque a fermare una procedura, che già se lo fa clonare quando ne ha uno solo, figuriamoci con due!”

Trilogia di un bancomat – capitolo 3

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

L’informatica non è un’opinione

Spiegatemela. Spiegatemi perchè se un lurido lettore bancomat mi dice “transazione negata” la bella signorina che risponde al numero verde della banca non ha lumi su quella transazione. Spiegatemi perchè se il lurido bancomat del benzinaio è così intelligente da capire che non ci sono più soldi su quella tessera, la bella signorina che risponde al numero verde mi dice “Nessuna operazione oggi, tutto in regola”. Ma come? Almeno la “transazione fallita” deve risultare! Tu banca lo sai. Ora, perchè la tua bella signorina non lo sa e il lettore bancomat sì? Me lo chiedo, non trovo risposta. Finchè non vado in banca e mi trovo una di quelle signorine. Ho la mia bella denuncia e parto: “Voglio disconoscere i movimenti effettuati all’estero la scorsa settimana perchè non li ho fatti io, bancomat clonato”
Signorina : “si certo, vediamo: 180 euro il 10 Febbraio, 200 euro l’11 …”
No: “Quelli non li avevo visti: allora mi hanno preso pure di più! Ma no aspetti… 10 Febbraio ha detto, mo siamo a marzo: quella è una trasferta di lavoro, no no! Guardi il 5 e il 6 marzo”
Signorina: “Le stampo l’estratto conto che deve segnare quelli da disconoscere”
Va bene, scorro tutto l’estratto conto e nessun movimento strano, o meglio, quelli che avevo visto sul conto online non ci sono. Mi sono sognata tutto?
Io: “Scusi, ma qui non vedo i movimenti del 5 e 6 marzo…”
Signorina: “Se non li vede, significa che non ci sono”
Sì, come i bambini che credono di diventare invisibili chiudendo gli occhi!
Io: ” Sul conto online li vedevo come movimenti non contabilizzati.”
Signorina: “Ma se non sono ancora contabilizzati, come fa a dire che ci sono?”
Io: “Sono in fondo pagina segnati come “non contabilizzati”, tra un paio di giorni, salgono al ruolo di contabilizzati.” E intanto penso “Ma minchia, chi lavora in banca qui? Io o lei ?” ma mi trattiengo dal comunicarle i tuoi pensieri.
Signorina: “Eh già… sono qui… allora le stampo questi”
Adesso ho capito come mai il bancomat capiva che non avevo più soldi, e il numero verde no: alle richieste al bancomat risponde una macchina, alle domande al numero verde risponde un umano.
Avrei dovuto ricordarmi della bionda sportellista, sveglia, che mi aveva salvata in più occasioni. Oggi ho sbagliato sportello.
Prendo, firmo, giro, trigo e chiedo : “La tessera bancomat me lo rifate autiomaticamente?”
Signorina: “No”
Io: “Allora vorrei richiederlo” Se non le viene un’ernia a prendermi il modulo, penso.
Me lo porge, e toh guarda: c’è una casella: “Notifica via SMS – Servizio a pagamento”. Un SMS per ogni prelievo effettuato, sena controllo umano ma inviato dalle macchine. Ci sta. Crociamola sta casella. Sì, decisamente. Il cancello chiuso mentre i buoi son già in Francia.
Ora, lasciamo stare la signorina di cui sopra, ma, cara banca: difficile fare controlli incrociati tra un prelievo fatto all’estero e uno in italia a distanza di qualche ora? E poi il giorno dopo di nuovo uno all’estero e l’altro in italia? Il teletrasporto è richiedibile allo sportello, come il telepass? Controllare è facile, è banale, è fattibile: perché non lo fai? Rilevi le operaioni anomale, e uno squillo puoi anche farmelo. Se lo sportello bancomat è stato manomesso, e sai che ci sono passata, perchè lo sai, uno squillo me lo puoi fare no? Chiedimi, e io ti dico se blocchiamo o non blocchiamo sta carta. Non lasci che tutto scorra, che io magari prima o poi blocchi la carta oppure che qualcuno mi porti in rosso. Si può fare, eccome se si può fare: yes you can! Come si dice oltreoceano.
E cara banca, in questi giorni ti scrivo. E come te a tanti altri. E se non serve a niente, pace: scrivere è gratis, magari un pirla prima o poi si ferma a leggere e un’idea gli viene, di dare qualche strumento in più, a noi poveri pirla.

Vai all’errata corrige.

Trilogia di un bancomat

Posted on Marzo 17, 2011 by randagia

Un’avventura dei giorni moderni, delle persone moderne. Una botta di sfiga. Che sicuramente non è successa solo a me.

Capitolo 1: il dono dell’unbiquità, il mio bancomat ce l’ha.

Capitolo 2: voglio lo sportello bancomat anti-privacy.

Capitolo 3: l’informatica non è un’opinione.

Errata Corrige: la mia banca è differente.

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